domenica 26 novembre 2017

L'AMORE A MARINEO... PER IL PROSSIMO !



La mia gente s’intende d’amore , sa parlarne e ci riempie tutti i giorni di gesti d’amore. Mi ricordo quando un cane fu trovato morente per strada e subito lo si fece ricoverare e addirittura si parlò di noleggiare un pulman per andarlo a trovare… si fecero accuse pesanti sulla sacralità degli animali. Mi ricordo il beau geste di Walter che impose all’assassino del suo cane di alienare fucile e licenza e in cambio lui rinunziava alla denunzia. Non vi dico lo strazio della figlia vistasi ammazzare il cane come un cane da un cane ! Ah l’amore per gli animali. Pensate che il nostro comune spende 80.000 euro l’anno per i cani … 
Ho avuto un rapporto bellissimo con due marinesi che non  sapevo nemmeno che fossero parenti. Il primo mi rendeva onore quando passavo davanti il suo ufficio rispondendo al mio generico “buon giorno”  con uno squillante “bentornato Onofrio” ! Lui mentre ti parlava “guardavaincielo” grazie al suo orecchio fine e affilato. 
L’altro non è più con noi da qualche giorno. I marinesi “fuori” hanno sempre qualcuno che ti tiene aggiornato sul traffico fra noi e il cielo. E’ cosi che mi è giunta la notizia che in qualche ospedale di Palermo era in giacenza lo “zio Vincenzo”. Esisteva un problema che non so se definirlo di burocrazia o di “amore-marinese”. Una decina di congregazioni, una istituzione “di assistenza agli ammalati”, una “misericordia” mezzo paese che passa “dalla chiesa a casa” in automatico, decine di “pie donne badanti di parroci” che si vergognano di “assistere” coloro che sono oggetto di comandamenti e attori del Vangelo , in parole povere quello che si può definire “mio fratello” ! Oppure opere di misericordia o meglio “l’amore per il prossimo” ! Non fu facile trovare a chi spettava fra una decina di fratelli e una quarantina di nipoti riportare a casa lo “zio Vincenzo”. Ieri si è svolto il funerale e non fu necessario mettere le transenne ! Per fortuna  non si rischiò la calca perché i sette presenti ci hanno salvato ricordando alla nostra comunità che l’amore non è merce e cosi “lo zio Vincenzo” , già “depositato” per mesi in ospedale,  ha avuto un corteo funebre di sette persone , ma in compenso un elogio funebre di prima categoria fatto da un francescano “ca pari ca un ci curpa”  che ci ha ricordato come i marinesi sanno “amare “ il prossimo !  Se qualcuno volesse i nomi dei sette presenti si rassicuri io non ero fra loro !

Ps.Al mio paese le olive hanno la precedenza su tutto. Quindi non c’è da scandalizzarsi se molti sono andati a raccogliere olive anzicchè assaporare l’humor del Cangemi, la testimonianza dello Spataro e, qui lo dico e qui l.o nego, anche il Virga diventa accettabile quando non fa il Don Chisciotte solo contro i Mulini di Marineo… manovrati da mugnai , dimenticando che non esiste mugnaio che non si sporchi di farina…    

