lunedì 25 giugno 2018

RIFLESSIONI POLITICHE NEL POEMA di Jo Ann Cavallo


Caro Onofrio, 
 spero che questo messaggio vi trovi bene. Ti ringrazio per aver messo parte del mio saggio su IL GUGLIEMO, e ti comunico che è uscita l’antologia che ho curato insieme a Corrado Confalonieri (il traduttore del mio ultimo libro) presso Unicopli (https://www.ibs.it/boiardo-libro-vari/e/9788840019826). Boiardo diventa così uno dei 'classici' rappresentati nella collana Atlante, undicesimo volume della serie insieme ad autori come Petrarca, Boccaccio, Tasso, Foscolo e altri (in anticipo su Ariosto).
Se ti interessa inserire un brano della mia introduzione (già in italiano) nel guglielmo, posso chiedere alla casa editrice l’autorizzazione e il limite di parole come ho fatto con il saggio. 
 Intanto, ti allego il pdf della copertina e del volume (). La copertina allegata non ha ancora il prezzo, ma è solo 18 euro, un prezzo abbordabile per studenti universitari.   
Un abbraccio, 
Jo Ann

Jo Ann Cavallo possiamo dire che ha dedicato tutta la sua vita a Maria Matteo Boiardo ovviamente toccando l’epica cavalleresca in generale. Ovviamente occorre carisma per influenzare sia i suoi studenti (della Columbia Universty) che le altre forme vicine all’epica (i maggi , il teatro dei pupi ecc.). Noi la incontrammo perché entrambi “clienti” del Boiardo. In questo periodo sta producendo studi specifici e lo dimostrano i suoi ultimi libri e pubblicazioni che generosamente ci permette di ripubblicare sul Guglielmo.

