giovedì 30 novembre 2017
domenica 26 novembre 2017
L'AMORE A MARINEO... PER IL PROSSIMO !
La mia gente s’intende d’amore , sa parlarne e ci
riempie tutti i giorni di gesti d’amore. Mi ricordo quando un cane fu trovato
morente per strada e subito lo si fece ricoverare e addirittura si parlò di
noleggiare un pulman per andarlo a trovare… si fecero accuse pesanti sulla
sacralità degli animali. Mi ricordo il beau geste di Walter che impose
all’assassino del suo cane di alienare fucile e licenza e in cambio lui rinunziava alla
denunzia. Non vi dico lo strazio della figlia vistasi ammazzare il cane come un
cane da un cane ! Ah l’amore per gli animali. Pensate che il nostro comune
spende 80.000 euro l’anno per i cani …
Ho avuto un rapporto bellissimo con due
marinesi che non sapevo nemmeno che
fossero parenti. Il primo mi rendeva onore quando passavo davanti il suo
ufficio rispondendo al mio generico “buon giorno” con uno squillante “bentornato Onofrio” ! Lui
mentre ti parlava “guardavaincielo” grazie al suo orecchio fine e affilato.
L’altro non è più con noi da qualche giorno. I marinesi “fuori” hanno sempre
qualcuno che ti tiene aggiornato sul traffico fra noi e il cielo. E’ cosi che mi
è giunta la notizia che in qualche ospedale di Palermo era in giacenza lo “zio
Vincenzo”. Esisteva un problema che non so se definirlo di burocrazia o di
“amore-marinese”. Una decina di congregazioni, una istituzione “di assistenza
agli ammalati”, una “misericordia” mezzo paese che passa “dalla chiesa a casa”
in automatico, decine di “pie donne badanti di parroci” che si vergognano di
“assistere” coloro che sono oggetto di comandamenti e attori del Vangelo , in
parole povere quello che si può definire “mio fratello” ! Oppure opere di
misericordia o meglio “l’amore per il prossimo” ! Non fu facile trovare a chi
spettava fra una decina di fratelli e una quarantina di nipoti riportare a casa
lo “zio Vincenzo”. Ieri si è svolto il funerale e non fu necessario mettere le
transenne ! Per fortuna non si rischiò
la calca perché i sette presenti ci hanno salvato ricordando alla nostra
comunità che l’amore non è merce e cosi “lo zio Vincenzo” , già “depositato”
per mesi in ospedale, ha avuto un corteo
funebre di sette persone , ma in compenso un elogio funebre di prima categoria
fatto da un francescano “ca pari ca un ci curpa” che ci ha ricordato come i marinesi sanno
“amare “ il prossimo ! Se qualcuno
volesse i nomi dei sette presenti si rassicuri io non ero fra loro !
Ps.Al mio paese le olive hanno la precedenza su
tutto. Quindi non c’è da scandalizzarsi se molti sono andati a raccogliere
olive anzicchè assaporare l’humor del Cangemi, la testimonianza dello Spataro
e, qui lo dico e qui l.o nego, anche il Virga diventa accettabile quando non fa
il Don Chisciotte solo contro i Mulini di Marineo… manovrati da mugnai ,
dimenticando che non esiste mugnaio che non si sporchi di farina…
giovedì 23 novembre 2017
ANTONINO CANGEMI: LEZIONE D'AMORE
A noi sempliciotti e populisti non è dato sapere (all’antica) cosa ha portato
Nino Cangemi a mettere assieme Ciro Spataro con il suo vecchio antagonista per
presentare la sua eccellente ultima opera. Sono scelte che sconcertano perché noi,
quelli predetti, siamo fermi al diavolo e l’acqua santa. Mentre le pruderie
moderate smaniano per farsi vedere sullo stesso tavolo diavoli e mezzi preti, i
non moderati se ne infischiano di regole e guai a pensare ad un loro incontro “invitando
“ lo Spataro, che ai loro occhi rimane “l’eterno nemico”. Mi stupisce l’amico “inglese”
Nino Cangemi (inglese per humor) che abbia scelto il meno sarcastico e
spiritoso dei nostri emergenti il quale rischia di trasformare la serata… in
tristezza. Questo ospite non ama nemmeno gli scherzi essendo perennemente in
lutto per le sorti prima del mondo poi dell’Europa e quindi dell’Italia per giungere infine in Sicilia
per poi non dire una parola sui risultati elettorali marinesi dove non si
comprende il suo silenzio: se da vincitore o da eliminato. Ora il Comunicato
Stampa del comune , asettico e impersonale , non fa giustizia al Cangemi , ma
ci offre la possibilità di scoprire se il nostro “maestro di poeti” sa sorridere
di più dell’inventore dei premi di poesia di cui è proprietario a vita. A prima
vista può
sembrare,la nostra, una posizione critica e di dissenso, ma assicuro i lettori
che sono uno di quelli che hanno gioito nel vedere il Ribaudo, padre padrone di trecento elettori non so quanto giovani e forti, cambiare il suo
linguaggio (non ho notizie sulle gesta…) al punto che quando Berlusconi si è
fatto fotografare con l’agnellino ho creduto fosse il Ribaudo e non un lupo
travestito da agnello… Cosi come questo
nostro mancato giudice in poesia vederlo allo stesso tavolo dello Spataro mi
sono detto : questa non è opera del Cangemi ma di San Ciro e quindi collegabile
a….