giovedì 23 novembre 2017

ANTONINO CANGEMI: LEZIONE D'AMORE



A noi sempliciotti e populisti  non è dato sapere (all’antica) cosa ha portato Nino Cangemi a mettere assieme Ciro Spataro con il suo vecchio antagonista per presentare la sua eccellente ultima opera. Sono scelte che sconcertano perché noi, quelli predetti, siamo fermi al diavolo e l’acqua santa. Mentre le pruderie moderate smaniano per farsi vedere sullo stesso tavolo diavoli e mezzi preti, i non moderati se ne infischiano di regole e guai a pensare ad un loro incontro “invitando “ lo Spataro, che ai loro occhi rimane “l’eterno nemico”. Mi stupisce l’amico “inglese” Nino Cangemi (inglese per humor) che abbia scelto il meno sarcastico e spiritoso dei nostri emergenti il quale rischia di trasformare la serata… in tristezza. Questo ospite non ama nemmeno gli scherzi essendo perennemente in lutto per le sorti prima del mondo poi dell’Europa e  quindi dell’Italia per giungere infine in Sicilia per poi non dire una parola sui risultati elettorali marinesi dove non si comprende il suo silenzio: se da vincitore o da eliminato. Ora il Comunicato Stampa del comune , asettico e impersonale , non fa giustizia al Cangemi , ma ci offre la possibilità di scoprire se il nostro “maestro di poeti” sa sorridere di più dell’inventore dei premi di poesia di cui è proprietario a vita. A prima vista    può sembrare,la nostra, una posizione critica e di dissenso, ma assicuro i lettori che sono uno di quelli che hanno gioito nel vedere il Ribaudo, padre padrone di trecento elettori non so quanto giovani e forti, cambiare il suo linguaggio (non ho notizie sulle gesta…) al punto che quando Berlusconi si è fatto fotografare con l’agnellino ho creduto fosse il Ribaudo e non un lupo travestito da agnello…  Cosi come questo nostro mancato giudice in poesia vederlo allo stesso tavolo dello Spataro mi sono detto : questa non è opera del Cangemi ma di San Ciro e quindi collegabile a….
Dopo la “resa” di questo Papa alla qualsiasi, speravo che qualcuno interpretasse le ultime elezioni. E speravo proprio che questo “amico a tempo” , creatore di comitati cittadini alla bolscevica ,di non iscritti ma di schedati, a rischio "censura e cancellazione" (vero Benanti ? , ma perchè continui a suicidarti !) ci tenesse aggiornati sugli brogli , malefatte, corruzioni , abusi , compravendite. Cosi ancora non è stato , ma per fortuna arriva Antonino Cangemi a parlarci dell’amore nel paese dove l’amore non si sa come sia inteso : o meglio cosa include o esclude.
Intanto Vi consiglio di non mancare perché il Cangemi lo merita e a me non mi va di far parte di un paese oscurantista, dove si dà più spazio al rancore , spesso all’odio e meno all’amore.   

ps. ad onor del vero , il nostro agente a Marsala (di cosa ci incolpa per averci lasciato ?) dedica molto spazio all'amore, ma non lo abbiamo mai visto metterlo in pratica... almeno nelle tre parole che usano i musulmani nel salutarsi...  
 
Antonino Cangemi è dirigente alla Regione Siciliana, ha pubblicato, oltre a saggi per l’amministrazione presso cui opera, Comunicazione pubblica e burocrazia con Antonio La Spina (Franco Angeli, 2009), le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009) e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2014), i pamphlet umoristici Siculospremuta (Dario Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Ha collaborato con  La Sicilia e con l’edizione palermitana di Repubblica , collabora con la testata on line  siciliainformazioni.com e con riviste divaria cultura.