Riflessioni politiche nel poema
Boiardo non era solo un poeta, ma anche un uomo di governo: oltre ad essere conte di Scandiano dal 1460 sino alla morte, fu nominato da Ercole d’Este capitano di Modena (1480-83) e di Reggio Emilia (1487-94), posizioni che aveva assunto lo stesso Ercole quando Borso era duca. Le sue lettere, soprattutto quelle indirizzate a Ercole, dimostrano un confronto quotidiano con le questioni più essenziali ed urgenti per il tessuto sociale. Nei prologhi alle sue traduzioni in volgare, Boiardo spiega a Ercole il suo intento didattico, in particolare quello di insegnare l’arte del governare. Non deve sorprenderci quindi se il poema indaga non solo il piano privato, proponendosi di insegnare all’individuo a condurre bene la propria vita, ma anche quello politico, dandosi l’obiettivo di insegnare al principe a governare il suo stato per il bene comune.
Qualche decennio dopo, Guicciardini avrebbe visto la fine della libertà dell’Italia (marcata con la prima invasione francese del 1494) come un risultato diretto dell’avidità e dell’egoismo dei principi italiani. Quest’abuso del potere non è però qualcosa di cui ci si rendesse conto solo retrospettivamente a causa dell’invasione. L’exemplum del principe cattivo che Boiardo propone attraverso la finzione poetica era un topos ricorrente anche nel tardo Quattrocento. Per citare un esempio tratto dal suo stesso ambiente, basta ricordare il trattato dell’umanista bolognese Giovanni Sabadino degli Arienti dedicato ad Ercole d’Este, in cui si afferma fra l’altro che «chi ha nel mondo licentia e arbitrio e forza grande, come hano li principi e signori [. . . ] sono da forte temptatione combatuti dali invisibili inimici a peccare e senza charytate in li suoi populi».3
Dato che, secondo il metodo umanista, bisognava mostrare non solo il tipo di comportamento da seguire ma anche quello da evitare, Boiardo giustappone esempi di buone e cattive azioni dimostrandone le rispettive conseguenze. In ciascuno dei tre libri utilizza un approccio diverso, spostandosi dal genere del romanzo a quello della storiografia e all’epica, e partendo sempre da esempi negativi per arrivare via via ad esempi positivi. Leggendo queste storie, si potrebbe formulare l’ipotesi che Boiardo non solo intendesse esortare il principe a guardarsi dai vizi, ma anche che volesse avvertire i sudditi di guardarsi dai principi viziosi. In ogni modo, nei casi discussi in seguito come in altri episodi del poema, Boiardo si rivela un poeta non solo capace di riflettere sul problema del potere politico, ma anche attivamente impegnato in un’appassionata lotta per la giustizia.
La politica e gli episodi romanzeschi (Libro I)
Boiardo indica subito al lettore che terrà presente sia la dimensione privata della vita che quella pubblica. Anche se il punto di partenza è la passione amorosa di Orlando, il poeta si sofferma presto a considerare la cupidigia nei suoi aspetti più generali. Mentre tutti si possono trovare sotto l’incanto dell’amore, l’avidità sfrenata in senso lato viene considerata una caratteristica che riguarda soprattutto chi ha in mano il potere politico, e cioè i «gran signori / Che pur quel che vogliono non pòno avere» (1.1.15). Il primo sovrano soggetto a questa condizione è il re Gradasso di Sericana (nel sud-est dell’Asia). Mentre il paladino prediletto di Carlo viaggerà in Oriente per seguire le tracce di Angelica, l’uomo più potente d’Oriente è già partito per la Francia insieme a centocinquantamila guerrieri per conquistare la spada di Orlando e il cavallo di Ranaldo.
Qualche canto più avanti centinaia di migliaia di guerrieri combatteranno ad Albracà per il solo fatto che il re Agricane di Tartaria desidera la bella Angelica. Come Gradasso, Agricane spicca subito come figura esemplare di re incontinente che trascura il suo popolo cercando di conseguire degli obiettivi personali e privati. Il comportamento dei re che si riuniscono intorno ad Agricane nella guerra di Albracà rivela che l’incontinenza dei potenti è spesso accompagnata dalla violenza e dalla frode (coprendo in tal modo le tre categorie dell’Inferno dantesco). In particolare, Sacripante di Circassia, Truffaldino di Babilonia e Poliferno di Orgagna offrono esempi di corruzione politica che avvelena lo stato. L’ultimo è forse il più pericoloso dei tre perché, mentre i difetti degli altri due vengono esposti chiaramente, la malvagità di Poliferno rimane nascosta agli altri personaggi. Questo re non solo conserva una sovrana distanza dalle trappole mortali di cui è alla fine responsabile (nel proprio regno di Orgagna, ma anche alla Rocca Crudele, al Ponte delle Rose e alla torre in Circassia), ma addirittura cerca di costruirsi una reputazione da personaggio che agisce in base ai dettami del codice cavalleresco. Il fatto che questa figura di massima autorità agisca misteriosamente dietro le quinte, lasciando la carneficina in mano agli altri, potrebbe riflettere una prassi della politica rinascimentale italiana. Basta ricordare che Machiavelli di lì a pochi decenni avrebbe raccontato come Cesare Borgia avesse messo il crudele Remirro de Orco al comando della parte più ribelle della Romagna e poi, una volta ristabilito l’ordine nella regione, avesse fatto giudicare i suoi eccessi dagli stessi romagnoli. In questo modo Cesare Borgia riuscì a terrorizzare un popolo fino a imporre l’ubbidienza evitando tuttavia di essere ritenuto responsabile della politica del suo ministro. Nel caso di Poliferno, però, l’estrema crudeltà è rivolta agli sfortunati stranieri che capitano nel suo regno, e le sue motivazioni rimangono inaccessibili anche al lettore. 
Jo Ann Cavallo
3 Art and Life at the Court of Ercole I d’Este: The De triumphis religionis of Giovanni Sabadino degli Arienti, a cura di Werner L. Gundersheimer (Ginevra: Libraries Droz, 1972), p. 36.


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