martedì 29 marzo 2011

GARIBALDI TORNA A MARINEO !

GARIBALDI
TORNA A MARINEO
Il Gen. Giuseppe Garibaldi sarà nuovamente a Marineo il 2 Aprile 2011 alle ore 18 nella residenza Beccadelli-Bologna dove incontrerà la cittadinanza.
L’annunzio
ci viene dal Presidente del Consiglio del Comune di Marineo Vincenzo Quartuccio
e dal Presidente dell’ACS Salvatore Sclafani.
Ospiti
Prof.sa Ida Rampolla del Tindaro , Dottor Nino Aquila, Dottor Claudio Paterna,
il Dottor Umberto Balistreri .
Il diario
di Antonino Salerno sarà presentato dal Prof. Ciro Spataro.
Il Capo Squadra Andrea Patti affiancato dal portabandiera D.Francesco Virga
Presenterà al Generale il picchetto d’onore formato dai discendenti di
1 D. Salvatore Di Marco, 2 D. Antonino Raimondi, 3 D. Giuseppe Patti e Di Benedetto, 4 Andrea Scapulla, 5 D. Bernardo Pecoraio, 6 Ciro Maneri, 7 Antonio Ciancimino, 8 Giacomo Carioto, 9 D. Mariano Triolo, 10 M. Salvatore Collura, 11 Francesco Maneri, 12 M. Antonino Lo Castro, 13 Ciro Bonanno, 14 Filippo Mastropaolo, 15 D. Giovanni Di Marco, 16 M. Giovanni Rao, 17 Francesco Lo Pinto, 18 Tommaso Lo Gelfo, 19 Rosolino De Aversa, 20 Andrea Staropoli, 21 Ciro Maria Mastropaolo, 22 Stefano Carrino, 23 Salvatore La Rocca, 24 Francasco Daidone, 25 Salvatore La Spina,26 D. Francesco Virga portabandiera, 27 Antonio Vilardi, 28 Francasco Palazzo, 29 D. Vincenzo Caramanna, 30 D. Vincenzo Maggio, 31 D. Giuseppe Tasca, 32 Ciro Di Giacomo, 33 Carmelo Di Giacomo, 34 M. Giuseppe Cangialosi, 35 D. Girolamo Librino, 36 D. Onofrio Di Marco, 37 Don Gaetano Albeggiani, 38 M. Giuseppe Loiacono, 39 D. Ciro Virga, 40 M. Filippo Buongiorno, 41 Ciro Pecoraro, 42 Giuseppe Maneri, 43 Andrea Macagnone, 44 Natale Sanfilippo, 45 Benedetto Ruisi, 46 Antonino Dolibella, 47 Giuseppe Pepe, 48 M. Giuseppe Buttacavoli, 49 Giuseppe Rinaudo, 50 D. Santino Coleanni, 51 Girolamo Lombardo, 52 Ciro Cangialosi, 53 Domenico Lo Cicero, 54 Gaetano Di Palermo, 55 D. Giuseppe Paternò, 56 Giuseppe Azzara, 57 Vincenzo La Spina, 58 Ciro La Spina,59 Nunzio Tantillo, 60 Michelangelo Guarneri, 61 Natale Palazzo, 62 M. Antonino Azzara Pamvusio.

lunedì 28 marzo 2011

MEGLIO I NOSTRI...

Di sicuro ha retto meglio la “nostra gente”. Gli ospiti-relatori sono stati grossolani. Passeggiavano mentre i colleghi esponevano le loro tesi, telefonavano chiacchieravano. Dal sindaco al presidente del consiglio al moderatore ai nostri due relatori sono stati all’altezza . Siamo sulla strada giusta. Basta risolvere il problema della porta-sbattente e la cronica mania del chiacchiericcio e corretta ancora qualche piccolezza. Ma andiamo in ordine. Il nostro bibliotecario prof . Scarpulla parte deciso e sicuro, terrà la serata in mano con energia. Fa collanti azzeccati brevi ma ottimi. Introduce con sicurezza. Invita Sindaco e Presidente ai saluti e se la cavano ottimamente: sei parole in due lasciando ampio spazio ai relatori. Sette relatori sono troppi. Per fortuna ne manca una che ci salverà non avendo portato i sacchi a pelo con noi. Un gruppetto di giovani regge sino ad un certo punto e vanno ringraziati per non essere andati via anzitempo.
Pippo Oddo tenta di spiegarci “la fame dei ricchi“ nell’accumulare terra e sciorina una quantità di nomi incredibile. Non si salva nemmeno padre Calderone (il cui padre sembra possedesse mezza provincia di Palermo) il cui riferimento ci sembra fuori luogo con il Calderone scrittore. Da qui in poi passeggerà per tutta la sala tenendo piccole conferenze facendo disperare l’addetta al video.
Dare venti minuti a Antonino Di Scalfani è una mortificazione. La sua preparazione di solito è capillare e convincente e sull’argomento “fasci siciliani” è magistrale, ma costringerla in venti minuti di cui ne ha spesi dieci per introdurre il tema. La descrizione della strage è stata meno efficace di altre volte proprio perché l’introduzione era dispersiva. Peccato che i due nostri più grandi studiosi sull’argomento non ci sanno spiegare come si arrivò alla strage. Non è un dettaglio da poco, altrimenti le supposizioni non fanno storia. Roberto Lopes voleva coinvolgerci con l’affondamento della m-n Utopia. Oggi sappiamo chi era l’armatore, chi erano i proprietari, il colore del mare, l’abbigliamento dei passeggeri ma il pathos che aspettavamo da una tragedia simile non c’è stato Non abbiamo capito il messaggio. C’era presente il massimo studioso di emigrazione,Santo Lombino, lasciamo a lui fare il suo mestiere che lo fa bene. Rosario Giuè il più “prof” di tutti : compito riservato (non si è mosso dalla sua sedia un secondo) conciso in modo chirurgico. Peccato non sia stato chiaro su cosa significhi la “laicità della chiesa” e cosa pensa dovesse fare la chiesa davanti al divorzio all’aborto, all’eutanasia. Qualche nostro cattolico locale infatuato di Vaticano II a proprio comodo …ci illumini…Franco Virga ci ha convinto: il suo amore sviscerato per la sofferenza dell’uomo è grande e quando non usa la rabbia può dare lezioni a chiunque. A Dino Paternostro non dobbiamo insegnargli niente. Poteva risparmiarci i soliti slogan da “minculpop” . Ci ricorda tutti questi anni di cretino antiberlusconismo che ha bloccato il paese. Oggi sappiamo che a Formigoni hanno sequestrato migliaia di ettari di terra…Se vogliamo tutte queste cose le stesse persone le hanno già dette molte volte e aspettavamo almeno qualche “aggiornamento” vista la difficoltà di portare nuova gente a questi incontri. Spiace questa sfaccettatura da “congregazione” non un dissenso non un opinione “diversa”. Rincresce l’assenza quasi totale di docenti e insegnanti e si corre il rischio veramente di una riunione di “congregazione di sinistra”. Forse era meglio una “tavola rotonda” anche in senso fisico. Relatori al centro al tavolo e gli ospiti dalla seconda fila in poi.
Il comune fornirà bracieri e coperte.
Onofrio Sanicola

