Caro
Onofrio,
spero
che questo messaggio vi trovi bene. Ti ringrazio per aver messo parte del mio
saggio su IL GUGLIEMO, e ti comunico che è uscita l’antologia che ho curato
insieme a Corrado Confalonieri (il traduttore del mio ultimo libro) presso
Unicopli (https://www.ibs.it/boiardo-libro-vari/e/9788840019826). Boiardo diventa così uno dei
'classici' rappresentati nella collana Atlante, undicesimo volume della serie
insieme ad autori come Petrarca, Boccaccio, Tasso, Foscolo e altri (in anticipo
su Ariosto).
Se ti interessa inserire un brano della
mia introduzione (già in italiano) nel guglielmo,
posso chiedere alla casa editrice l’autorizzazione e il limite di parole come
ho fatto con il saggio.
Intanto, ti allego il pdf della
copertina e del volume (). La copertina allegata non ha ancora il prezzo,
ma è solo 18 euro, un prezzo abbordabile per studenti universitari.
Un abbraccio,
Jo Ann
Jo Ann Cavallo possiamo dire che ha dedicato tutta la sua vita a Maria
Matteo Boiardo ovviamente toccando l’epica cavalleresca in generale. Ovviamente
occorre carisma per influenzare sia i suoi studenti (della Columbia Universty)
che le altre forme vicine all’epica (i maggi , il teatro dei pupi ecc.). Noi la
incontrammo perché entrambi “clienti” del Boiardo. In questo periodo sta
producendo studi specifici e lo dimostrano i suoi ultimi libri e pubblicazioni
che generosamente ci permette di ripubblicare sul Guglielmo.
Riflessioni politiche
nel poema
Boiardo non era solo
un poeta, ma anche un uomo di governo: oltre ad essere conte di Scandiano dal
1460 sino alla morte, fu nominato da Ercole d’Este capitano di Modena (1480-83)
e di Reggio Emilia (1487-94), posizioni che aveva assunto lo stesso Ercole
quando Borso era duca. Le sue lettere, soprattutto quelle indirizzate a Ercole,
dimostrano un confronto quotidiano con le questioni più essenziali ed urgenti
per il tessuto sociale. Nei prologhi alle sue traduzioni in volgare, Boiardo
spiega a Ercole il suo intento didattico, in particolare quello di insegnare
l’arte del governare. Non deve sorprenderci quindi se il poema indaga non solo
il piano privato, proponendosi di insegnare all’individuo a condurre bene la
propria vita, ma anche quello politico, dandosi l’obiettivo di insegnare al
principe a governare il suo stato per il bene comune.
Qualche decennio
dopo, Guicciardini avrebbe visto la fine della libertà dell’Italia (marcata con
la prima invasione francese del 1494) come un risultato diretto dell’avidità e
dell’egoismo dei principi italiani. Quest’abuso del potere non è però qualcosa
di cui ci si rendesse conto solo retrospettivamente a causa dell’invasione. L’exemplum
del principe cattivo che Boiardo propone attraverso la finzione poetica era
un topos ricorrente anche nel tardo Quattrocento. Per citare un esempio
tratto dal suo stesso ambiente, basta ricordare il trattato dell’umanista
bolognese Giovanni Sabadino degli Arienti dedicato ad Ercole d’Este, in cui si
afferma fra l’altro che «chi ha nel mondo licentia e arbitrio e forza grande,
come hano li principi e signori [. . . ] sono da forte temptatione combatuti
dali invisibili inimici a peccare e senza charytate in li suoi populi».3
Dato che, secondo il
metodo umanista, bisognava mostrare non solo il tipo di comportamento da
seguire ma anche quello da evitare, Boiardo giustappone esempi di buone e
cattive azioni dimostrandone le rispettive conseguenze. In ciascuno dei tre
libri utilizza un approccio diverso, spostandosi dal genere del romanzo a
quello della storiografia e all’epica, e partendo sempre da esempi negativi per
arrivare via via ad esempi positivi. Leggendo queste storie, si potrebbe
formulare l’ipotesi che Boiardo non solo intendesse esortare il principe a
guardarsi dai vizi, ma anche che volesse avvertire i sudditi di guardarsi dai
principi viziosi. In ogni modo, nei casi discussi in seguito come in altri
episodi del poema, Boiardo si rivela un poeta non solo capace di riflettere sul
problema del potere politico, ma anche attivamente impegnato in un’appassionata
lotta per la giustizia.