Dopo la “resa” di questo Papa alla qualsiasi, speravo
che qualcuno interpretasse le ultime elezioni. E speravo proprio che questo “amico
a tempo” , creatore di comitati cittadini alla bolscevica ,di non iscritti ma
di schedati, a rischio "censura e cancellazione" (vero Benanti ? , ma perchè continui a suicidarti !) ci tenesse aggiornati sugli brogli , malefatte, corruzioni , abusi
, compravendite. Cosi ancora non è stato , ma per fortuna arriva Antonino
Cangemi a parlarci dell’amore nel paese dove l’amore non si sa come sia inteso
: o meglio cosa include o esclude.
Intanto Vi consiglio di non mancare perché il
Cangemi lo merita e a me non mi va di far parte di un paese oscurantista, dove
si dà più spazio al rancore , spesso all’odio e meno all’amore.
ps. ad onor del vero , il nostro agente a Marsala (di cosa ci incolpa per averci lasciato ?) dedica molto spazio all'amore, ma non lo abbiamo mai visto metterlo in pratica... almeno nelle tre parole che usano i musulmani nel salutarsi...
Antonino
Cangemi è dirigente alla Regione Siciliana, ha pubblicato, oltre a saggi per
l’amministrazione presso cui opera, Comunicazione pubblica e burocrazia con
Antonio La Spina (Franco Angeli, 2009), le sillogi di poesie I soliloqui del
passista (Zona, 2009) e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2014), i pamphlet
umoristici Siculospremuta (Dario Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di
Girolamo, 2013). Ha collaborato con La
Sicilia e con l’edizione palermitana di Repubblica , collabora con la testata
on line siciliainformazioni.com e con
riviste divaria
cultura.
mercoledì 22 novembre 2017
CARAVAGGIO 7
7
Lo scritto del Ferrini iniziava
citando il parroco Jacopo de Ventura, il primo che, conformemente alle
prescrizioni del Concilio di Trento ( 1545-1563), iniziò a tenere il libro
delle nascite, dei matrimoni e delle morti. L’interesse per questo prelato
derivava dal fatto che egli guidava la parrocchia di Porto Ercole nell’anno in
cui sopraggiunse e morì il Caravaggio. Il Ferrini, che aveva avuto accesso al
libro dei morti, aveva riportato puntigliosamente e ordinatamente tutti i
decessi avvenuti nel 1609 e nel 1610, ma del pittore non vi era nessuna
traccia. Lo stesso estensore dell’opera si poneva alcune capitali domande senza
risposta: come era possibile che Jacopo de Ventura, sacerdote che
trascriveva le più piccole minuzie, non avesse riportato la morte di un
personaggio conosciuto come il Caravaggio? Eppure il prete della chiesa di S. Erasmo,
la parrocchiale del paese, aveva riportato la morte di un alfiere di nome
Montero, avvenuta verso la fine del luglio del 1610. In tale periodo il prelato
de Ventura si trovava a Roma a servizio presso un Cardinale e suo sostituto era
un certo prete Guglielmo. Nell’ambiente romano, nei mesi successivi alla morte
del Merisi, tutti o quasi tutti sapevano della sua fine avvenuta nella località
marina. Data la notorietà del pittore negli ambienti cardinalizi e vaticani,
era impossibile che il De Ventura, che in quel periodo si trovava a Roma, non
venisse a conoscenza di questa morte, se non altro perché era accaduta nel
territorio dove svolgeva la sua funzione di parroco. E se lo sapeva, cosa che
difficilmente si può dubitare, come mai, quando verso la fine di ottobre dello
stesso anno il de Ventura ritorna nella sua parrocchia e trascrive la morte del
Montero che probabilmente gli viene riferita da persone del paese, non riporta
quella del Caravaggio? Questi
interrogativi che sorgevano da scontate constatazioni e altrettanto evidenti considerazioni