martedì 22 marzo 2011

LA GUERRA DI TROIA

Da ragazzi la mitologia greca occupava metà dei programmi scolastici. Dovevamo a forza portarli a memoria e conoscere un ‘ infinità di particolari. Negli anni 60-70 tutto questo diventò inutile  e i programmi si spostarono su autori stranieri scoprendo altri miti.Ma il fascino rimase e anche città come Troia e Micene o personaggi come Achille Agamennone  e Patroclo .Il teatro greco o la poesia omerica resistettero. Schliemann  aveva fatto un buon lavoro sulla mia generazione. Ci affascinò a tal punto che credemmo in lui ciecamente. Possiedo una trentina di volumi su Schliemann  per non parlare della edizione ottocentesca dei suoi scavi o quella sulla lineare B . Sono stato un sacco di volte a Troia e non ricordo quante a Micene. Micene ti strega è una città magica, completa. Incontri Clitennestra Egisto Oreste Elettra da tutte le parti. Il mito degli atridi è palpabile. Ho letto saggi e romanzi in quantità industriale. Ma proprio recentemente quello che si può definire “il saggio capolavoro” sull’argomento ce lo offre Barry Strass La guerra di Troia Editori Laterza  . Scritto bene è scorrevole, documentato,  ricco di spunti . Vale la pena leggerlo perché chiude tutte le finestre  rimaste aperte sul tema e sull’epoca. Ragionato . Avessi avuto questo saggio dieci anni fa non avrei impiegato anni per metter giù  il testo sulla Guerra di Troia.

 Dalle Porte Scee alla Porta dei Leoni

Portare il ciclo miceneo o la saga degli Atridi nel teatro dei pupi, da un lato significa riprendere una tradizione cara ai vecchi pupari e dall'altro accettare la sfida di proporre i classici in una versione teatrale completamente sconosciuta alla quasi totalità del pubblico. Con La Guerra di Troia prende avvio un nuovo ciclo di opere il cui argomento costituisce uno dei filoni tradizionali e insieme meno conosciuto e ormai pressoché perduto del Teatro dei Pupi: l'epica greca, il ricordo delle gesta narrate dagli antichi poeti greci. Crediamo che i pochi pupari rimasti abbiano un vago ricordo delle rappresentazioni effettuate in passato, e che fra il pubblico sia ancora più difficile trovare chi possa dire di aver assistito a una simile rappresentazione.
Ci siamo fatti guidare da Stesicoro, un poeta greco, che ha in comune con Omero non solo la cecità, ma anche l'aver scritto una guerra di Troia. Quale coincidenza migliore se poi si scopre che Stesicoro era siciliano di Himera (Termini Imerese)? Sarà lui ad accompagnarci nella guerra di Troia lasciandoci però seguire Omero e Virgilio. Solo Achille compie un suo percorso, come vuole una tradizione mitica minore, che lo descrive unito ad Elena in un'isola del Mar Nero, un paradiso ideale. Quale strumento migliore dei pupi per portare sulla scena la Guerra di Troia? Oggi ci sembra di poter affermare che la completezza in questo spettacolo potevano darla solo i pupi. Infatti, quello che manca alla fiction, alla celluloide, al palcoscenico, lo troviamo insieme nel teatro dei pupi: dalla lira greca, al cavallo di Troia, alle navi greche, alle armature, ai costumi, alle scenografie, che rispecchiano gli stessi luoghi dove sono ambientati i poemi. Il teatro dei pupi ha un boccascena di nemmeno due metri quadrati, ma il nuovo teatro dei pupi sa usare spazi mai sfruttati prima d'ora. Questo  spettacolo si svolge unendo gli episodi più noti delle narrazioni esistenti (i poemi omerici, l'Eneide), ad elaborazioni originali o riferite a meno note tradizioni. Così, accanto alle scene dell'Ira di Achille, della Morte di Ettore, del Cavallo di Troia nel prologo troviamo, come si è già detto, la figura dell'antico poeta greco Stesicoro reso cieco, secondo un'antica tradizione, per aver nei suoi carmi irriso Elena; mentre in altri episodi viene tratteggiato un originale e non secondario ruolo di Elena nei momenti decisivi della tragedia.
I personaggi, anche quelli secondari come Teti, la madre di Achille, o Cassandra, sono resi con vigore drammatico, mentre gli stessi mezzi espressivi del teatro e la rigidità dei Pupi concorrono senza forzature a rendere percepibile il tema del dominio del fato, sotteso all'intero svolgersi della storia. Anche nella Guerra di Troia si vedrà una particolare cura nella creazione di soluzioni sceniche originali (Il cavallo di Troia, ecc.) e nei costumi dei pupi appositamente prodotti con riferimento alle armature degli antichi guerrieri. La fusione di elementi tradizionali e innovativi troverà, certo non ultimo per importanza, nell'elemento musicale un'ulteriore cifra espressiva. Accanto alle moderne canzoni dell'antico cantastorie, la colonna sonora delle musiche di scena sarà basata sulla musica colta della tradizione classica europea. Ma cosa collega l'opera dei pupi alla Guerra di Troia? Cosa c'entrano i pupari con Omero e i tragici greci o latini? Ariosto, Boiardo, Pulci, La Chanson de Roland, Orlando, Rinaldo, Angelica, Ruggero ... la storia infinita dei paladini di Francia parte proprio dalla guerra di Troia. Le armi di Ettore attraverso un'infinità di passaggi sono quelle che porta Ruggero e sono costate la vita ad Agricane e a suo figlio Mandricardo ... e poi la Durlindana non era forse la mitica spada di Ettore? Non a caso i pupari mettevano in scena Iliade e Odissea.
Quindi si ricomincia dall'inizio, alle origini del ciclo.

