sabato 12 marzo 2011

ANCHE I PICCIOTTI "TENEVANO FAMIGLIA"

Le avventure dei ragazzi che andarono  a liberare la Sicilia dai Borboni narrate da 
Giuseppe Bandi, l’ufficiale che Garibaldi volle con sé come luogotenente
Ventisei anni dopo  la conclusione della spedizione Giuseppe Bandi, il giornalista toscano fondatore a Livorno nel 1877 de Il Telegrafo, oggi Il Tirreno, prese gli appunti che aveva diligentemente annotato durante tutta l’impresa a fianco di Garibaldi e ne trasse il più straordinario, autentico,  racconto storico dell’epopea risorgimentale mai scritto. Il giornalista-scrittore Bandi ne I Mille narra con stile leggero innumerevoli episodi di battaglia e irriverenti ritrattini degli eroi, sottratti al grigiore scolastico, da Nino Bixio a Giuseppe La Masa e ad Agostino Depretis, oltre a un sorprendente Garibaldi, descritti senza retorica, meno grandiosi ma più umani.. Fu un giornalista che seppe sempre mantenere una sua autonomia di giudizio e libertà di critica  e  si impegnò in una lotta politica antisocialista e antianarchica che lo porterà, purtroppo, ad essere assassinato a  Livorno nel 1894.
Pubblichiamo uno stralcio di questo capolavoro della letteratura garibaldina:
Da che eravamo scesi in Sicilia nessun provvedimento avea preso il dittatore per regolare le nostre paghe; né ufficiali né soldati avevano soldo fisso, e solo, di quando in quando, s'era distribuito loro qualche pizzico di denari, tanto perché assaggiassero la moneta coll'impronta del Borbone e de' suoi gigli.
Questa musica non piacque a Bixio, che un tal giorno, rammaricandosene con parecchi di noi, disse:
– Nessuno partì per la Sicilia coll'idea di diventar ricco, ma nessuno può starsene qui in buona pace, quando pensa che ha moglie e figliuoli a casa, come io li ho, che non aspettano da Dio la manna, ma aspettano pane dai mariti e dai babbi. Il generale ha certe sue idee stupende intorno al disprezzo del denaro; ma bisogna riflettere che egli non ha bisogno di danari per vivere, e tutti sappiamo che riuscirebbe appena a distinguere un soldo da una lira. Ora, sarebbe tempo che pensasse a noi e ci mettesse in caso di mandare qualcosa alle nostre famiglie, perché chi non ha moglie e figliuoli avrà il babbo vecchio e povero, o avrà delle sorelle, ed è giusto che se ne rammenti. Parliamogliene un poco e vediamo di persuaderlo.
– Hai ragione – dissi – e credo che anche il generale dovrà capirla. Noi combattiamo per l'unità d'Italia e spiegammo la bandiera di Vittorio Emanuele ed è giustissimo che ci si consideri come i soldati dell'esercito.
Le nostre ragioni eran buone e non facevano una grinza, e tutta la brigata ci fece eco, ed ogni bocca manifestò il parere che qualcun di noi movesse primo la pedina verso il generale.
Salito su in palazzo, colsi un momento che il generale era solo, e gli riferii ciò che tra noi s'era detto e misi innanzi Bixio, come quegli che aveva moglie ed era carico di figliuoli, ed aveva un sacco di ragioni dalla sua.
Garibaldi mi stette a sentire, e poi, stringendosi nelle spalle rispose:
– E che cosa volete fare della paga? Quando un patriota ha mangiato la sua scodella di zuppa, e quando le faccende del paese vanno bene, che mai può desiderar di più?
Non m'arrisicai a rispondere, e còlto il destro d'andarmene senz'aver l'aria di ritirarmi colle trombe dentro il sacco, corsi a trovar Bixio, e gli dissi:
– Ho adempiuto la commissione, ma il generale mi ha risposto così e così. E gli ripetei parola per parola, quanto mi aveva detto. Ed egli a me:
– T'ha detto questo, e tu non hai soggiunto nulla?
— Nulla — risposi. — Lo sai bene che quando il generale s'è fitta in capo una cosa neanche Cristo sarebbe buono a smuoverlo.
Bixio se ne andò taroccando, e non so con chi altri tornasse sull'argomento; ma il fatto è che, due giorni dopo, un decreto del dittatore, pareggiava in tutto e per tutto l'esercito de' volontari all'esercito regolare, mettendo in vigore tra noi i regolamenti, il codice penale militare e la magna tabella delle paghe e vantaggi, e di quant'altro c'era di dolce e di brusco negli ordini militari del regno sardo.
Giuseppe Bandi - I Mille, quei ragazzi che andarono con Garibaldi - 
Ed. Nuovi Equilibri -           Viterbo 2009 pag. 398  

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