mercoledì 22 novembre 2017

CARAVAGGIO 7



          7

          
  E’ morto Micelangelo da Caravaggio, pittore celebre”.
           Lo scritto del Ferrini iniziava citando il parroco Jacopo de Ventura, il primo che, conformemente alle prescrizioni del Concilio di Trento ( 1545-1563), iniziò a tenere il libro delle nascite, dei matrimoni e delle morti. L’interesse per questo prelato derivava dal fatto che egli guidava la parrocchia di Porto Ercole nell’anno in cui sopraggiunse e morì il Caravaggio. Il Ferrini, che aveva avuto accesso al libro dei morti, aveva riportato puntigliosamente e ordinatamente tutti i decessi avvenuti nel 1609 e nel 1610, ma del pittore non vi era nessuna traccia. Lo stesso estensore dell’opera si poneva alcune capitali domande  senza  risposta: come era possibile che Jacopo de Ventura, sacerdote che trascriveva le più piccole minuzie, non avesse riportato la morte di un personaggio conosciuto come il Caravaggio? Eppure il prete della chiesa di S. Erasmo, la parrocchiale del paese, aveva riportato la morte di un alfiere di nome Montero, avvenuta verso la fine del luglio del 1610. In tale periodo il prelato de Ventura si trovava a Roma a servizio presso un Cardinale e suo sostituto era un certo prete Guglielmo. Nell’ambiente romano, nei mesi successivi alla morte del Merisi, tutti o quasi tutti sapevano della sua fine avvenuta nella località marina. Data la notorietà del pittore negli ambienti cardinalizi e vaticani, era impossibile che il De Ventura, che in quel periodo si trovava a Roma, non venisse a conoscenza di questa morte, se non altro perché era accaduta nel territorio dove svolgeva la sua funzione di parroco. E se lo sapeva, cosa che difficilmente si può dubitare, come mai, quando verso la fine di ottobre dello stesso anno il de Ventura ritorna nella sua parrocchia e trascrive la morte del Montero che probabilmente gli viene riferita da persone del paese, non riporta quella del Caravaggio?  Questi interrogativi che sorgevano da scontate constatazioni e altrettanto evidenti considerazioni di buon senso e di consequenzialità logica, non trovavano soddisfazione. Dovevo ringraziare le notizie che il Ferrini, questo appassionato storico locale, aveva riportato, se nella mia mente cominciava a delinearsi una calda chiarezza. Decisi di rintracciare lo studioso locale, cosa che feci facilmente, e fissai un incontro nel bar e nella piazza dove precedentemente avevo conosciuto Giovanna Anastasia. Ci vedemmo nel giro di pochi giorni. L’uomo di media statura, con sguardo affabile e dolce, mi accolse con una delicata riservatezza. Nelle sue movenze e nei suoi gesti si riverberavano i tanti anni di navigazione nella marina mercantile. Vi era una ondeggiante armonia fra i suoi diversi linguaggi, quello verbale e quello corporeo: educato ai lunghi silenzi marini, fu conciso e circospetto. 
          
La differenza con l’archeologa si rivelò abissale, lei un fiume di parole senza soluzione di continuità, lui le pesava e le tratteneva come se fossero preziose e rare perle. Alle molte domande che gli feci le risposte furono poche, capii subito che avevo di fronte una persona che non si apriva al primo venuto. Il Ferrini apparteneva a quella tipologia di persone che, senza un saldo rapporto di fiducia e di stima per il suo interlocutore, seguiva la strada del ritegno e del silenzio. Dentro di me sentivo che avevo di fronte una persona che aveva compiuto un serio e approfondito studio sulla storia del suo paese e in particolare sulla venuta e morte del pittore lombardo. Avvertivo che l’uomo sapeva molte cose ma nel nostro primo incontro non voleva andare oltre a quello che avevo già letto nel libro da lui composto. Ci salutammo con l’intento di mantenere dei telefonici contatti e, in seguito, di rincontrarci. Prima di lasciare Porto Ercole decisi di visitare i luoghi che, secondo le ipotesi storiche più accreditate, hanno visto la presenza del Caravaggio. Me ne andai sulla spiaggia della Feniglia, una lunga, morbida, materna distesa di sabbia spettinata da un vento birichino. Un sole crepuscolare dispiegava un caldo e sensuale colore rossastro che, come un leggero e diafano velo, dava un tocco di grazia ai granelli di sabbia, alla risacca delle inquiete onde. Camminando sulla sfarinante spiaggia, ero attraversato da una ridda di saltellanti emozioni sboccianti da un ordito di immagini e parole frutto della lettura dei documenti degli ultimi giorni di vita del pittore della Canestra. Quella immensa distesa di granelli di sabbia assumeva magicamente un senso e una valenza sprigionata dalla mia immedesimazione con la raffigurazione del pittore che cercava disperatamente la felluca con il prezioso carico dei suoi tre quadri. La potenza della fantasia, la interiore forza dell’identificazione, componeva e scomponeva il ricco materiale che portavo nella memoria creando una momentanea sospensione della razionale distinzione fra il passato e il presente. Il Caravaggio, con la sua disperazione, la stanchezza e la fisica debilitazione, sembrava lì in carne ed ossa, e io vicino a lui. Si trattava di un processo psicologico che assume forma e sostanza ogni qual volta ci troviamo nei luoghi frequentati da  persone da noi amate, ammirate o mitizzate. L’esperienza che stavo vivendo, con gradi e intensità diverse, con variegati livelli di consapevolezza, rientrava in quella tipologia di accadimenti che può essere etichettato come “evento mistico-identificatorio”. Tale dimensione esistenziale si sprigiona solo visitando luoghi sacri o profani legati a personaggi che sono profondamente penetrati nel nostro cuore e nella nostra mente: per me il Caravaggio era uno di questi.

