lunedì 18 aprile 2011

I MULINI AD ACQUA DELLA VALLE DELL'ELEUTERIO

Di Marco Giammona

Verso la fine del XIX secolo e fino alla metà del ’900 più di venti mulini ad acqua operavano attivamente lungo il bacino idrografico del fiume Eleuterio e sono documentati sin dal 937. A parlarci degli insediamenti nella zona di Risalaimi, è la Cronaca dell'isola della Sicilia, scritta durante la dominazione musulmana ed esistente all'Università di Cambridge. Nella detta cronaca, riguardo alle controversie degli anni 937-941 verificatesi nella zona di Agrigento, si dice che: "il 17 aprile del 937 gli Agrigentini si sollevarono contro l'Emiro Salim, dopo una serie di vittorie ottenute in varie località dell'agrigentino, puntarono verso Palermo dove il 2 luglio dello stesso anno, sotto le mura della città, dopo una dura battaglia contro i fatimiti, furono sconfitti e inseguiti fino ai Mulini di Marineo“. Un ramificato sistema di canalizzazione costituiva la forza motrice di questa diffusa attività produttiva a cui corrispondeva una altrettanto capillare rete distributiva. Per secoli la proprietà dei mulini rimase appannaggio della nobiltà e del clero, che ne traevano, oltre a notevoli vantaggi economici, prestigio e potere. Il tipo di mulino ad acqua che era lungo l’Eleuterio, fu ideato dai romani e costruito nei vari territori conquistati. Continuò a funzionare, senza subire modifiche, fino a l’era contemporanea quando, al pari di tutti gli altri mulini ad acqua siciliani furono attivi fino agli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. Vennero abbandonati in seguito all’avvento dei mulini a funzionamento elettrico sorti nelle immediate vicinanze e/o all’interno dei centri abitati senza tuttavia alterare la sostanza di una tecnologia secolare, costituita di gesti profondamente «abituali» inseriti sapientemente in un ciclo determinato dal tempo della semina e del raccolto, dalla domanda bassa e poco differenziata, ma costante, presente in un mercato essenzialmente rurale. Mentre i mulini ad acqua erano spesso dislocati in posti impervi, tanto da essere raggiungibili solo con muli o asini ed erano soggetti a funzionamento discontinuo e strettamente dipendente dalla portata del fiume, di contro quelli elettrici risultavano di comodo accesso e potevano garantire un funzionamento continuo. Il mulino ad acqua costituiva un notevole esempio di ingegneria industriale e rappresentava per i contadini la meta finale cui recarsi ogni anno col raccolto strappato alla terra, spesso con esiti esigui. Tuttavia quella civiltà contadina, scarsamente dotata di mezzi, svolgeva la propria attività in piena armonia con le risorse naturali disponibili e nel totale rispetto dell’ambiente circostante. Lungo il corso del fiume Eleuterio è oggi possibile trovare le tracce di questo passato. Dei 18 mulini ad acqua censiti che sorgevano tra Misilmeri e Marineo come attesta la Carta Idrografica della Sicilia del 1891 ben poco si è salvato. La maggior parte sono andati del tutto in rovina, di alcuni rimangono intatte soltanto le cisterne (poiché ancora utilizzabili per la raccolta dell’acqua) e qualcuno, conservato nella struttura esterna, è stato interamente trasformato in magazzino o abitazione. Di quelli più antichi oggi ricordiamo i mulini “Cozzi” e quelli di “Paratore, “Risalaimi”, “Mulinello”, “Mmenzu”, “Murtiddi”, “Abbadessa” e “Stretto”.Di alcuni di essi rimangono solo dei ruderi e di altri solo tracce all’interno degli edifici che li hanno ospitati. Meglio conservati sono i due mulini di “Mulinello” e “Mmenzu“.

INTERVENTO FACOLTATIVO:                                                                                 
“La speranza di non perdere queste importanti tracce del passato deve essere affidata ad una azione di valorizzazione: salvare, riutilizzare, valorizzare e promuovere anche a livello turistico-rurale queste antiche strutture produttive significa restituire dignità alla nostra storia.....”

Mulinu  menzu foto di Marco Giammona

1 commento:

  1. Salve,
    ho appena letto l'articolo, è la prima impressione che ho avuto è stata quella di rivivere con la calma e la serenità del giorno dopo ogni momento del convegno, reso dalla sua mano quasi poetico.
    Non voglio negare l'orgoglio e la felicità di aver contribuito nel mio piccolo ad aver ridato luce e speranza ad un progetto a cui la mia tesi di laurea mirava, e cioè sensibilizzare il territorio al tema dei mulini abbandonati e cercare tramite gli organi istituzionali preposti la migliore soluzione di valorizzazione e sviluppo dei siti.

    Spero a questo punto di creare con lei un'intensa collaborazione e corrispondenza di interresi comuni.

    A Presto
    Marco Giammona.

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