EMANCIPAZIONE DONNA


 Al di là di tanti luoghi comuni e dichiarazioni ipocrite è un fatto indiscutibile che il tentativo Di “emancipare” la donna ha drasticamente Coinciso con il crollo della famiglia. Là dove la Donna ha tentato di inserirsi nel mondo sociale e del lavoro, là la famiglia ha subito gli attacchi  più duri. Conciliare la necessaria presenza della donna nel mondo fuori dalla famiglia ha portato ad uno sbilanciamento della stabilità delle regole che tenevano in piedi i valori del nucleo familiare. Questa parziale assenza della donna “in casa” non è stata bilanciata sufficientemente né è stata preparata prima adeguatamente e pro-porzionalmente. Ci siamo trovati all’ improvviso con le “mamme” giustamente fornite di libretto di lavoro, gli è stato permesso di fumare per la strada, di occuparsi di cose prima riservate solo agli uomini; di far parte insomma a pieno titolo e diritto del “sociale”. Sembra a prima vista che ci sia stato un disegno lontano di “recuperare” la donna strappandola dal ruolo di mamma, moglie e amica per portarla quasi a forza nel sociale. Costi quel che costi. Le famiglie tradizionali hanno tentato di salvare il salvabile cercando di equilibrarsi fra presenza sociale, irrinunciabilità alla maternità, necessità educativa, ruolo coniugale. Il risultato in questi ultimi anni è davanti agli occhi di tutti. Si, il ruolo della donna non era adeguato. La sua potenzialità non adeguatamente utilizzata. La sua personalità secondaria. Chi se lo poteva permettere ha tenuto in piedi una facciata positiva ingannando prima se stesso e poi gli altri, in quanto esempio apparentemente positivo. Coppie cristiane con più figli, con mamme impegnate nel mondo del lavoro, con aiutanti domestiche “ a turni”, baby-sitter continue, figli “vaganti” fra la parrocchia, i centri sociali, i luoghi alla moda, gli esperimenti pedagogici. Ognuno con un suo messaggio pedagogico da enunciare a forza, con esasperazione; solo per autoconvincersi di essere nel giusto. Ma quando ci si ritrova in almeno 60 famiglie ad un “corso” per genitori se solo si analizzano i presenti la cosa ha un aspetto sconvolgente. Coppie relativamente giovani che hanno il desiderio, o meglio il bisogno di sapere, di essere illuminati, di verificare. Coppie già nonni o quasi, che tentano un recupero almeno sui figli più giovani non essendo riusciti in pieno con i primi figli. Coppie di ansiosi di sapere “come” educare i propri figli. Coppie di assenti che sanno già e quindi meno bisognosi perché hanno rinunziato a recuperare ciò che poteva ancora salvarsi. Tutto o quasi parte da quanto avevamo inizialmente denunziato. Ci siamo ipocritamente inventati il bisogno di emancipare la donna. La vittima illustre , la famiglia, ha risposto denunziando questo castello di sabbia mettendoci sotto gli occhi i nostri figli vuoti. I nostri figli incosciamente usati come cavie per pedagoghi improvvisati che enunciano una nuova verità ad ogni insuccesso. Cosi come nelle diete ci si propone a distanze regolari un nuovo metodo cosi con i figli questi frankestein dello studio della personalità cambiano cura con una velocità incredibile e ci propinano diete della psiche senza avere avuto il buon gusto di fare il minimo che ci si aspeterebbe da loro: provare sulla loro pelle il “vaccino”. Le nostre mamme reduci da una seconda guerra mondiale, che le ha la sciate a mani vuote si sono riversate sui loro figli come l’ ultima realtà visiva della loro generazione. Noi cresciuti nelle ultime rimasuglie “della fame” del dopoguerra abbiamo coperto i nostri figli di un assurdo benessere che li ha soffocati e svuotati. La immane tragedia ha gettato tutti nel panico e ci ha spinti a rintanarci in casa giustificando questo nostro gesto come difesa dagli attacchi atei della società. Chiusi nelle nostre case siamo diventati pagani anche noi e cosi ci siamo messi ad accusare gli altri di tutti i mali del nostro tempo. L’ uomo certamente non né esce bene se consideriamo che ha permesso che si giocasse questa partita su ciò che ha sempre considerato la parte migliore di sé: la moglie. Avere accettato consapevolmente che la donna si buttasse in questa avventura sociale rende l’ uomo responsabile e nello stesso tempo ne denunzia i limiti e ridimensiona quelle sue capacità e prerogative che ne facevano l’ indiscusso pilota. Fortunatamente ci stiamo avviando verso la bonaccia grazie a quel desiderio impagabile che ogni cristiano possiede: l’ amore che è dentro di lui. Costretti anche come cristiani a partecipare a questa evoluzione sociale abbiamo pagato il nostro prezzo ed ora dobbiamo essere pronti a tirar fuori non solo l’ amore che sonnecchia dentro di noi ma anche l’ orgoglio. L’ orgoglio che per  noi cristiani significa umiltà. Ora è necessario che avvenga un grande gesto di riconciliazione nella famiglia. Riconciliazione che si può tradurre in: chiarificazione, equilibrio, coscienza di dove eravamo arrivati e cosa stavamo perdendo. Se ci ritroviamo in tanti quando qualcuno viene a parlarci di figli, educazione, famiglia, evidentemente a casa ne avevamo bisogno. Ora ridisegniamo in casa nostra quel bellissimo progetto messo su all’ inizio della nostra vita in comune. Siamo stati fatti incontrare. Abbiamo accettato un cammino insieme. Abbiamo progettato e sognato insieme. I nostri figli confermano questo con la loro presenza. Dobbiamo assolutamente trovare perché i nostri figli sono vuoti. Perché non siamo più i loro idoli. Perché la nostra famiglia è “stanca”.
Rimettiamoci a sedere e ripercorrendo la prima parte del nostro cammino comune dobbiamo trovare cosa va cambiato. Questo va fatto come cristiani non come “cittadini”.  

sabato 19 marzo 2011

A FRANCO VIRGA ED EZIO SPATARO ...extraterrestri a Marineo

Ho sempre immaginato che un giorno sarei finito sotto un balcone a fare una serenata a mia moglie con , nascosto in un cespuglio Ezio che mi suggerisce i versi. Mi avrebbe visto con altri occhi. Gli occhi meravigliosi di una innamorata. Ma per me rimane un gesto bellissimo perché è un privilegio andare per merende in compagnia di Ezio Spataro e di Franco Virga. Con due cognomi cosi mi sbalordisco che non siano pupari… Abbiamo pochissimo in comune ma la stima reciproca ci forgia seguendo ciascuno il suo tracciato. Ezio non è un poeta che mercanteggia in titoli e premi. Lo dissi verseggiatore e confermo. E’ un dissacratore di quelli che ti uccidono con le parole che ti leggono dentro esaltando la tua nullità è uno che è meglio farselo amico. Purtroppo è amico di Franco Virga. Prendi il buono e il cattivo. Temo Franco Virga per la sua cultura non arruffonata, ma documentata. Parla per conoscenza, è documentatissimo è la nostra “Treccani marinese”. Fonte interminabile di sapere. Pericolosissimo per gli ignoranti. Me lo immagino Sindaco di Marineo durante la Resistenza. Una sfilza di impalati in piazza Inglima sul lato destro e una fila di teste mozzate sul lato sinistro e lui a leggere serenamente l’elogio funebre con gli occhi gonfi di lacrime mentre si affanna a spiegarci che “loro” si sono sacrificati per il paese facendo passare la cosa come un suicidio collettivo, Vi ricordate di Masada ? Lo vedo promulgare leggi e decreti indecifrabili che presenta come ricette mediche emesse per la nostra salute. Quando ti saluta e tu ignaro ti avvicini per un innocente vasa-vasa lui sembra voglia sputarti e tu indietreggi. Pronipote del portabandiera della squadra dei marinesi al seguito di Garibaldi rimpiange di non aver conosciuto questo bisnonno, e se gli domandate perché , sottovoce ti dice “ i parenti non si possono scegliere…” . Gli chiesi come mai in piazza-Inglima-Loreto non c’erano né il sindaco né il “consulente anargiro” né l’assessore-libraiolo e sempre calmissimo, non è uomo che si scaldi facilmente, “no! per loro ho scelto il….castello la sala congressi….è più adatto per scuoiare...”.Chiaramente dopo Piazza Inglima-Loreto in paese sono rimasti solo Lui e le sorelle-madri del collegio…no scusate ma non riesco a vedere Franco a passeggio per il corso sottobraccio con le suore…
Avere due amici cosi puoi rinunziare alla assicurazione, a terminare gli studi a sentirti protetto.
Onofrio Sanicola