di buon senso e di consequenzialità logica, non trovavano soddisfazione. Dovevo
ringraziare le notizie che il Ferrini, questo appassionato storico locale, aveva
riportato, se nella mia mente cominciava a delinearsi una calda chiarezza. Decisi
di rintracciare lo studioso locale, cosa che feci facilmente, e fissai un
incontro nel bar e nella piazza dove precedentemente avevo conosciuto Giovanna
Anastasia. Ci vedemmo nel giro di pochi giorni. L’uomo di media statura, con
sguardo affabile e dolce, mi accolse con una delicata riservatezza. Nelle sue
movenze e nei suoi gesti si riverberavano i tanti anni di navigazione nella
marina mercantile. Vi era una ondeggiante armonia fra i suoi diversi linguaggi,
quello verbale e quello corporeo: educato ai lunghi silenzi marini, fu conciso
e circospetto.
La differenza con l’archeologa si rivelò abissale, lei un fiume di parole senza soluzione di continuità, lui le pesava e le tratteneva come se fossero preziose e rare perle. Alle molte domande che gli feci le risposte furono poche, capii subito che avevo di fronte una persona che non si apriva al primo venuto. Il Ferrini apparteneva a quella tipologia di persone che, senza un saldo rapporto di fiducia e di stima per il suo interlocutore, seguiva la strada del ritegno e del silenzio. Dentro di me sentivo che avevo di fronte una persona che aveva compiuto un serio e approfondito studio sulla storia del suo paese e in particolare sulla venuta e morte del pittore lombardo. Avvertivo che l’uomo sapeva molte cose ma nel nostro primo incontro non voleva andare oltre a quello che avevo già letto nel libro da lui composto. Ci salutammo con l’intento di mantenere dei telefonici contatti e, in seguito, di rincontrarci. Prima di lasciare Porto Ercole decisi di visitare i luoghi che, secondo le ipotesi storiche più accreditate, hanno visto la presenza del Caravaggio. Me ne andai sulla spiaggia della Feniglia, una lunga, morbida, materna distesa di sabbia spettinata da un vento birichino. Un sole crepuscolare dispiegava un caldo e sensuale colore rossastro che, come un leggero e diafano velo, dava un tocco di grazia ai granelli di sabbia, alla risacca delle inquiete onde. Camminando sulla sfarinante spiaggia, ero attraversato da una ridda di saltellanti emozioni sboccianti da un ordito di immagini e parole frutto della lettura dei documenti degli ultimi giorni di vita del pittore della Canestra. Quella immensa distesa di granelli di sabbia assumeva magicamente un senso e una valenza sprigionata dalla mia immedesimazione con la raffigurazione del pittore che cercava disperatamente la felluca con il prezioso carico dei suoi tre quadri. La potenza della fantasia, la interiore forza dell’identificazione, componeva e scomponeva il ricco materiale che portavo nella memoria creando una momentanea sospensione della razionale distinzione fra il passato e il presente. Il Caravaggio, con la sua disperazione, la stanchezza e la fisica debilitazione, sembrava lì in carne ed ossa, e io vicino a lui. Si trattava di un processo psicologico che assume forma e sostanza ogni qual volta ci troviamo nei luoghi frequentati da persone da noi amate, ammirate o mitizzate. L’esperienza che stavo vivendo, con gradi e intensità diverse, con variegati livelli di consapevolezza, rientrava in quella tipologia di accadimenti che può essere etichettato come “evento mistico-identificatorio”. Tale dimensione esistenziale si sprigiona solo visitando luoghi sacri o profani legati a personaggi che sono profondamente penetrati nel nostro cuore e nella nostra mente: per me il Caravaggio era uno di questi.
