Un cantuccio del passato che
resiste nel presente!
L’ordine delle collegine fu fondato nel Lazio nel
corso del primo ventennio del diciottesimo secolo. Con la sua nascita
cominciarono ad essere costruiti i primi edifici che avrebbero ospitato la vita
delle nuove sorelle e con l’arrivo di esse anche in Sicilia apportarono al modo
di vivere dei paesani delle novità. Il collegio di Maria di Marineo fu
costruito dal Marchese Ignazio Pilo nel 1731 e nell’ottobre dello stesso anno
vi entrarono le cappuccine. In origine vi era annesso uno spiazzale che ancora
oggi abbiamo sotto i nostri occhi ma che nel corso del tempo ha cambiato più
volte le sue sembianze. Di proprietà del collegio, la piccola villetta che oggi
si trova adiacente ad esso ha una storia che affonda il suo principio a
parecchi anni fa quando Marineo era ancora un paese semplice, di veste umile;
un paese povero che non godeva di svariati agi ma che si accontentava del
necessario per poter sopravvivere. Una cittadina all’epoca di undicimila
abitanti costituita da famiglie numerose con sette, otto figli all’interno
delle quali i padri e i fratelli più grandi lavoravano con costanza e duramente
per poter garantire il sostentamento della giornata all’intero nucleo
familiare. L’attuale villa non era ancora tale ma rappresentava più che altro
un teatro in miniatura in cui si incontravano più persone: un luogo di ritrovo
dove, nelle giornate relativamente più libere e nei momenti di svago, adulti,
anziani e ragazzi permettevano alla loro mente e al loro corpo di alleviare le
fatiche della settimana e di darsi a giochi e a passatempi di gruppo che,
seppur fanciulleschi, erano in grado di concedere una piccola parte del loro spirito
alla spensieratezza e allontanare per un istante le preoccupazioni più ovvie di
una vita quotidiana. Dopo un’ondata di migrazione risalente circa agli anni successivi
al 1894, una comunità marinese che migrò in cerca di fortuna si stabilì in
America nel famoso quartiere di Little Italy (Piccola Italia) nella
circoscrizione di Manhattan a New York e ivi si riunirono per dar vita ad
un’associazione dedicata a San Ciro, patrono della loro terra madre. Il primo
gesto per dimostrare gratitudine alla loro patria fu quello di finanziare nel
1901 il monumento a San Ciro oggi presente nella villa, realizzato con il
danaro versato dagli emigrati che avevano trovato il benessere altrove, per
opera del De Lisi, uno scultore palermitano che si prestò a questo ufficio. A
pochi anni di distanza il Comune di Marineo decise di abbellire la villa ancor
di più impiantando tra il 1905-06 quattro palme con la funzione di decorare l’ambiente,
le stesse che diventarono secolari e in seguito vennero estirpate per via del
punteruolo rosso: un peccato grande forse e chissà che non poteva essere
evitato. Ma la villa aveva anche bisogno di assumere una forma pressoché
definita ma soprattutto necessitava di essere protetta da qualsiasi atto di
vandalismo e a tal proposito, poco dopo aver collocato le palme, fu delimitata
da una ringhiera in ferro con dei lampioncini che venivano alimentati con il
petrolio per mano di un impiegato comunale che ogni sera aveva il compito di
accenderli appena calato il buio. Lentamente quello spazio cominciava ad
assumere l’aspetto di un angolo di paradiso e per questo diveniva sempre più
prezioso, da preservare e da trattare necessariamente con molta cura. Nel
dopoguerra la villa era pressappoco quella di oggi, colma di piante e di ogni
decorazione floreale che risaltasse all’occhio ma mancava ancora qualcosa per
essere completa. Nel 2003 una campana nuova, sovvenzionata dagli emigrati
marinesi del New Jersey, sostituì la grande campana storica della chiesa Madre,
campana, quest’ultima, che fu posta proprio all’interno della villa come a
voler rappresentare un ricordo di tutti i suoi rintocchi. Negli anni ottanta e
un decennio fa furono ubicati inoltre al suo interno due busti di personalità
importanti del paese: rispettivamente quello di Monsignor Raineri, il cui
incarico di parroco durò ben 44 anni, e quello di Gioacchino Arnone. Un luogo
questo molto ricco di storia affiancata dalla bellezza dell’arte; un luogo di
cui, per più di quarant’anni, si occupò un uomo di modesta famiglia ma di una
strabiliante e moderna sensibilità poetica, conosciuto come Don Peppino
Piraino, il poeta. In seguito alla sua morte vi fu un periodo di circa dieci
anni in cui l’amabile orto del poeta era stato abbandonato ma, come qualsiasi
cosa meravigliosa ancora nella sua fase nascente, sarebbe rinata e rivissuta successivamente tra le mani di un nuovo
volontario che ancora oggi ne ha cura: Vincenzo Rigoglioso. Nei giorni odierni
della vita del paese la villa rimane uno spazio d’ammirare. Essa assume quasi
le fattezze di un angolo intimo e riservato; se alcun uomo di profondità alcuna
potesse accedervi avrebbe l’occasione di pensare, di riflettere di fronte agli
affanni del presente, decidere la prossima mossa da fare e considerare, a
fianco di una tazza di cioccolata calda, che già quello che ha è qualcosa di
grande che forse non merita neanche: un fiore, un colore, di una villa che ha
visto crescere più generazioni di figli.
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