venerdì 18 marzo 2011

MUORE UN MITO


NON PIU MOLTALBANO MA IL COMMISSARIO
MONTETRAMONTO
UNA FICTION ORRIBILE

Andrea Camilleri usa un linguaggio,  con il suo intercalare in lingua siciliana, preso pari pari dai pupari. Scrittore prolifico, sceneggiatore, regista e non so cos’altro ,ha scritto  questo “Campo del vasaio”, da cui è stata tratta la fiction andata in onda su Rai Uno. Questa serie deve la sua fortuna a chi ha curato magistralmente il casting e le eccellenti ambientazioni.Il suo commissario parte sempre dal caso per arrivare a tutt’altro. Corretto più volte dalla sua “anomala” morosa (non sei Dio !) oggi crediamo sia giunto al crepuscolo. Catarella, grasso e impacciato, è una caricatura, Augello guarda la cinepresa come aspettasse ordini… tutti gli altri sembrano tornati dagli Oscar americani. Quello che fa più pena è il commissario Montalbano, alias Luca Zingaretti. Ha accentuato  il suo andare alla cow-boy con le sue gambe arcuate. Saccente, arrogante non nel copione ma si sente estraneo alla recitazione. Affamato anzi morto di fame fa pena vedere la sua faccia da “boccone del povero” che ha perso la sottile capacità dell’uomo alla ricerca di vecchi gusti espressi con occhi e faccia. Gestisce sempre il suo commissariato “da sbirro” ma soprattutto si sente arrivato. Mimi Augello passa per cretino cronico. Il commissario in questo caso è un angelo custode non richiesto. Persino il medico legale è decaduto in personaggio e attore da compagnia parrocchiale. Camilleri insomma ha per il  testo superato se stesso: come al solito una storia scialba più di letto che di intrigo, il regista deve comprarsi un paio di occhiali perché tutti i personaggi hanno recitato male. Si salva la Belen perché in questa sua opera prima ha fatto il suo lavoro discretamente usando bene il suo lato B, facendo fatica a nascondere quel sorrisetto di sottofondo che ha sempre con sè, anche se aiutata dalla sua terribile dizione. In questo paese nessuno sa quando è il momento di andare in pensione.
Se leviamo le scenografie tutto il resto si può buttare nell’indifferenziata.

CICCIU VIRGA DI LA MANCIA SI NCUNTRA' CU NOFRIU PANZA

Ezio Spataro è il terzo a sinistra


Cicciu Virga di la Mancia
si ncuntrà cu Nofriu Panza
e affruntaru lu mulinu
ca dicidi ogni distinu

sempri gritti pi dda strata
caminannu contru ventu
si scuntraru cu la spata
senza isari lu lamentu

curaggiusu è Nofriu Panza
cu lu pedi sempri attentu
li mulini nun li scanza
                                                            

mancu fussiru ducentu

Cicciu Virga spadaccinu
stu paisi ancora un cancia
stannu sutta lu mulinu
cuegghè si scorda e mancia

Chi pacenzia Nofriu Panza
ca ncappà nta st'avvintura
si curà la so spiranza
senza scienza di duttura

acchianà nta a Lumbardia
fici figghi e fici pupi
ora dda nta la Sicilia
l'assartaru centu lupi

Cicciu Virga di la Mancia
chiama ora a Nofriu Panza
v'addumannu stu cunsigghiu
comu fussi vostru figghiu:

quannu arriva troppu ventu
e u mulinu gira forti
cu mi dici nun lu sentu
su li vivi o su li morti?

la me spata è comu canna
iu nun sacciu nzoccu sentu
rispunniti a sta dumanna!
                                        cu è u mulinu e cu lu ventu?

L'aspirante Lancillotto 
Eziu Spataru
 www.percorsipoeticiabrannu.blogspot.com
Una volta leggevo la storia di Don Chisciotte e Sancio Panza, e sognavo un giorno di poterli incontrare. Ebbene i miei desideri sono stati esauditi, perchè questi due personaggi sono diventati miei amici. Ciccio Virga della Mancia lotta contro i mulini a vento, non nel senso che non esistono, ma nel senso che esistono e ormai non ci facciamo più caso. Nofriu Panza, invece è il compagno impavido che riporta sempre alla disincantata realtà, ma che alla fine ama farsi coinvolgere nell'avventura fantastica. Insomma siamo di fronte a due folli, che a Marineo hanno fatto letteratura creando l'opera dei pupi della loro vita. Cicciu Virga, il comunista che abbannìa col suo vecchio megafono ormai scassato e arripizzatu, Onofrio Sanicola che la sera passeggia solitario col suo toscano in bocca pensando al Garibaldi sciupafemmine. Ragazzi io li dichiaro patrimonio inalienabile della Marinesità. Adesso sono diventati i miei compagni di merenda: Sanicola mi propone le poesie a tema, e Cicciu mi fa le presentazione dei libri di poesie, il tutto in modalità anargira (senza picciuli). E' bello scoprire come ci si può divertire senza il danaro, senza finanziamenti nè regionali, nè provinciali, né comunali, né amidicani. Solo pane amore e follia.  Magari si potrebbe pensare ad una associazione culturale che ci raccolga tutti insieme, e invece no, picchì dui foddi nta la stessa argia finisci ca si pizzulianu. Attenzione parlo di una follia positiva, quella follia che ci portiamo dentro da bambini e che aspetta sempre di esplodere, quella follia che ti fa ancora toccare i sogni, e che rischiamo di perdere ogni volta che ci pieghiamo al compromesso, alla buona creanza, alla genuflessione. E.S.


