Non solo cardinali.
Il casato dei Rampolla del Tindaro, nobili terrieri delle Madonie
Un papa mancato, un rivoluzionario che disse di no a Garibaldi,
un coraggioso oppositore della mafia a Marineo,
e poi storici, letterati, latinisti, partigiani, comandanti, giornalisti.
Piccola storia di un casato illustre e dei suoi protagonisti
ricostruita grazie alla saggista Ida Rampolla del Tindaro
di Mariolina Sardo
Se non fosse stato per Cecco Peppe, così il popolo chiamava Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria e Ungheria, oggi vanteremmo un papa siciliano. Il cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, nato a Polizzi Generosa, Segretario di Stato di Papa Leone XIII, per la sua attività diplomatica, il suo fiuto politico, l’integrità della sua vita, aveva tutte le carte in regola per succedergli ma nel conclave di quel torrido agosto del 1903 si oppose l’arcivescovo di Cracovia, esecutore della volontà dell’imperatore che rimproverava al cardinale una politica filo-francese e antiaustriaca. Ma furono solo queste le ragioni? Questo ed altro ci ha raccontato Ida Rampolla discendente del nobile casato.
Gentile professoressa, secondo lei la mancata elezione al soglio di Pietro del cardinale Mariano Rampolla fu dovuta al veto dell’imperatore Francesco Giuseppe o c’erano anche ragioni personali?
‘Le ragioni del veto furono parecchie e di natura politica. E’ vero che si è parlato anche di ragioni personali e cioè del rancore di Francesco Giuseppe verso il cardinale che si era opposto alla richiesta di divorzio avanzata dall’arciduca Rodolfo d’Asburgo, il quale aveva una relazione con la baronessina Maria Vetzera. Avvenuta la tragedia di Mayerling in cui Rodolfo dopo aver ucciso la Vetzera si era suicidato, il cardinale, al quale era stata chiesta l’autorizzazione per i funerali religiosi, aveva rifiutato perché vietati allora per i suicidi, e il figlio dell’Imperatore non poteva fare eccezione - Francesco Giuseppe però li fece celebrare ugualmente, parlando di un incidente di caccia - L’opinione che le ragioni del veto fossero queste è legata essenzialmente all’opera di un altro grande figlio di Polizzi Generosa, lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese, che scrisse il romanzo La tragedia di Mayerling e il dramma L’arciduca.
Ci sono nuovi documenti oggi?
“La scoperta di nuovi documenti ha messo in luce altre motivazioni, che in parte erano già note. Francesco Giuseppe fu spinto ad esercitare il diritto di veto, prerogativa degli imperatori cattolici, dal re d’Italia Vittorio Emanuele III, che non voleva un papa a lui ostile. Erano i tempi della questione romana, l’Italia aveva occupato con la forza lo Stato pontificio e il Segretario di Stato aveva sempre difeso i diritti del papa. Di tutto questo (ed anche di altre ragioni politiche, che vanno inquadrate nel clima dell’epoca e nella contrapposizione dei due grandi blocchi, la Triplice Alleanza e la Duplice Intesa) si è parlato nel convegno sul cardinale tenutosi a Polizzi Generosa nel 2004, con la partecipazione di illustri storici, i cui atti sono stati pubblicati a cura di don Calogero Cerami (Salvatore Sciascia ed., 2006). Importante anche l’opera Conclave e potere politico - Il veto a Rampolla nel sistema delle potenze europee di Luciano Trincia, ed. Studium, 2004, uno degli oratori del Convegno di Polizzi. Bisogna anche ricordare che dopo quel clamoroso episodio il diritto di veto, lo jus exclusivae, fu abolito da Pio X. Nessuna potenza politica può dunque più inserirsi oggi nelle decisioni del Conclave”.
Si dice che sia stato grande collaboratore di papa Leone XIII, suo confidente ed esecutore dei suoi grandi disegni, arrivando addirittura ad influenzarlo…
“Il cardinale Rampolla fu certamente un grande collaboratore di Leone XIII, il quale, in punto di morte, gli disse: ‘Abbiamo lavorato insieme’.”
Dopo la mancata elezione a papa, contro cui aveva protestato energicamente più che per sé per l’ingerenza del potere laico negli affari della Chiesa, il suo antenato fu messo a riposo con incarichi minori. Ha lasciato segno della sua amarezza per la sconfitta in qualche scritto, un diario…
“Dopo la mancata elezione, il cardinale ebbe vari incarichi importanti: fu Arciprete della Basilica di S.Pietro, bibliotecario della Vaticana, Segretario delle Congregazioni del S.Uffizio, Primicerio di S.Maria Odigitria, la Chiesa e Confraternita dei Siciliani di Roma, ecc. Non lasciò un diario, ma si dedicò ad un approfondito studio su S.Melania juniore senatrice romana in cui rivelò la sua grande cultura classica, la sua perizia filologica e linguistica nel decifrare antichi documenti e la sua profonda conoscenza dell’arte cristiana dei primi secoli. L’opera non è solo di interesse agiografico ma presenta un quadro completo e quanto mai interessante della vita romana dei secoli IV e V d.C., con particolare riguardo al contributo dato dalle donne alla vita culturale del tempo”.
