domenica 20 gennaio 2013

ECCLESIA SANCTI MARTINI teatro di più generazioni



 Nello scorso numero del cartaceo avevamo previsto nello spazio dedicato a Corleone la recensione di un libro che si era appena presentato sulla chiesa di San Martino il cui invito ci pervenne il giorno dopo. Cercammo chi ci potesse fare una recensione non avendo assistito alla presentazione. Non ebbimo successo e il giornale usci con un progetto avveniristico di una nuova chiesa-complesso “da costruire”. Chiedemmo al Sindaco di Corleone e ci promise che avrebbe Lei stessa recensito il libro che aveva giorni prima presentato. La cosa passò “alla siciliana” con nostro sommo dispiacere. Ora abbiamo la possibilità di pubblicare la ottima recensione che ne fa Erica Li Castri su un monumento storico cosi importante. Recensione che avviene in concomitanza della festa di San Bernardo da Corleone appena festeggiato il 12 gennaio scorso  a cui dedicammo ampio spazio tempo fa.

“Ecclesia Sancti Martini”, elaborato grazie alla meticolosa ricerca e allo studio accurato degli autori Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo e, in seguito, pubblicato presso la casa editrice Palladium, non solo si presenta come un’opera a carattere storico che cerca di ripercorrere le tappe della costruzione della grande Chiesa Madre della Corleone di oggi ma, in un’analisi più accurata, il soggetto ritratto in questa pubblicazione rappresenta molto di più. La storia della chiesa di San Martino attraversa i secoli e la sua realizzazione rappresenta uno spaccato dell’evoluzione di un popolo che continua in essa a identificarsi. Dall’opera emerge la particolare attenzione per alcuni elementi che hanno costituito l’essenza di una cittadinanza, ancora oggi, sebbene in ambito religioso, legata alla Chiesa Madre considerata come uno dei punti di riferimento più importanti. Gli autori si pongono l’ammirevole obbiettivo di lasciare ai posteri un ampio bagaglio di conoscenze storico-artistiche riguardo un edificio che ha visto nel tempo il passare di diverse dominazioni straniere, l’imporsi di personalità autoritarie del calibro di Federico II di Svevia e inoltre l’affermarsi di floride epoche di mecenatismo artistico e di politiche prettamente culturali.  Memori di tale compito, essi adottano uno stile contraddistinto da un linguaggio scorrevole e al tempo stesso tecnico, ricorrendo ad un uso sapiente delle fonti dalle quali, ove necessario, vengono estrapolati più passi in lingua originale in grado di conferire all’opera una maggiore aderenza al vero. In balia di una serie di cambiamenti strutturali, la Chiesa di San Martino divenne per secoli teatro di vicende tipicamente umane che prescindevano dalla funzione puramente religiosa della struttura: cappelle, altari e decorazioni varie dovevano essere espressione del potere delle casate nobiliari e delle loro alleanze; a seguito di tale voglia di ciascuna famiglia di primeggiare sulle altre, furono chiamati a lavorare in essa un consistente numero di artisti di gloriosa fama come Tommaso de Vigilia, Guglielmo da Pesaro, Vincenzo De Azani, Cristoforo Guastapani, Pietro Ruzzolone, Nicola Milazzo e gli scultori Scaturro. Tutto era in continuo mutamento, la chiesa rimase per anni un enorme cantiere aperto nell’incessante alternarsi di periodi di lavorazione e periodi di fermo giacché ciascun cambiamento inerente al progetto strutturale, ai marmi, agli ori, agli stucchi, era mero frutto di scelte, negative o positive, che davano origine, ciascuna a suo modo, a determinate conseguenze, senza contare che il corso degli eventi avrebbe reso ancora più lunga la realizzazione del luogo di culto per via di avvenimenti segnati da una sorte sfavorevole. Scorrendo le pagine del testo, è possibile percepire lo sforzo che gli autori hanno attuato per elargire una linea di coerenza ai fatti narrati, quella stessa fatica che traspare tra le righe e che si rese necessaria per l’esecuzione di un progetto tanto imponente e arduo nella sua concretizzazione talvolta anche per motivi economici. La Chiesa di San Martino dei giorni nostri, nel silenzio della spiritualità, ci fa dono di realtà quali impegno, dedizione, sacrificio, espressività e sudore di generazioni passate: essa, portavoce di spiriti mirabili che si sono dissolti, si fa simulacro di un connubio di arte e storia; una storia di cui, per merito di coloro che l’hanno raccontata con misurata delicatezza, ci è pervenuto, in seguito ad una piacevole passeggiata attraverso il tempo, il bandolo della matassa. Adesso, sembrano lasciar trapelare gli autori, è nostro dovere tutelare la bellezza di un edificio sacro per la sua funzione spirituale e prezioso per la sua storia perpetuando, con un pizzico di riconoscenza e umiltà, il valore del patrimonio di una chiesa che ha ancora il diritto di accogliere al suo interno più gruppi di generazioni future.
Erica Li Castri
 

Nessun commento:

Posta un commento