I 62 DI MARINEO

Al Signor Generale Don Giuseppe La Masa
Comandante le Squadre di Gilbirossa
Signore, trovo mio debito, come atto di giustizia, e per venire reso l’ amore al marito, farle conoscere che gli individui descritti nella qui acclusa nota furono quelli tra i primi che insorsero Marineo e che il giorno 21 scorso maggio (1860) partirono meco per le montagne di Gilbirossa imbandendo le armi contro i regi. Non posso però dispensarmi umiliarle che quelli annotati dal n° 1 al n° 28 all’ entrata del giorno ventisette stesso mese del prode Generale Garibaldi colle sue truppe in Palermo furono dei primi appresso i Piemontesi nell’ assalto, facendo il loro primo attacco contro i regi al Ponte cosi detto di testa, cacciando da detto punto i soldati regi, che stavano piazzati al Ponte dell’ Ammiraglio con molto pericolo della loro vita. Indi, con tutta la possibile solerzia meco si avviarono verso Porta Termini, ove pure seguitarono all’ attacco contro i soldati di S.Antonino: dopo lasciato questo punto, passando in mezzo alla pelle e alle mitraglie, che mandava il vapore Napoletano, entrarono con molto vigore per Porta di Termini e tragittando per la via dello stazzone presero meco posto nel Palazzo del Principe di Cutò, ove dal terrazzo e dalle finestre attaccarono un vivo fuoco contro i regi, che stanziavano nel convento di S. Antonino, e senza punto badare alle bombe, che a quella volta venivano dirette, e che molto danno recarono in quelle vicinanze, li medesimi continuarono il loro fuoco con tale energia sino a che il detto convento fu dai suddetti soldati sgombrato. Non tralasciarono li medesimi, come pure tutti gli altri nell’ acclusa nota di accorrere agli attacchi contro i soldati regi, che trovavansi al convento della Nunziata bastione di Porta Montalto e convento dei Benedettini bianchi con tutta la solerzia ed energia di buoni patrioti sostenendo il loro posto da bravi, quando in tal punto venne ordinata la tregua. Ho creduto mio dovere umiliarle tutto l’ anzidetto, quale Comandante Generale la squadra per darsi compiacente rendere di giustizia chi di diritto le dovute lodi e cosi venire in certo modo compensati dei loro servigi resi per la Patria.
Marineo 2 luglio 1860 Il Capo Squadra Andrea Patti
1 D. Salvatore Di Marco, 2 D. Antonino Raimondi, 3 D. Giuseppe Patti e Di Benedetto, 4 Andrea Scapulla, 5 D. Bernardo Pecoraio, 6 Ciro Maneri,7 Antonio Ciancimino, 8 Giacomo Carioto, 9 D. Mariano Triolo, 10 M. Salvatore Collura, 11 Francesco Maneri, 12 M. Antonino Lo Castro, 13 Ciro Bonanno, 14 Filippo Mastropaolo, 15 D. Giovanni Di Marco, 16 M. Giovanni Rao, 17 Francesco Lo Pinto, 18 Tommaso Lo Gelfo, 19 Rosolino De Aversa, 20 Andrea Staropoli, 21 Ciro Maria Mastropaolo, 22 Stefano Carrino, 23 Salvatore La Rocca, 24 Francasco Daidone, 25 Salvatore La Spina,26 D. Francesco Virga portabandiera, 27 Antonio Vilardi, 28 Francasco Palazzo, 29 D. Vincenzo Caramanna, 30 D. Vincenzo Maggio, 31 D. Giuseppe Tasca, 32 Ciro Di Giacomo, 33 Carmelo Di Giacomo, 34 M. Giuseppe Cangialosi, 35 D. Girolamo Librino, 36 D. Onofrio Di Marco, 37 Don Gaetano Albeggiani, 38 M. Giuseppe Loiacono, 39 D. Ciro Virga, 40 M. Filippo Buongiorno, 41 Ciro Pecoraro, 42 Giuseppe Maneri, 43 Andrea Macagnone, 44 Natale Sanfilippo, 45 Benedetto Ruisi, 46 Antonino Dolibella, 47 Giuseppe Pepe, 48 M. Giuseppe Buttacavoli, 49 Giuseppe Rinaudo, 50 D. Santino Coleanni, 51 Girolamo Lombardo, 52 Ciro Cangialosi, 53 Domenico Lo Cicero, 54 Gaetano Di Palermo, 55 D. Giuseppe Paternò, 56 Giuseppe Azzara, 57 Vincenzo La Spina, 58 Ciro La Spina,59 Nunzio Tantillo, 60 Michelangelo Guarneri, 61 Natale Palazzo, 62 M. Antonino Azzara Pamvusio.

giovedì 17 marzo 2011

QUI LONDRA...

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
LONDRA 15 marzo 2011
Gentile Onofrio,
In seguito alla nostra chiacchierata le mando il mio contatto telefonico ed email. Come le dicevo Le scrivo per conto della BBC di Londra, che sta realizzando una serie in tre puntate interamente dedicata alla Sicilia. Si tratta di una pura celebrazione delle bellezze siciliane, un tributo all'unicita’ del patrimonio culturale dell’isola. Considerata una delle principali nella sezione culturale della BBC nel 2011, la serie ‘Sicily Unpacked’ è già annoverata tra i programmi di punta del nuovo anno. Il nostro obiettivo è di creare un’esperienza televisiva che inviti ad esplorare diversi aspetti dell'arte, la storia, la cultura e la cucina siciliana. I presentatori saranno uno dei più famosi critici d'arte inglese, Andrew Graham-Dixon, e il rinomato chef italiano Giorgio Locatelli. Il documentario e’ a scopo educativo e andrà in onda sul canale BBC2 in prima serata, il prossimo autunno.
Una sezione del documentario sara’ dedicata allo storia dei Pupi Siciliani e dei Pupari e ci interessa in particolare la citta’ di Palermo e dintorni. Sappiamo come lei sia oggi tra piu’ attivi pupari e come ha contribuito alla conoscenza e diffusione nel mondo dell’Opera dei Pupi Siciliani. Se le viene in mente qualche altra notizia utile, mi farebbe un grande favore. Appena mi confermano le date delle riprese, le faro’ sapere e cosi’ ci possiamo mettere d’accordo. La ringrazio, le mando i miei piu’ cordiali saluti e spero di avere presto sue notizie. E.M.

mercoledì 16 marzo 2011

EZIO E IO, ESULI IN CERCA DELLA NOSTRA ITACA

Il mio amico Ezio Spataro, poeta anargiro, azzannato e ora aggiungo paladino, di cui come è giusto conserva ancora un grosso bagaglio di principi, di regole, di ideali. Di ideali che si addicono ad un poeta vero. Un buon poeta sconosce le bugie, condanna le ipocrisie, rifugge ogni e qualsiasi forma di arrivismo. Legge il libro Cuore e predilige Platone e il suo manuale dell’amore. Se poi aggiungete a tutto questo che non fa di mestiere l’ingegnere ma l’emigrante il quadro è completo. Vede l’emigrazione come una condanna ai lavori forzati, alla sofferenza, sottratto a forza dalla sua comunità. Chiede rispetto non comprensione perché si sente derubato di affetti e beni. Qualcuno lo ha allontanato dagli affetti e derubato dei luoghi. Gli manca Brannu, il bar di Ciruzzo, le passeggiate nel corso, i commenti salaci, la presunta santità delle nostre donne, l’ipocrisia di certuni. Pensa che la Pro-loco sia una specie di confraternità composta da vergini al di sopra di ogni deviazione. A Milano si è visto recapitare il calendario dei marinesi nel mondo con allegato bollettino postale. “Questo è il modo di esprimere solidarietà agli emigranti, il modo per fare sentire il calore dei suoi compaesani?” è il suo dispiaciuto commento. A Natale ha fatto stampare 150 libretti di poesie e li ha distribuiti gratuitamente ai compaesani che incontrava per strada. Vero poeta anargiro, senza argento. Io, emigrato da cinquant’anni, non ho mai avuto un calendario della Pro-loco, sia pure con allegato bollettino postale. Feudo del potere di turno, incapaci di produrre nulla di popolare, mai sentito un apprezzamento, capaci di “sgarri” epocali, produttori di gaffe da ultimi della classe. Promotore di una iniziativa (Botteghe d’arte) prima che il paese venisse dichiarato “Città d’arte” ed indegnamente escluso dal mazzo di “arte” che comprende più artigiani di fuori paese che di Marineo. Escludere un teatro considerato “patrimonio inalienabile dell’Umanità” è un gesto barbaro. E se mostri il tuo curriculum ti vengono scagliati contro gli infami che utilizzano vergognose e non corrette notizie che fanno parte della privacy protetta dalla legge, ma a Marineo violata in modo eclatante. Non è sufficiente farsi i fatti propri, è un continuo regolamento di conti. Ezio Spataro se la prende anche con l’amiricanu arrinisciutu, con la baggianata del sogno americano, con certo protagonismo che lo infastidisce. Ovviamente sostenuto da un altro amiricanu meno fortunato in danaro ma con altri interessi e obiettivi. Non sopporta l’ipocrisia, l’adulazione verso gli emigranti danarosi perchè sgancino i bei dollaroni per finanziamenti e opere varie. “Il grande potere di seduzione del denaro. La vera carità avviene nel segreto e non aspira a posti in prima fila”. Ricordo lunghe discussioni estive sull’argomento, commenti condivisi. Non ho mai visto un emigrante americano che non ami farsi onore tornando al suo paese. Ricordo file infinite di ragazzini in Piazza Inglima in coda per prendere un gelato offerto da altro americano e noi a fare la fila due volte scambiandoci la giacca . E’ peccato dare un contributo per realizzare un evento? Persino lo Stato esige che venga esposto il suo simbolo stampato in tutte le locandine quando concede un contributo. E noi pretendiamo falsa riservatezza, modestia e non so cos‘altro ancora. Ezio crede che chi ha avuto successo emigrando debba automaticamente essere in odore di santità. Pretende che chi ha raggiunto un benessere consistente debba vestire il saio. Impossibile fare soldi in santità. Mai visto un impiegato o un lavoratore diventare ricchi con lo stipendio. I tempi moderni non possono prescindere da sponsor o mecenati, sta a noi accettarli o meno. Il prurito pretestuoso ci ricorda quando i poveri comunisti non potevano possedere nemmeno una macchina perché destinati alla sofferenza. De Andrè faceva dire ad un avventore sbalordito ‘…ma tu oste con i soldi che guadagni cosa ti compri se non liquori?”
Caro Ezio, appena trovi una vergine in un bordello avvisami.
Ora è stata nominata una donna a capo della Pro-loco. Non so chi sia, ma mi fido di più delle donne. Rimani dove sei.
Onofrio Sanicola