La politica e gli
episodi romanzeschi (Libro I)
Boiardo indica subito
al lettore che terrà presente sia la dimensione privata della vita che quella
pubblica. Anche se il punto di partenza è la passione amorosa di Orlando, il
poeta si sofferma presto a considerare la cupidigia nei suoi aspetti più
generali. Mentre tutti si possono trovare sotto l’incanto dell’amore, l’avidità
sfrenata in senso lato viene considerata una caratteristica che riguarda
soprattutto chi ha in mano il potere politico, e cioè i «gran signori / Che pur
quel che vogliono non pòno avere» (1.1.15). Il primo sovrano soggetto a questa
condizione è il re Gradasso di Sericana (nel sud-est dell’Asia). Mentre il
paladino prediletto di Carlo viaggerà in Oriente per seguire le tracce di
Angelica, l’uomo più potente d’Oriente è già partito per la Francia insieme a
centocinquantamila guerrieri per conquistare la spada di Orlando e il cavallo
di Ranaldo.
Qualche canto più
avanti centinaia di migliaia di guerrieri combatteranno ad Albracà per il solo
fatto che il re Agricane di Tartaria desidera la bella Angelica. Come Gradasso,
Agricane spicca subito come figura esemplare di re
incontinente che trascura il suo popolo cercando di conseguire degli obiettivi
personali e privati. Il comportamento dei re che si riuniscono intorno ad
Agricane nella guerra di Albracà rivela che l’incontinenza dei potenti è spesso
accompagnata dalla violenza e dalla frode (coprendo in tal modo le tre
categorie dell’Inferno dantesco). In particolare, Sacripante di
Circassia, Truffaldino di Babilonia e Poliferno di Orgagna offrono esempi di
corruzione politica che avvelena lo stato. L’ultimo è forse il più pericoloso
dei tre perché, mentre i difetti degli altri due vengono esposti chiaramente,
la malvagità di Poliferno rimane nascosta agli altri personaggi. Questo re non
solo conserva una sovrana distanza dalle trappole mortali di cui è alla fine
responsabile (nel proprio regno di Orgagna, ma anche alla Rocca Crudele, al
Ponte delle Rose e alla torre in Circassia), ma addirittura cerca di costruirsi
una reputazione da personaggio che agisce in base ai dettami del codice
cavalleresco. Il fatto che questa figura di massima autorità agisca misteriosamente
dietro le quinte, lasciando la carneficina in mano agli altri, potrebbe riflettere
una prassi della politica rinascimentale italiana. Basta ricordare che
Machiavelli di lì a pochi decenni avrebbe raccontato come Cesare Borgia avesse
messo il crudele Remirro de Orco al comando della parte più ribelle della
Romagna e poi, una volta ristabilito l’ordine nella regione, avesse fatto
giudicare i suoi eccessi dagli stessi romagnoli. In questo modo Cesare Borgia
riuscì a terrorizzare un popolo fino a imporre l’ubbidienza evitando tuttavia
di essere ritenuto responsabile della politica del suo ministro. Nel caso di
Poliferno, però, l’estrema crudeltà è rivolta agli sfortunati stranieri che
capitano nel suo regno, e le sue motivazioni rimangono inaccessibili anche al
lettore.
Jo Ann Cavallo
Jo Ann Cavallo
3 Art and Life at
the Court of Ercole I d’Este: The De triumphis religionis of Giovanni
Sabadino degli Arienti, a cura di Werner L. Gundersheimer (Ginevra:
Libraries Droz, 1972), p. 36.
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