sabato 11 agosto 2012

UN CANTUCCIO DEL PASSATO

Un cantuccio del passato che resiste nel presente!
L’ordine delle collegine fu fondato nel Lazio nel corso del primo ventennio del diciottesimo secolo. Con la sua nascita cominciarono ad essere costruiti i primi edifici che avrebbero ospitato la vita delle nuove sorelle e con l’arrivo di esse anche in Sicilia apportarono al modo di vivere dei paesani delle novità. Il collegio di Maria di Marineo fu costruito dal Marchese Ignazio Pilo nel 1731 e nell’ottobre dello stesso anno vi entrarono le cappuccine. In origine vi era annesso uno spiazzale che ancora oggi abbiamo sotto i nostri occhi ma che nel corso del tempo ha cambiato più volte le sue sembianze. Di proprietà del collegio, la piccola villetta che oggi si trova adiacente ad esso ha una storia che affonda il suo principio a parecchi anni fa quando Marineo era ancora un paese semplice, di veste umile; un paese povero che non godeva di svariati agi ma che si accontentava del necessario per poter sopravvivere. Una cittadina all’epoca di undicimila abitanti costituita da famiglie numerose con sette, otto figli all’interno delle quali i padri e i fratelli più grandi lavoravano con costanza e duramente per poter garantire il sostentamento della giornata all’intero nucleo familiare. L’attuale villa non era ancora tale ma rappresentava più che altro un teatro in miniatura in cui si incontravano più persone: un luogo di ritrovo dove, nelle giornate relativamente più libere e nei momenti di svago, adulti, anziani e ragazzi permettevano alla loro mente e al loro corpo di alleviare le fatiche della settimana e di darsi a giochi e a passatempi di gruppo che, seppur fanciulleschi, erano in grado di concedere una piccola parte del loro spirito alla spensieratezza e allontanare per un istante le preoccupazioni più ovvie di una vita quotidiana. Dopo un’ondata di migrazione risalente circa agli anni successivi al 1894, una comunità marinese che migrò in cerca di fortuna si stabilì in America nel famoso quartiere di Little Italy (Piccola Italia) nella circoscrizione di Manhattan a New York e ivi si riunirono per dar vita ad un’associazione dedicata a San Ciro, patrono della loro terra madre. Il primo gesto per dimostrare gratitudine alla loro patria fu quello di finanziare nel 1901 il monumento a San Ciro oggi presente nella villa, realizzato con il danaro versato dagli emigrati che avevano trovato il benessere altrove, per opera del De Lisi, uno scultore palermitano che si prestò a questo ufficio. A pochi anni di distanza il Comune di Marineo decise di abbellire la villa ancor di più impiantando tra il 1905-06 quattro palme con la funzione di decorare l’ambiente, le stesse che diventarono secolari e in seguito vennero estirpate per via del punteruolo rosso: un peccato grande forse e chissà che non poteva essere evitato. Ma la villa aveva anche bisogno di assumere una forma pressoché definita ma soprattutto necessitava di essere protetta da qualsiasi atto di vandalismo e a tal proposito, poco dopo aver collocato le palme, fu delimitata da una ringhiera in ferro con dei lampioncini che venivano alimentati con il petrolio per mano di un impiegato comunale che ogni sera aveva il compito di accenderli appena calato il buio. Lentamente quello spazio cominciava ad assumere l’aspetto di un angolo di paradiso e per questo diveniva sempre più prezioso, da preservare e da trattare necessariamente con molta cura. Nel dopoguerra la villa era pressappoco quella di oggi, colma di piante e di ogni decorazione floreale che risaltasse all’occhio ma mancava ancora qualcosa per essere completa. Nel 2003 una campana nuova, sovvenzionata dagli emigrati marinesi del New Jersey, sostituì la grande campana storica della chiesa Madre, campana, quest’ultima, che fu posta proprio all’interno della villa come a voler rappresentare un ricordo di tutti i suoi rintocchi. Negli anni ottanta e un decennio fa furono ubicati inoltre al suo interno due busti di personalità importanti del paese: rispettivamente quello di Monsignor Raineri, il cui incarico di parroco durò ben 44 anni, e quello di Gioacchino Arnone. Un luogo questo molto ricco di storia affiancata dalla bellezza dell’arte; un luogo di cui, per più di quarant’anni, si occupò un uomo di modesta famiglia ma di una strabiliante e moderna sensibilità poetica, conosciuto come Don Peppino Piraino, il poeta. In seguito alla sua morte vi fu un periodo di circa dieci anni in cui l’amabile orto del poeta era stato abbandonato ma, come qualsiasi cosa meravigliosa ancora nella sua fase nascente, sarebbe rinata e rivissuta  successivamente tra le mani di un nuovo volontario che ancora oggi ne ha cura: Vincenzo Rigoglioso. Nei giorni odierni della vita del paese la villa rimane uno spazio d’ammirare. Essa assume quasi le fattezze di un angolo intimo e riservato; se alcun uomo di profondità alcuna potesse accedervi avrebbe l’occasione di pensare, di riflettere di fronte agli affanni del presente, decidere la prossima mossa da fare e considerare, a fianco di una tazza di cioccolata calda, che già quello che ha è qualcosa di grande che forse non merita neanche: un fiore, un colore, di una villa che ha visto crescere più generazioni di figli.
Erica  L.

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