sabato 12 marzo 2011

ANCHE I PICCIOTTI "TENEVANO FAMIGLIA"

Le avventure dei ragazzi che andarono  a liberare la Sicilia dai Borboni narrate da 
Giuseppe Bandi, l’ufficiale che Garibaldi volle con sé come luogotenente
Ventisei anni dopo  la conclusione della spedizione Giuseppe Bandi, il giornalista toscano fondatore a Livorno nel 1877 de Il Telegrafo, oggi Il Tirreno, prese gli appunti che aveva diligentemente annotato durante tutta l’impresa a fianco di Garibaldi e ne trasse il più straordinario, autentico,  racconto storico dell’epopea risorgimentale mai scritto. Il giornalista-scrittore Bandi ne I Mille narra con stile leggero innumerevoli episodi di battaglia e irriverenti ritrattini degli eroi, sottratti al grigiore scolastico, da Nino Bixio a Giuseppe La Masa e ad Agostino Depretis, oltre a un sorprendente Garibaldi, descritti senza retorica, meno grandiosi ma più umani.. Fu un giornalista che seppe sempre mantenere una sua autonomia di giudizio e libertà di critica  e  si impegnò in una lotta politica antisocialista e antianarchica che lo porterà, purtroppo, ad essere assassinato a  Livorno nel 1894.
Pubblichiamo uno stralcio di questo capolavoro della letteratura garibaldina:
Da che eravamo scesi in Sicilia nessun provvedimento avea preso il dittatore per regolare le nostre paghe; né ufficiali né soldati avevano soldo fisso, e solo, di quando in quando, s'era distribuito loro qualche pizzico di denari, tanto perché assaggiassero la moneta coll'impronta del Borbone e de' suoi gigli.
Questa musica non piacque a Bixio, che un tal giorno, rammaricandosene con parecchi di noi, disse:
– Nessuno partì per la Sicilia coll'idea di diventar ricco, ma nessuno può starsene qui in buona pace, quando pensa che ha moglie e figliuoli a casa, come io li ho, che non aspettano da Dio la manna, ma aspettano pane dai mariti e dai babbi. Il generale ha certe sue idee stupende intorno al disprezzo del denaro; ma bisogna riflettere che egli non ha bisogno di danari per vivere, e tutti sappiamo che riuscirebbe appena a distinguere un soldo da una lira. Ora, sarebbe tempo che pensasse a noi e ci mettesse in caso di mandare qualcosa alle nostre famiglie, perché chi non ha moglie e figliuoli avrà il babbo vecchio e povero, o avrà delle sorelle, ed è giusto che se ne rammenti. Parliamogliene un poco e vediamo di persuaderlo.
– Hai ragione – dissi – e credo che anche il generale dovrà capirla. Noi combattiamo per l'unità d'Italia e spiegammo la bandiera di Vittorio Emanuele ed è giustissimo che ci si consideri come i soldati dell'esercito.
Le nostre ragioni eran buone e non facevano una grinza, e tutta la brigata ci fece eco, ed ogni bocca manifestò il parere che qualcun di noi movesse primo la pedina verso il generale.
Salito su in palazzo, colsi un momento che il generale era solo, e gli riferii ciò che tra noi s'era detto e misi innanzi Bixio, come quegli che aveva moglie ed era carico di figliuoli, ed aveva un sacco di ragioni dalla sua.
Garibaldi mi stette a sentire, e poi, stringendosi nelle spalle rispose:
– E che cosa volete fare della paga? Quando un patriota ha mangiato la sua scodella di zuppa, e quando le faccende del paese vanno bene, che mai può desiderar di più?
Non m'arrisicai a rispondere, e còlto il destro d'andarmene senz'aver l'aria di ritirarmi colle trombe dentro il sacco, corsi a trovar Bixio, e gli dissi:
– Ho adempiuto la commissione, ma il generale mi ha risposto così e così. E gli ripetei parola per parola, quanto mi aveva detto. Ed egli a me:
– T'ha detto questo, e tu non hai soggiunto nulla?
— Nulla — risposi. — Lo sai bene che quando il generale s'è fitta in capo una cosa neanche Cristo sarebbe buono a smuoverlo.
Bixio se ne andò taroccando, e non so con chi altri tornasse sull'argomento; ma il fatto è che, due giorni dopo, un decreto del dittatore, pareggiava in tutto e per tutto l'esercito de' volontari all'esercito regolare, mettendo in vigore tra noi i regolamenti, il codice penale militare e la magna tabella delle paghe e vantaggi, e di quant'altro c'era di dolce e di brusco negli ordini militari del regno sardo.
Giuseppe Bandi - I Mille, quei ragazzi che andarono con Garibaldi - 
Ed. Nuovi Equilibri -           Viterbo 2009 pag. 398  

