Nello scorso numero del
cartaceo avevamo previsto nello spazio dedicato a Corleone la recensione di un
libro che si era appena presentato sulla chiesa di San Martino il cui invito ci
pervenne il giorno dopo. Cercammo chi ci potesse fare una recensione non avendo
assistito alla presentazione. Non ebbimo successo e il giornale usci con un
progetto avveniristico di una nuova chiesa-complesso “da costruire”. Chiedemmo
al Sindaco di Corleone e ci promise che avrebbe Lei stessa recensito il libro
che aveva giorni prima presentato. La cosa passò “alla siciliana” con nostro
sommo dispiacere. Ora abbiamo la possibilità di pubblicare la ottima recensione
che ne fa Erica Li Castri su un monumento storico cosi importante. Recensione
che avviene in concomitanza della festa di San Bernardo da Corleone appena
festeggiato il 12 gennaio scorso a cui
dedicammo ampio spazio tempo fa.
“Ecclesia Sancti Martini”,
elaborato grazie alla meticolosa ricerca e allo studio accurato degli autori
Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo e, in seguito, pubblicato presso la casa
editrice Palladium, non solo si presenta come un’opera a carattere storico che
cerca di ripercorrere le tappe della costruzione della grande Chiesa Madre
della Corleone di oggi ma, in un’analisi più accurata, il soggetto ritratto in
questa pubblicazione rappresenta molto di più. La storia della chiesa di San
Martino attraversa i secoli e la sua realizzazione rappresenta uno spaccato
dell’evoluzione di un popolo che continua in essa a identificarsi. Dall’opera
emerge la particolare attenzione per alcuni elementi che hanno costituito l’essenza
di una cittadinanza, ancora oggi, sebbene in ambito religioso, legata alla
Chiesa Madre considerata come uno dei punti di riferimento più importanti. Gli
autori si pongono l’ammirevole obbiettivo di lasciare ai posteri un ampio
bagaglio di conoscenze storico-artistiche riguardo un edificio che ha visto nel
tempo il passare di diverse dominazioni straniere, l’imporsi di personalità
autoritarie del calibro di Federico II di Svevia e inoltre l’affermarsi di
floride epoche di mecenatismo artistico e di politiche prettamente culturali. Memori di tale compito, essi adottano uno
stile contraddistinto da un linguaggio scorrevole e al tempo stesso tecnico,
ricorrendo ad un uso sapiente delle fonti dalle quali, ove necessario, vengono
estrapolati più passi in lingua originale in grado di conferire all’opera una
maggiore aderenza al vero. In balia di una serie di cambiamenti strutturali, la Chiesa di San Martino
divenne per secoli teatro di vicende tipicamente umane che prescindevano dalla
funzione puramente religiosa della struttura: cappelle, altari e decorazioni
varie dovevano essere espressione del potere delle casate nobiliari e delle
loro alleanze; a seguito di tale voglia di ciascuna famiglia di primeggiare
sulle altre, furono chiamati a lavorare in essa un consistente numero di
artisti di gloriosa fama come Tommaso de Vigilia, Guglielmo da Pesaro, Vincenzo
De Azani, Cristoforo Guastapani, Pietro Ruzzolone, Nicola Milazzo e gli
scultori Scaturro. Tutto era in continuo mutamento, la chiesa rimase per anni
un enorme cantiere aperto nell’incessante alternarsi di periodi di lavorazione
e periodi di fermo giacché ciascun cambiamento inerente al progetto
strutturale, ai marmi, agli ori, agli stucchi, era mero frutto di scelte,
negative o positive, che davano origine, ciascuna a suo modo, a determinate
conseguenze, senza contare che il corso degli eventi avrebbe reso ancora più
lunga la realizzazione del luogo di culto per via di avvenimenti segnati da una
sorte sfavorevole. Scorrendo le pagine del testo, è possibile percepire lo
sforzo che gli autori hanno attuato per elargire una linea di coerenza ai fatti
narrati, quella stessa fatica che traspare tra le righe e che si rese
necessaria per l’esecuzione di un progetto tanto imponente e arduo nella sua
concretizzazione talvolta anche per motivi economici. La Chiesa di San Martino dei
giorni nostri, nel silenzio della spiritualità, ci fa dono di realtà quali
impegno, dedizione, sacrificio, espressività e sudore di generazioni passate:
essa, portavoce di spiriti mirabili che si sono dissolti, si fa simulacro di un
connubio di arte e storia; una storia di cui, per merito di coloro che l’hanno
raccontata con misurata delicatezza, ci è pervenuto, in seguito ad una
piacevole passeggiata attraverso il tempo, il bandolo della matassa. Adesso,
sembrano lasciar trapelare gli autori, è nostro dovere tutelare la bellezza di un
edificio sacro per la sua funzione spirituale e prezioso per la sua storia
perpetuando, con un pizzico di riconoscenza e umiltà, il valore del patrimonio
di una chiesa che ha ancora il diritto di accogliere al suo interno più gruppi
di generazioni future.
Erica Li Castri
Erica Li Castri
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