mercoledì 27 marzo 2019

CARAVAGGIO 10


C          CARAVAGGIO 10
     
L           L ’approdo allo Sbarcatello e la presunta morte nella chiesetta di S. Maria fuori dal borgo.

        
Una mattina ricevetti una e-mail dal Ferrini, l’aprii subito e rimasi colpito dal suo contenuto. Il titolo del breve scritto inviatomi era “Il luogo dove il Caravaggio mori”. Il sagace storico avvalendosi di credibili documenti storici e richiamando alcuni passi dello scritto del Baglioni, contemporaneo di Caravaggio e autore di uno scritto sugli artisti del seicento romano, sosteneva che il pittore approdò non sulla spiaggia della Feniglia nel comune di Porto Ercole. Secondo il dotto portoercolese Michelangelo giunse allo Sbarcatello, un approdo usato in passato dai pirati collocato a nord-ovest nella parte estrema del territorio della località marina e semi-nascosto agli occhi vigili e indagatori dei dominatori spagnoli. Sempre nello scritto rigettava l’esistenza di un hospitale denominato “ S. Maria Ausiliatrice” e documentava l’esistenza di una piccola chiesetta che rispondeva al nome di S.Maria collocata fuori dal borgo medievale. Il toponimo di – S. Maria  - gli venne probabilmente attribuitogli qualche anno dopo la morte del pittore lombardo. 
Lo scritto, stringato e discorsivo, confermava le mie impressioni sul Ferrini: una persona seria e desiderosa di dare fondate e credibili risposte agli irrisolti quesiti legati alla mitica figura del Caravaggio. La sua interpretazione mi apparve verosimile e mi convinse che la leggenda dello sbarco del pittore sulla spiaggia della Feniglia perdeva senso e consistenza. 
            Nei giorni a venire ebbi vari colloqui telefonici con la dott.ssa Alessia Cervone impegnata ad affrontare l’arduo compito storiografico di verificare la solidità e verosimiglianza delle variegate malattie e quali di queste potevano avere eventualmente causato la morte del Merisi. Nell’ultima telefonata concordammo di vederci nella sede del Comitato dato che la sua ricerca era in uno stato avanzato e, oltre ad una analisi critica delle presunte patologie che i diversi biografi avevano attribuito al Caravaggio, aveva formulato alcune sue ipotesi che mi erano sembrate sostanziose. La dottoressa si presentò con uno sguardo fiammeggiante e soddisfatto, mi passò una cartellina ricca di schede ed annotazioni. Diligentemente e con tipico metodo scientifico aveva abbinato, alle diverse ipotesi di patologie, una scheda in cui riportava le sintomatologie delle malattie secondo l’attuale scienza medica e a cui potevano corrispondere quei particolari sintomi di cui si disponeva testimonianza storica. Si trattava di un lavoro compiuto con passione e seria applicazione.  Durante i nostri incontri e le nostre telefonate, sulla base delle conoscenze storico-biografiche sul Merisi di cui disponevo, avevo  realizzato due  possibili patologie: il saturnismo e la sifilide. La Cervone mi confermò che le due malattie potevano essere compatibili con i disturbi di cui soffriva il Caravaggio, infatti fra le schede mediche da lei preparate due riguardavano il saturnismo e la sifilide. Da parte sua riteneva che la causa più probabile di morte del pittore era da individuare in un colpo di sole. La ringraziai per la ricerca compiuta e, appena se ne andò, iniziai a leggere il prezioso materiale che mi aveva appena lasciato. Fui colpito da alcune considerazioni critiche da lei formulate e riportate in uno sintetico scritto di cui mi riservai di approfondire la lettura. Nel frattempo approfondivo  la ricerca storiografica per ripercorrere le tappe che avevano potuto portare il pittore a contrarre sia la sifilide che il saturnismo.
            La seria e puntale ricerca basata su una attenta lettura delle poche e confuse notizie storiche inerenti la o le presunte patologie del Caravaggio aveva prodotto i suoi ricchi frutti. Allargare la già estesa ridda di ipotesi di malattie che il nostro sfortunato pittore avrebbe o aveva contratto, poteva solo contribuire ad ingenerare ulteriore confusione. La obiezione che veniva spontanea verteva sulla possibilità di ricadere in una specie di accanimento storico-interpretativo; sarebbe stato invece più saggio limitarsi alle scarne certezze sulla sua vita e dedicarsi alla valorizzazione dei suoi inimitabili capolavori. Un’altra critica poteva emergere da una specie di avidità conoscitiva incentrata sugli aspetti più torbidi della vita di Michelangelo o sugli episodi oscuri e tetri che hanno accompagnato tutta la sua esistenza e in particolare l’ultimo anno della sua presenza su questa terra. Ognuna di queste osservazioni aveva una sua apparente ragionevolezza, una sua bontà e un apparente buon senso, salvo il fatto non marginale che inerisce il compito e la missione di chi si applica alla ricerca storica: portare alla luce tutta la verità. Ricostruire fedelmente episodi, fatti ed eventi di ciò di cui si tratta è l’attività precipua della storiografia. Soffermarsi su alcuni torbidi ed oscuri eventi che permettono di ripensare atti e comportamenti di tutta una serie di importanti personaggi che ruotavano intorno al pittore, acquista una valenza chiave per meglio comprendere gli avvenimenti. Diventa un importante procedura che può dischiudere una diversa rilettura dei costumi morali, del sistema valoriale, degli aspetti antropologici e umani della società italiana dei primi seicento, ed in particolare del clima culturale e psicologico regnante a Roma e Napoli. Riportando chiarezza su alcuni aspetti della vita del Caravaggio, del suo carattere, di come è stato raffigurato, elaborare nuove idee sulle sue presunte malattie, fondate su solide basi medico-scienitifiche, è un esercizio di stile della ricerca che fa piazza pulita di superficialità e pressapochismi. Infine non vi sono dieci o mille verità storiche in combutta tra loro, ma solo probabilità supportate e suffragate da credibili materiali e ragionamenti verosimili. Anche nel prospettare altre possibili patologie sofferte dal Merisi, nulla si concedeva alla improvvisazione e alla spettacolarizzazione  delle nuove formulazioni. La dott. Cervone, indipendentemente dalla sua giovane età, seguiva la strada maestra del rigore e della prudenza diagnostica, specialmente nel caso in oggetto. Le presunte malattie da lei supposte non avevano la pretesa di presentarsi come certezze ma solo come possibilità: il carbonchio, la letptospirosi, la sepsi. Solo nel caso del colpo di sole, il contesto storico, la specifica situazione psicologica-comportamentale (il delirio) e fisica (la febbre alta) del pittore, l’ambiente fisico e le condizioni climatico-atmosferiche componevano una insieme da cui sgorgava, in questo caso, una altamente probabile patologia dall’esito mortale.

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