Come un prelato del Rinascimento il cardinale sostenne generosamente l’arte…
“Il cardinale fu un grande mecenate: restaurò da cima a fondo la Basilica di S.Cecilia in Trastevere, di cui era titolare, fece eseguire degli scavi che portarono al ritrovamento della casa della santa, fece costruire – il tutto sempre a sue spese – una nuova cripta sontuosamente rivestita di mosaici, donò alla Chiesa di S.Agnese in Piazza Navona un reliquiario in argento di grande valore artistico contenente il teschio della santa, regalò al tesoro di S.Pietro vari preziosi oggetti, fece eseguire nella Basilica Vaticana importanti restauri. Da ricordare anche il suo incoraggiamento agli studi: inviò un’elargizione alla scuola di Polizzi auspicando, grazie alla scuola, “il miglior avvenire della patria sua” e appoggiò, a Palermo, la creazione del Convitto Leone XIII, la prima scuola cattolica sorta a Palermo dopo un vuoto di circa 30 anni. Il Convitto prese poi il nome di S.Rocco ed oggi ospita la Facoltà di Scienze politiche. Numerosissime, inoltre, le sue munifiche offerte per i bisognosi, per gli orfani del terremoto di Messina del 1908 e per l’Ospedale di Polizzi”.
L’apertura verso il proletariato e i ceti popolari suscitarono attorno al segretario di Stato un clima di ostilità e di sospetto. Un catto-comunista diremmo oggi?
“Il suo interesse per i problemi sociali è testimoniato dalla famosa Enciclica Rerum novarum, in cui per la prima volta si affronta la questione operaia con l’affermazione di importanti principi: il diritto al giusto salario, le giuste rivendicazioni del proletariato, il diritto all’associazionismo sindacale, la difesa dei diritti dei lavoratori più sfruttati, in particolare le donne e i minori ecc.. Nasce, con quell’Enciclica, la dottrina sociale della Chiesa, che pone a fondamento della questione sociale l’inalienabile dignità della persona umana. Appare azzardata però la definizione di catto-comunismo, perché l’Enciclica condanna il socialismo, considerato un falso rimedio, disapprova la lotta di classe, considerata non cristiana, e considera la proprietà privata un diritto naturale, sancito dalle leggi umane e divine. E’ ovvio che la novità dell’Enciclica, che condannava allo stesso modo il socialismo e il liberalismo, destasse opposizioni da parte di chi non ne coglieva la grande portata innovatrice”.
Com’era fisicamente il cardinale: piccolo e sgraziato come è stato definito in una sua agiografia?
“No, no! Il Cardinale Rampolla era tutt’altro che piccolo e sgraziato: tutte le fotografie e i ritratti lo dimostrano alto e imponente. L’equivoco nasce forse dalla confusione con un suo omonimo parente, mons. Mariano Rampolla del Tindaro, piccolo e claudicante a causa dei postumi di una paralisi infantile. Il monsignore fu però anche lui una grande personalità e un grande studioso”.
La vostra famiglia è di origine pisana. Un suo antenato, Prospero Rampolla, nel 1398 si stabilì a Messina. C’erano ragioni particolari per questa scelta?
“Prospero si trasferì a Messina perché lì esisteva una Loggia pisana che godeva di molti privilegi. I Rampolla si chiamavano originariamente Roncioni di Ripafratta, nobili pisani. Molte famiglie di Pisa, nel Medio Evo, si trasferirono in Sicilia, tanto che a Palermo esiste ancora la Chiesa dei Nobili pisani ed esisteva, alla Vucciria, la “loggia” dei pisani. Quando Pisa aderì all’Impero di Ottone, nel XIII secolo, due fratelli Roncioni, Gado e Marco, scelsero di parteggiare per il reame di Francia, creandosi un nuovo stemma in cui figurano due leoni che sostengono un’alabarda con in cima il giglio di Francia. Il popolo li denominò i ‘rampolli’. Gado fu il primo ad essere chiamato Rampolla (da ‘rampollare’, verbo assai in uso nel linguaggio toscano per indicare ‘generazione’ o ‘derivazione’)”
Antonino Rampolla si trasferì nel ‘500 nell’urbis generosa oggi Polizzi Generosa. Possiamo dire che il casato si sviluppò sia a Messina che a Polizzi? Perché del Tindaro? Quali ragioni lo spinsero verso le Madonie?