RISTORARTE MARZO 2011

Ristorarte marzo 2011 

ECCO QUESTA è LA DONNA MODERNA :
LUCILLA BENANTI
NUMBER ONE SUPER WOMAN
“Ci sono cose che si fanno per amore”. Immagino mazzi di rose, bottiglie ricercate, champagne in coppe d’argento fuori e dorate all’interno. Donne fatali che ti asciugano la vita… Niente di tutto questo. “ La fatica di mettere assieme 14 artisti marinesi è ciclopica”. Ci vorrebbe Freud per descrivere questi “maestri”. “Ma è la mia soddisfazione di averli abbinati, scelti, esposti. La sera quando la notte butta fuori tutti, si spengono insegne e luci io giro per i saloni, cambio continuamente angolatura, gioco con le luci, mi siedo valorizzando i dettagli... sono il padrone assoluto di creazioni fatte da terzi e ne sono possessore pro-tempore. Colori, colori, colori”. Salvatore Pulizzotto conosce persino che acrilici sono stati usati, terre e colla, oli. Ti fa vedere come un pittore naif inchioda le tele con chiodi arrugginiti e recuperati, cornici stonate ma pitture che lui chiama “opere”. Non gli scappa nemmeno un commento negativo. Di Elio Arnone mi aspettavo i suoi spazi infiniti pieni di colore ed invece si presenta con ritratti di nonni immortali. Pietro Taormina alla ricerca della bellezza femminile ci presenta un volto intelligente efficacemente espressivo. Ninetto Lo Pinto ci angoscia con foto con oscuri significati che sulla scia della moderna fotografia d’arte ci vorrebbe trascinare dietro i suoi incubi irrisolti. Bravo Mario Di Sclafani con il suo volto che mostra un lato solo della luna, quello illuminato da un sottile sorriso .Salvatore Princiotta ha deciso di intraprendere un nuovo cammino. Apprezzato naif questa nuova esperienza stenta a farsi strada fra una prospettiva e girasoli inventati. Speriamo trovi presto la sua nuova identità. Stupisce Antonella Vasta per il suo stile alla De Nittis con campi di papaveri in mezzo a campi di grano troppo maturi. Rosario Rigoglioso lo conosciamo, sempre pulito attento e preciso. Maria Rita Quartararo ci presenta un volto di donna dai fini lineamenti, un volto soave d’altri tempi perché non è certamente il volto della donna di oggi. Ci conforta che qualcuno immagina donne ancora cosi sognanti. Antonio Calabrese maestro di trompe l’oeil ti imbroglia perché la sua porta del castello non è una foto ma bensì un dipinto. Gli assenti non sono giudicabili: forse abituati a gallerie planetarie disdegnano i “ristorarte” popolari, rendendosi preziosi , insolenti o arroganti. Proprio in occasione della cosiddetta “festa della donna” colpisce la triste sensualità delle due donne condannate in un abbraccio sterile. Superba rappresentazione della donna di oggi, obbligata a rinunziare alla propria bellezza, a caccia di una nuova identità difficile da trovare. Alla ricerca di un nuovo ruolo dove si mortifica la bellezza del corpo, la esuberanza, la aggressività a discapito di una universalità non consolidata, di una superiorità impareggiabile. Lucilla Benanti ha saputo cogliere, quasi fotografare, il travaglio della donna moderna. Complimenti.
Entro alla sovarita con la speranza che la “donna in nero” che mi accolse benevolmente la volta scorsa mi gratifichi di qualche sorriso e sento mormorii richiami e concitazioni. ‘Si è lui… sta entrando, è proprio lui…’ Mi schernisco da solo. Intanto la voce di prima annunzia: ‘Si è proprio lui è… Raul Bova…’ grida qualcuno mentre varco la soglia del ristorante. Non mi hanno ferito le risate dei presenti ma…la Rita delusa con le braccia cadenti sui fianchi e un’espressione da bambina derubata della sorpresa. Gli amici gli avevano annunziato la presenza del suo attore preferito e lei abboccando si aspettava veramente Raul Bova mentre invece…vede me innocente, trasandato come al solito e ferito dall’espressione avvilita della Rita. Sono salvato dalla compagnia di tanti maestri, che per tutta la serata mi accompagnano descrivendomi le loro “opere”.
Onofrio Sanicola 

La  Sovarita Strada per Godrano Marineo  5-31 Marzo  0916194526

venerdì 11 marzo 2011

IL GRINTA

(Western, Usa 2010 diretto da Joel e Ethan Coen con Jeff Bridges, Matt Damon, Josh Brolin)
Ifratelli Coen tornano a girare un film western dopo il successo di “Non è un paese per vecchi” e lo fanno con un remake de “Il Grinta” film con John Wayne del 1969, tratto a sua volta da un omonimo libro d Charles Portis. La storia è quanto mai semplice: ad una ragazzina di quattordici anni viene ucciso il padre, lei cerca vendetta e si rivolge ad un vecchio sceriffo soprannominato “Il Grinta” ma anche un texas rangers è sulle tracce dell’assassino. I tre formeranno un’improbabile squadra che partirà alla ricerca dell’assassino.Il film, diciamolo subito, non è un capolavoro e nemmeno una delle migliori prove dei fratelli Coen. Si apprezzano certamente la splendida fotografia, i dialoghi brillanti e divertenti e gli attori (soprattutto Jeff Bridges mentre Damon sembra più una figurina) e anche l’intreccio che pone come protagonista una ragazzina nel mondo western è decisamente interessante.Quello che manca è una certa inventiva sulla storia e sul genere che ha caratterizzato la carriera dei due fratelli registi. Non avviene quello che è accaduto invece per “Non è un paese per vecchi”: un evoluzione del genere che diventa “new-western”, questo film rimane un western-western.  Il film tratta il tema, già esploratissimo, della vendetta ed ha il grande merito di farlo senza retorica (nonostante chi cerchi vendetta sia poco più di una bambina). Il viaggio della vendetta della ragazzina diventa un viaggio di formazione e di crescita in un modo diverso da come si intendono normalmente queste due parole. La ragazzina capirà cosa sia il coraggio, la forza, la lealtà, l’onore, la vendetta e l’amicizia. All’inizio del film introduce i fatti, la voce narrante della stessa ragazzina divenuta donna, ed è come se ricordasse quando è diventata donna.Nel complesso un bel film, godibile, a tratti divertente, non un lavoro così sperimentale ed innovativo come siamo stati abituati da altri film dei fratelli Coen. G.S.

giovedì 10 marzo 2011

GARIBALDI ALLA FICUZZA

Disegno dal vivo dalla biblioteca di O.Sanicola

SI AVVICINA
IL 151° ANNIVERSARIO
DI QUEL VENERDI’ 25 MAGGIO 1860 IN CUI
GIUSEPPE GARIBALDI
ALLE 9,30 DEL MATTINO SI FERMA A MARINEO
PROVENIENTE DA ACQUA DI MASI
PER RIPARTIRNE ALLE 18 E DORMIRE
LA SERA A MISILMERI

150 ANNI DI NOTIZIE, CURIOSITA’, AVVENIMENTI
SEGUIAMOLO

mercoledì 9 marzo 2011

GARIBALDI SCRITTORE POPOLARE


L’Eroe dei due mondi romanziere per necessità:
c’era da tenere vivo il mito e da campare la numerosa famiglia