venerdì 17 novembre 2017

CHE SIAMO UNA COSA SOLA



Domani giornata centrale al 17 Convegno delle Conunità Missionarie del Vangelo della Pro Civitate Christiana degli amici della Cittadella di Assisi. Il tema della giornata è Beati quelli che vedranno Dio ! Si inizia con Domenico Spatola  e poi grande attesa per il mattaore del Convegno il super bibblista Alberto Maggi , che “Affinchè siano uno” riscriverà un altro pezzo di sacre scritture baipassando secoli di teologi che hanno protetto il messaggio cristiano sino ad oggi. Sono queste le veline della nostra religione che passano la giornata a caccia di riflettori aiutandosi anche con espressioni forti ! Marco Politi ci leggerà il solito inno a Papa Francesco mentre in cucina si allestisce il pranzo. Poi Brunetto Salvarani ci descrive questa Valanga che sale cioè Il popolo di Dio costruisce l’unità.
E finalmente arriviamo alla ennesima Tavola Rotonda su Lutero ! Ora è il caso di stupirci perché alla fine è più credibile Lutero e i suoi Protestanti per la loro coerenza che  i vari relatori che fra Laici , con Lilla Sebastiani ,Ortodossi, Traian Valdman e Protestanti, Paolo Ricca, e non si capisce quali cattolici rappresenta Cosimo Scordato  (fra le centinaia di Tavole Rotonde questa ripercorre il tracciato di questo Papa o meglio della via gesuitica al Sud America).
Purtroppo non ci sarò e cosi mi perderò l’intervento dello Scordato  perché ero curioso constatare che rispecchi il mandato di rappresentante di tutti i “cattolici”.
Spero che i marinesi onoreranno Nino Trentacoste e il suo efficientissimo staff presenziando al Convegno. Perché lo scorso anno ho vanamente cercato il “conduttore della comunità marinese” il quale per farsi notare non è mai presente.
Tutte queste comunità religiose si fermano sempre al fare dopo aver proclamato il dire !
Questo fine settimana è una proposta oltre che religiosa molto turistica considerando la efficienza della resort della sua cucina che messi assieme sono una proposta eccellente.