“Antonino si trasferì da Messina a Polizzi nel ‘500 in seguito alle nozze con la nobile polizzana Grazia La Matina. Polizzi era in quel secolo una città ricca e fiorente per i suoi commerci, grazie alla sua posizione elevata, al centro della Sicilia, che le consentiva di dominare gli incroci tra le grandi vie di comunicazione: la cosiddetta “strada del grano” che collegava Palermo a Catania e a Messina e il fiume Imera settentrionale e meridionale (o Salso), allora navigabile, che scorre sotto il paese e che collegava il Tirreno col Mediterraneo. Polizzi in quanto città demaniale godeva di molti privilegi di natura fiscale che determinavano un fenomeno opposto a quello di oggi, cioè una forte immigrazione dal Nord: molte famiglie polizzane hanno infatti un’origine lombarda, ligure, toscana ecc. Nel 1729 un altro Antonino, barone di Fichera, fu investito della contea del Tindaro, un titolo che risaliva a Filippo IV di Spagna. e che rischiava di perdersi per la scomparsa, senza eredi, dell’ultimo conte del Tindaro, Ascanio Anzalone”.
Un Rampolla del Tindaro fu autore della prima grammatica della lingua sanscrita. Si tratta del pronipote, Mariano Rampolla junior? Lo stesso che nel 1921 insegnò latino e greco a Salvatore Quasimodo?
“Mons. Mariano Rampolla del Tindaro, autore della prima grammatica di sanscrito, era un omonimo pronipote del cardinale. Finissimo latinista. e grecista, insegnò queste lingue a Salvatore Quasimodo, che proveniva dall’Istituto tecnico commerciale Jaci di Messina, dove era stato alunno, insieme a Giorgio La Pira e a Salvatore Pugliatti, di un fratello del monsignore, il prof. Federico, noto critico letterario, autore della prima edizione critica delle poesie del Meli, e di varie altre opere. La corrispondenza fra Quasimodo e La Pira è piena di espressioni di riconoscenza, per i due fratelli, che li avevano molto aiutati .Era stato infatti Federico ad intuire le loro capacità e ad inviare a Roma Quasimodo prendere lezioni dal fratello e a far conseguire a La Pira, da privatista, la licenza liceale, senza la quale non avrebbe potuto iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza. E’ stata pubblicata anche, sotto il titolo Una rara amicizia, la corrispondenza tra mons. Rampolla e mons. Montini, il futuro Paolo VI, che lo apprezzava molto. Un terzo fratello, Pietro, era giornalista, collaboratore de “Il Popolo” e autore di varie commedie di successo che furono rappresentate anche dal grande attore Ermete Zacconi”.
Può dirci di altri pronipoti del cardinale?
“Fra gli altri parenti del cardinale bisogna ricordare anzitutto il fratello Francesco, che scrisse un romanzo di ambiente risorgimentale, Bianca di Villamena, ripubblicato in edizione anastatica con prefazione dello storico Francesco Brancato, il funzionario di Polizia Stanislao Rampolla del Tindaro, coraggioso oppositore della mafia, definito un Dalla Chiesa dell’Ottocento, la cui tragica vicenda merita una trattazione a parte, e i parenti della madre, Orsola Errante dell’Avanella, tra cui Vincenzo Errante, storico, poeta, drammaturgo e ministro della P.I. nel 1848 e Celidonio Errante, noto grecista, che fu anche Prefetto di Palermo. Tra i Rampolla più recenti, si possono citare Luciano, giornalista e scrittore, Achille, Comandante della Capitaneria di Porto, Presidente dell’Associazione Marinai d’Italia di Palermo e medaglia della Fondazione Carnegie per gli atti di valore e Francesco, valoroso partigiano e Comandante, nel Friuli, della Brigata Osoppo, oltre a una lunga serie di studiosi e professionisti.
Il diario di Antonino Salerno, ha dato un prezioso contributo agli studi sul Risorgimento svolti da Ciro Spataro. Quale rapporto di parentela la lega a questo rivoluzionario di Marineo e come ha avuto il suo manoscritto?
“Mia madre, Albertina Salerno, era pronipote di Antonino. Il manoscritto era stato gelosamente custodito dalla sorella maggiore di mia madre, Rosetta, che me ne ha fatto dono”.
Nel febbraio dell’89 il funzionario di Polizia Stanislao Rampolla si tolse la vita a Marineo per la umiliazione di un trasferimento subito dopo avere denunciato l’intreccio con la mafia di personalità locali…
“E’ una vicenda dolorosa su cui bisogna soffermarsi di più. Le prometto che ne parleremo in una prossima occasione”.