sabato 8 settembre 2012

LA STORIA DI SICI' E LIA

ECCOVI UN BEL RACCONTO DI FRANCESCO D'AGOSTINO. UTILISSIMO AI DOCENTI DELLE SCUOLE DA USARE E ADATTARE, COMMENTARE , ELABORARE. A TUTTI COLORO CHE PIACCIONO I RACCONTI, AGLI AMATORI DI STORIE NON SOLO LOCALI. SCRITTO BENE E SCORREVOLE. 

di Francesco D’Agostino

               C’è una grande e splendida isola al centro del Mare Mediterraneo che,  anticamente, testimoniava della bontà degli dei. Di una bellezza incomparabile, quest’isola era ricca di sterminati campi di grano, di verdeggianti distese di ulivi, di dorati frutti succosi, di papiri, ricca di fiumi e di armenti. Lo sguardo si sperdeva nella  bellezza selvaggia della sua terra e del suo mare.  Però, in quei tempi lontani, i due popoli che abitavano l’isola erano divisi da un’atavica rivalità che si consumava in continue e cruente lotte che li fiaccavano, ma il loro orgoglio era troppo forte per farli desistere. Un giorno avvenne un fatto tanto importante da cambiare il loro destino: gli acerrimi nemici si unirono in unico ideale di amore e convivenza civile.
Carta araba della Sicilia consultabile in redazione
              Come si conviene in una favola, facciamo qualche passo indietro, all’inizio della nostra storia. “Sicì“, giovane principe paladino, era l’unico figlio del re genio “Spigadoro”, che regnava sul popolo d’occidente dell’isola, abilissimo nel governare ed amministrare il suo popolo e spregiudicato accentratore di ricchezze. Nel regno d’oriente, la bella “Lia” era una giovane principessa guerriera, figlia del re ciclope “Occhiosolo”, che governava la terra orientale, abitata da commercianti abili ed industriosi, orgogliosi della loro grande abilità nell’arte mercantile.               Drappelli di guardie a cavallo, guidati dai rispettivi capi, il fiero Sicì e l’ardimentosa Lia, compievano frequenti e veloci scorribande nel terreno avversario. Era inevitabile, prima o poi, che le due fazioni si incontrassero e si scontrassero ai confini delle loro terre. I due principi non si conoscevano, ma la linfa della rivalità che scorreva nel loro sangue li portò ad affrontarsi in una furibonda sfida. Ancora oggi i posteri  del luogo rievocano queste loro gesta  tramandate da racconti antichi.    Per tre giorni e tre notti durò l’estenuante lotta. Invano Sicì brandiva la sua spada che veniva frenata dallo scudo di Lia. Invano la principessa, presa dal furore, si allontanava galoppando, per trovare una piccola altura dalla quale potesse puntare il suo arco contro Sicì. Le sue frecce si spuntavano contro la corazza del giovane principe. Sembrava che questa lotta non dovesse avere mai fine, come se gli dei seguissero dall’alto lo spettacolo avvincente di questi due giovani belli e vigorosi e non volessero che avesse fine.
              Ebbene, forse voi non ci crederete, fu proprio la dea dell’Amore, che decise di intervenire. I soldati e le guardie non avevano più la forza di combattere, i cavalli sbandavano e si erano fatti lenti e riottosi. I due giovani principi, esausti, sollevarono per un attimo la visiera dei loro elmi. Bastò quell’attimo perché la poca energia di cui ancora disponevano si convogliasse nei loro sguardi.  Come due veloci saette che nelle notti d’estate gli astri cadenti squarciano di luce il cielo, i loro sguardi si incontrarono, si trafissero, si riconobbero, si arresero alla forza irresistibile che li spingeva uno verso l’altra, dimentichi dell’odio passato, spronati da una dolcissima curiosità, da un incontro fino ad allora sconosciuto. Scesero dalle loro cavalcature che andarono libere senza allontanarsi. Sicì si avvicinò a Lia, si tolse l’elmo, lei si avvicinò e le sue chiome brune si disciolsero lungo le sue spalle.     Erano bellissimi e non ci fu bisogno di parole. I loro occhi si dissero tutto, d’impeto le loro labbra si unirono, suggellarono quella notte senza più sfidarsi un patto d’amore e di pace. Gli dei erano soddisfatti e questo, nelle favole di solito è il lieto fine, senonchè, oltre ai capricci degli dei mettici pure le stupidaggini umane che spesso capovolgono i buoni sentimenti, inventando quelle crudele assurdità di cui la storia è piena.     