I romanzi di Garibaldi, scritti negli ultimi vent’anni della sua esistenza, più delle  agiografie ufficiali, costituiscono ancora oggi le testimonianze più vere della sua straordinaria vicenda e del suo pensiero. L’eroe del Risorgimento ne scrisse ben quattro, malgrado fosse tormentato dall’artrite alle mani. Stesi in un italiano incerto - ma con grande passione civile e varietà di lessico dovuta alle diverse parlate con cui fu a contatto - raccontarono la  sua vita e le sue imprese allo scopo di mantenere vivo il mito e anche, come da lui stesso ammesso, “per ritrarne un onesto lucro dal mio lavoro”. Nonostante gli giungessero spesso graditi doni dai suo ammiratori stranieri il Generale era sempre  piuttosto indebitato. Le pagine garibaldine, scritte con un traballante impianto narrativo, sono state definite “brutte” dallo storiografico e accademico Mario Insenghi, che in Garibaldi fu ferito (Donzelli editore) non ne fa un ritratto agiografico o trionfalistico ma lo restituisce alla natura di uomo dalle mille contraddizioni, tormentato da scelte in certi momenti più grandi di lui.  Nel suo primo romanzo Clelia o il governo dei preti scritto nel 1869, un polpettone tutto centrato sulla denuncia degli spregiudicati costumi  sessuali di preti e suore, il mangiapreti Garibaldi sfogò il suo odio ossessivo per la Chiesa cattolica “gramigna contagiosa dell’umanità” e nei suoi furori anticlericali definì Pio IX “quel metro cubo di letame” L’Eroe dei due mondi si servì dell’invenzione letteraria come un’arma in più e non meno affilata per battersi contro la Chiesa. Nel 1870 è la volta del romanzo storico Cantoni il volontario con protagonista un romagnolo, Achille Cantoni “volontario non soldato” che gli aveva salvato la vita  presso Velletri.  L’amore puro e appassionato di Ida e Cantoni, la lotta tra il buono (il volontario) e il cattivo (l’infame prete) la stoccata contro i regnanti -  tutti -  fino alla vittoria del male per tradimento e alla morte sacrificale di Ida e Cantoni sull’altare di quella patria che lentamente stava nascendo, sono gli ingredienti non ben amalgamati della storia. Ma c’è dentro tutta la passione del Nizzardo, il seduttore delle folle, che ha il merito di aver infiammato la gioventù dell’epoca, spinta da un ideale di libertà, coinvolgendola in una sfida con la morte. Con I Mille del 1874 Garibaldi si proponeva di “combattere moralmente per la ragione e la giustizia, non potendolo materialmente” nel desiderio di “accennare a quanti morirono gloriosamente per l’Italia”. Alle Memorie, iniziate nel 1849, si dedicò a lungo intervenendo più volte negli anni successivi sul testo, convinto di racchiuderne una summa di fatti e riflessioni che servissero “all’educazione politica e civile degli italiani” chiamati a partecipare al completamento della vicenda risorgimentale. Dopo mille traversie l’Italia era nata ma tenerla unita era un’impresa non facile che, dopo centocinqant’anni, ci vede ancora oggi impegnati.

Mariolina Sardo

martedì 8 marzo 2011

GARIBALDI TOMBEUR DE FEMMES

Tutte pazze per Garibaldi. Conquistate dal mito dell’eroe romantico
e coraggioso cadevano ai suoi piedi popolane e nobildonne

Il gran condottiero, il padre della Patria, il valoroso generale del Risorgimento aveva un gran successo con le donne. Molte persero la testa per lui: nobili e popolane, scrittrici e lavandaie. Tutta colpa dei lunghi capelli color grano, della sua faccia leonina incorniciata da una barba volutamente incolta, del suo sguardo limpido, della sua personalità magnetica. Eppure era di statura modesta, fisico muscoloso ma con gambe corte e storte e, a giudicare dall’andatura, affetto da reumatismi. Idolatrato da mezzo mondo, ma ancorato ai valori della semplicità e della solitudine, era per il gentil sesso l’uomo che incarnava l’eroe forte e generoso e gli si cacciavano volentieri tra le lenzuola senza che perdesse tempo a corteggiarle. Difficile elencarle tutte. La contessa Maria Martini Giovio della Torre, paragonata alla contessa di Castiglione per il suo fascino, lasciò il marito e si propose a Garibaldi come compagna nella gloria e nella sventura Ma il generale non la ricambiò e la contessa tentò il suicidio finendo rinchiusa in manicomio circondata da panni rossi come le tipiche camicie. Molte altre nobildonne furono pazze dell’eroe dei due mondi: da Madame Louise Colet, una poetessa spregiudicata a cui ricordava il Cristo dell’Ultima Cena di Leonardo, ad Anne Isabelle la moglie del poeta Lord Byron finanziatrice della spedizione dei Mille. A Lady Shaftesbury, che voleva una sua ciocca di capelli, il generale rispose che non ne aveva più per l’esagerata richiesta e pregò milady di pazientare che la chioma gli ricrescesse. Esperance Brand, una nobildonna inglese colta e affascinante, lo raggiungeva a ogni sua chiamata, mentre l’eroe avrebbe sposato volentieri Emma Roberts se non fosse stato scoraggiato dalla lussuosa vita londinese della donna. Emma provvide all’educazione di Ricciotti (secondogenito di Garibaldi, ndr) a Londra e fu promotrice di una colletta con cui gli amici inglesi acquistarono l’altra metà di Caprera per farne dono all’amico carico di gloria e di debiti. Gli inglesi avevano un’adorazione per il romantico generale italiano e gliene diedero prova regalandogli perfino un vascello.. Garibaldi aveva infatti comprato una parte dell’isola di Caprera per viverci in solitudine e immerso nella natura. Lì trasferì i figli con la servetta Battistina Ravello, analfabeta, un’amante di serie B, che non sposò mai pur avendogli dato una figlia. Fu poi la volta della scrittrice Speranza Von Schwortz che sbarcò nell’isola con l’intento di conoscere l’uomo di cui tutto il mondo parlava e che gli fu amica preziosa e devota. Antonia Masanella, al secolo Tonina Marinelli di Cervarese Santa Croce in provincia di Padova, questa volta con il marito conquistato anche lui dall’eroe, raggiunse i Mille a Salemi, e combatté al loro fianco travestita da uomo con incredibili coraggio e capacità. Ma le storie importanti furono altre. Ebbe tre mogli ufficiali. Ad Anita Ribeiro de Silva, una bruna alta e prosperosa con profondi occhi neri conosciuta in Brasile, dichiarò senza preamboli: “Tu devi essere mia!” La convinse facilmente dopo lunghe romantiche passeggiate sulla spiaggia. Anita gli insegnò a cavalcare, ricevendone in cambio l’addestramento militare, abbandonò il marito imposto dalla madre per fuggire con l’intrepido condottiero. Alla morte del marito lo sposò nel 1842, diventando la compagna nel periodo più drammatico della sua vita e morì di meningite a vent’otto anni, dopo avergli dato quattro figli. Il generale aveva il vezzo di chiamare i figli con i cognomi di personaggi a lui cari: infatti nacquero Menotti, in ricordo del patriota modenese Ciro Menotti, Ricciotti in memoria di Nicola Ricciotti, fucilato con i fratelli Bandiera nel 1844, Rosina e Teresita. Dopo la morte di Anita frequentò diverse donne alla ricerca della giusta compagna di vita ma, sensibile alle giovinette il generale, ormai avanti negli anni, incappò nella giovane marchesina diciassettenne comasca Giuseppina Raimondi che lo raggirò facendogli credere che il figlio che aspettava fosse suo mentre in realtà, come una lettera anonima rivelò, era di un ufficiale di cavalleria. Garibaldi prontamente la ripudiò nello stesso giorno del matrimonio avvenuto nel 1860. Il bimbo che Giuseppina aspettava nacque morto e il suo vero padre morì in Siberia dopo aver combattuto per la libertà della Polonia. Come compagna scelse Fancesca Armosino, una giovane e robusta contadina analfabeta di origine armena che gli diede tre figli, Clelia, Rosa e Manlio ma che sposò solo quando riuscì ad ottenere dopo vent’anni la sentenza di annullamento del matrimonio con la Raimondi. Francesca Armosino bastone della vecchiaia, Giuseppina Raimondi la ferita più grave, Anita il grande amore.

Mariolina Sardo