mercoledì 19 settembre 2012

IL TESTAMENTO DEL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI


     Il cardinale ha scelto per la sua tomba un versetto del salmo 119: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Giustamente perché questa frase lo rappresenta meglio di tutte. Invitava instancabilmente i suoi fedeli a leggere e meditare la Bibbia, faceva riscoprire la lectio divina. Già come un semplice gesuita studiava attentamente le Sacre Scritture, tanto più da arcivescovo di Milano e poi a Gerusalemme da cardinale “emerito”. Ma non si trattava di uno studio accademico. Carlo Maria Martini cercava la Verità e l’ha vissuta profondamente. A Milano l’ha cercata insieme ai non credenti, ai rappresentanti di altre religioni. Anche se i giornali hanno riportato l’ultima sua intervista nella quale avrebbe voluto una Chiesa meno “stanca”, “che libera la brace dalle ceneri”, il suo moto era “fede, fiducia e coraggio” e invitava ogni credente a domandarsi: “Tu, che cosa puoi fare per la Chiesa?” Si domandava sinceramente: “Il nostro patrimonio culturale che dobbiamo conservare è ancora in grado di servire l’evangelizzazione e gli uomini? Oppure intrappolano le nostre forze in modo da paralizzarci quando un bisogno ci schiaccia?” Ma le domande più urgenti e più difficili ci ha lasciato cardinal Martini con la sua malattia e la sua morte. Come Giovanni Paolo II è stato colpito dalla malattia di Parkinson e come lui non ha mai nascosto i tormenti legati ad essa, anzi li affrontava con coraggio. Ha però chiesto che non si applicasse a lui l’accanimento terapeutico. I giornali scrivevano che ha “rifiutato le cure” e già si facevano i paragoni con i casi di Eluana Englaro o Piergiorgio Welby. E bene riportare le parole del responsabile del Centro per la malattia di Parkinson di Milano, dott. Pezzoli, che ha curato Carlo Maria Martini per diedi anni: “Il cardinale non era più in grado di deglutire nulla ed è stato sottoposto a terapia parenterale idratante. Ma non ha voluto nessun accanimento terapeutico: né la peg, il tubicino per l’alimentazione artificiale che viene inserito nell’addome, né il sondino naso-gastrico. E’ rimasto lucido fino alle ultime ore”. La sua malattia lo portava verso la morte imminente, l’essere nutrito artificialmente non lo guarirebbe, allungherebbe solo la sua agonia. Non è stato aiutato a morire. In questi casi bisogna stare attenti alla confusione di termini. Non nutrire artificialmente qualcuno che è vitale, ma in coma, non è la stessa cosa come smettere di mangiare perché sto per morire. Cercare la verità anche in questo campo significa rispettare pienamente il testamento di Carlo Maria Martini.
     La sua scomparsa ha fatto riflettere molti sulle sue parole, sul suo esempio e le decine di migliaia di persone che gli hanno reso l’ultimo omaggio lo dimostrano. C’erano giovani, anziani, credenti e non, turisti, milanesi semplici insieme alle autorità.  Durante il suo funerale è stata ricordata un’altra massima che il cardinale amava dire: “Per amore di verità, abbracciare le difficoltà”. Carlo Maria Martini l’ha fatto fino in fondo. 
Ruzena Ruzickova

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