sabato 11 novembre 2017

CARAVAGGIO 6



6
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Come nel periodo medioevale, i nobili elevano rocche, torri, castelli e lussuose residenze, per distinguersi ed elevarsi rispetto ad altri, così nel tardo-rinascimento entrare in possesso di opere del Merisi, il pittore alla moda, donava un alone di prestigio, di aggiuntiva importanza e attenzione ai potenti e ai ricchi. Non occorre essere indovini, né acuti cervelli per presumere che il viceré di Napoli, per ingraziarsi la stima e la simpatia del suo sovrano, si sia assiduamente adoperato per entrare in possesso delle “robbe” del pittore, cioè dei quadri che portava con sé durante il suo viaggio sulla felluca da Napoli a Palo. E’ facile intuire che cosa il De Castro sarebbe stato pronto a fare per accaparrarsi quei quadri del lombardo. Il dispaccio che fece giungere all’auditore o comandante militare di Porto Ercole non lasciava dubbi sulla sua perentorietà e sulla importanza che egli attribuiva a quell’ordine. Di tutte le testimonianze che riferivano sull’avvenuta morte di Caravaggio nella località toscana, questo atto era di gran lunga il più credibile. Mi stupì il fatto che i sostenitori della morte del Merisi a Napoli, Palo o Civitavecchia, non avessero svolto elementari considerazioni di natura storiografica e non certo di storia dell’arte. Se avessero applicato con rigore il metodo dei fatti come base per le proprie idee, forse sarebbe bastata quella missiva, se poi si aggiungono le tre lettere del luglio 1610, le convergenze del Baglioni, Bellori e Mancini, l’epitaffio del Milesi, presunto amico di Michelangelo, ed infine i sonetti a lui dedicati dal poeta Marino, si può ritenere questa tesi la più forte. Nel caso rimanessero dubbi residui, questi potevano essere facilmente sciolti dal virulente scontro esploso, fra il Priore di Capua (rappresentante dei Cavalieri di Malta), il legato pontificio Deodato Gentile, la Marchesa Costanza Sforza-Colonna e il viceré di Napoli. L’accesa diatriba intercorsa fra gli illustri personaggi riguardava il legittimo possesso dei tre quadri del Caravaggio ritornati a Napoli con le sue robbe. I dipinti del Merisi erano ambiti e non esiste la minima riserva sul fatto che il De Castro fece di tutto per impossessarsene, inoltre, che questi disponeva di grande potere è nei fatti. Se da una parte possedevo un punto fermo che, pur nella relatività delle certezze storiche, era solido e spendibile, dall’altro vi erano ancora molte domande senza risposta: non si sapeva in quale specifico luogo di Porto Ercole fosse giunto il Caravaggio; in quali giorni del mese di luglio mise piede in quella località; in che stato fosse. In che giorni morì era certificato da quel foglietto ritrovato nel 2001 ma che portava quella data 1609. Era fuori dubbio che il foglio, riportante da un lato la morte di un alfiere spagnolo denominato Gaspare Montero e dall’altro il decesso del pittore, era l’unico documento presente a Porto Ercole che certificava la presenza e la morte di Caravaggio. 
           
Data l’importanza di tale scritto chiesi, a Stefania di compiere una ricerca mirata a raccogliere tutte le informazioni utili, la invitai a tentare di accertare se di tale reperto storico era stata compiuto un accurato esame di autenticità. Avevo bisogno di disporre di maggiori e più precise conoscenze sulla circostanza del suo ritrovo, dei due porto ercolesi che lo avevano rintracciato: Giovanna Anastasia e un architetto che si chiama La Fauci. Quanto agli altri due personaggi che rientravano nella vicenda, Maurizio Marini e un sacerdote, Mons. Corradini, sapevo che il primo era un esperto del Merisi, il secondo uno studioso e un buon ricercatore. Nei giorni seguenti si rafforzò in me l’idea di tornare a Porto Ercole, in quel luogo si erano consumati gli ultimi istanti di vita del pittore e forse in quel luogo potevo tentare di rintracciare documenti e personaggi che mi avrebbero aiutato a dare una risposta più soddisfacente alle domande che mi ero posto. Le risposte dei biografi, delle lettere dell’epoca e di altri scritti, mi mantenevano in una zona grigia e ambigua. Un evento accaduto qualche settimana dopo mi venne in aiuto e rappresentò un insperato ausilio per liberarmi dalla tenaglia in cui mi trovavo. Il benevolo fatto assunse le sembianze di una pubblicazione che mi venne inviata da Carla Casalini, una dirigente dell’assessorato alla cultura che avevo conosciuto nel mio primo viaggio nella località toscana: la donna mi diede un libretto scritto da un certo Alessandro Ferrini, che aveva come titolo “ In questa terra di PortoHercole”. Mi immersi immediatamente nella lettura dell’opera, che trovai interessante. Il capitolo che rapì la mia attenzione era il V, intitolato “ E’ morto Micelangelo da Caravaggio, pittore celebre”.