Cari amici, le fazioni orientale ed occidentale continuarono ad affrontarsi, nonostante Sicì cercasse di convincere il suo augusto padre a far deporre le armi nel nome di un diverso futuro, improntato nello scambio pacifico e prosperoso e altrettanto facesse Lia con il re ciclope. Inutilmente, tanto che nelle corti avverse si decise di organizzare un torneo all’ultimo sangue, sovvertendo le antiche regole cavalleresche.  I due giovani innamorati si incontravano di nascosto, si amavano sotto la luna, aspettando il giorno in cui poter proclamare al mondo intero e, soprattutto, ai loro genitori, il loro amore. Quando venne bandito il torneo, si resero conto che sarebbe stato difficile riconoscersi sul campo di battaglia, perché nessuno avrebbe potuto portare insegne né i cavalli portare gualdrappa che avvertissero il riconoscimento del cavaliere.               Come fare? Subito i due innamorati decisero di affidarsi ai loro scudieri che li avrebbero informati su un segno di riconoscimento che pur passando inosservato agli altri partecipanti al torneo, consentisse loro di individuarsi. C’era però un nemico in agguato, pronto a mandare a monte i loro piani, e aveva le sembianze del cattivo generale “Mafione” che, attraverso i suoi spioni, era venuto a conoscenza  degli incontri segreti dei due giovani.  Da tempo Mafione tramava per rovesciare il re Spigadoro e usurpare il trono, ma prima voleva sbarazzarsi del giovane Sicì, di cui temeva i valorosi slanci. Il torneo rappresentava l’occasione d’oro per i suoi piani. Riuscì a corrompere lo scudiero di Sicì, che così  avrebbe dato allo scudiero di Lia riferimenti falsi, riportando poi al suo cavaliere elementi che lo avrebbero depistato.
              Potete immaginare le conseguenze di questo tradimento? Durante la lotta furibonda Lia si comportò come una leonessa, il suo cavallo sembrava indemoniato. Lia depistata scoccava frecce a destra e a manca. Una di esse ferì a morte l’amato Sicì e lui lo stesso, raccogliendo le sue ultime forze, menò un terribile fendente che colpì il cavaliere nemico proprio nello spazio tra l’elmo e la corazza.   Quel cavaliere era Lia, che scivolò morente da cavallo e giacque a terra, vicinissima a Sicì, tutte e due morenti, inconsapevoli perché non si erano riconosciuti, con gli ultimi sguardi rivolti al cielo, come chiedendosi il perché dell’assenza degli dei. Ma anche gli dei devono arrendersi di fronte alle regole di un torneo, devono limitarsi ad assistere alla lotta frenando la pietà.   Alla fine del torneo, si contarono i morti. Re Spigadoro abbracciò il corpo esamine di Sicì e cominciò a singhiozzare per la perdita del suo amato erede. Pianse tanto, ma tanto, che con le sue lacrime si formò un fiume in piena che irrigò una distesa brulla dove nacquero abbondanti messe di biondo grano.    Re Occhiosolo, invece, restò muto, ma lo invase una tremenda ira contro se stesso. Il suo orgoglio e la sua ostinazione avevano portato a morte la sua unica figlia, valorosa e bellissima. Cominciò a colpire la terra con i pugni, e i colpi erano così forti ma così forti, da provocare uno sconquasso nella terra e nelle rocce d’oriente.    Con la sua forza scatenata tanto colpì da provocare un terremoto che fece sollevare un enorme vulcano, scatenando un vero fuoco infernale, da cui si levarono con un rombo assordante cumuli di rocce ardenti, canali incandescenti di lava, cenere e lapilli, seminando il terrore nei contadini delle campagne circostanti.    Con il capo cosparso di quella stessa cenere, sotto il sole oscurato dal fumo che usciva  dal cratere. Occhiosolo si avviò, solo, ad incontrare Spigadoro, che aveva esaurito tutte le sue lacrime. I due re si abbracciarono commossi.    Dov’era l’odio che li aveva divisi? Non c’era più. Restava solo tanta stanchezza per la guerra che li aveva fiaccati e un desiderio di pace, una pace duratura che ponesse fine alle guerre fratricide e desse una nuova speranza alle loro genti e alle future generazioni. Giurarono di coltivare il ricordo dei loro passati errori, perché fosse di monito e perché il sacrificio dei caduti non andasse perduto. No, il sacrificio dei giovani principi non andò perduto..Dall’unione dei loro due nomi derivò la denominazione di quella splendida isola..SICI-LIA!

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