La differenza con l’archeologa si rivelò abissale, lei un fiume di parole senza soluzione di continuità, lui le pesava e le tratteneva come se fossero preziose e rare perle. Alle molte domande che gli feci le risposte furono poche, capii subito che avevo di fronte una persona che non si apriva al primo venuto. Il Ferrini apparteneva a quella tipologia di persone che, senza un saldo rapporto di fiducia e di stima per il suo interlocutore, seguiva la strada del ritegno e del silenzio. Dentro di me sentivo che avevo di fronte una persona che aveva compiuto un serio e approfondito studio sulla storia del suo paese e in particolare sulla venuta e morte del pittore lombardo. Avvertivo che l’uomo sapeva molte cose ma nel nostro primo incontro non voleva andare oltre a quello che avevo già letto nel libro da lui composto. Ci salutammo con l’intento di mantenere dei telefonici contatti e, in seguito, di rincontrarci. Prima di lasciare Porto Ercole decisi di visitare i luoghi che, secondo le ipotesi storiche più accreditate, hanno visto la presenza del Caravaggio. Me ne andai sulla spiaggia della Feniglia, una lunga, morbida, materna distesa di sabbia spettinata da un vento birichino. Un sole crepuscolare dispiegava un caldo e sensuale colore rossastro che, come un leggero e diafano velo, dava un tocco di grazia ai granelli di sabbia, alla risacca delle inquiete onde. Camminando sulla sfarinante spiaggia, ero attraversato da una ridda di saltellanti emozioni sboccianti da un ordito di immagini e parole frutto della lettura dei documenti degli ultimi giorni di vita del pittore della Canestra. Quella immensa distesa di granelli di sabbia assumeva magicamente un senso e una valenza sprigionata dalla mia immedesimazione con la raffigurazione del pittore che cercava disperatamente la felluca con il prezioso carico dei suoi tre quadri. La potenza della fantasia, la interiore forza dell’identificazione, componeva e scomponeva il ricco materiale che portavo nella memoria creando una momentanea sospensione della razionale distinzione fra il passato e il presente. Il Caravaggio, con la sua disperazione, la stanchezza e la fisica debilitazione, sembrava lì in carne ed ossa, e io vicino a lui. Si trattava di un processo psicologico che assume forma e sostanza ogni qual volta ci troviamo nei luoghi frequentati da persone da noi amate, ammirate o mitizzate. L’esperienza che stavo vivendo, con gradi e intensità diverse, con variegati livelli di consapevolezza, rientrava in quella tipologia di accadimenti che può essere etichettato come “evento mistico-identificatorio”. Tale dimensione esistenziale si sprigiona solo visitando luoghi sacri o profani legati a personaggi che sono profondamente penetrati nel nostro cuore e nella nostra mente: per me il Caravaggio era uno di questi.
martedì 21 novembre 2017
venerdì 17 novembre 2017
CHE SIAMO UNA COSA SOLA
E finalmente arriviamo alla ennesima Tavola Rotonda su Lutero ! Ora è
il caso di stupirci perché alla fine è più credibile Lutero e i suoi
Protestanti per la loro coerenza che i
vari relatori che fra Laici , con Lilla Sebastiani ,Ortodossi, Traian Valdman e
Protestanti, Paolo Ricca, e non si capisce quali cattolici rappresenta Cosimo Scordato
(fra le centinaia di Tavole Rotonde
questa ripercorre il tracciato di questo Papa o meglio della via gesuitica al
Sud America).
Purtroppo non ci sarò e cosi mi perderò l’intervento dello
Scordato perché ero curioso constatare che
rispecchi il mandato di rappresentante di tutti i “cattolici”.
Spero che i marinesi onoreranno Nino Trentacoste e il suo
efficientissimo staff presenziando al Convegno. Perché lo scorso anno ho
vanamente cercato il “conduttore della comunità marinese” il quale per farsi
notare non è mai presente.
Tutte queste comunità religiose si fermano sempre al fare dopo aver
proclamato il dire !
Questo fine settimana è una proposta oltre che religiosa molto turistica
considerando la efficienza della resort della sua cucina che messi assieme
sono una proposta eccellente.
sabato 11 novembre 2017
CARAVAGGIO 6
6
6
Come nel periodo medioevale, i nobili elevano rocche, torri, castelli e
lussuose residenze, per distinguersi ed elevarsi rispetto ad altri, così nel
tardo-rinascimento entrare in possesso di opere del Merisi, il pittore alla
moda, donava un alone di prestigio, di aggiuntiva importanza e attenzione ai
potenti e ai ricchi. Non occorre essere indovini, né acuti cervelli per
presumere che il viceré di Napoli, per ingraziarsi la stima e la simpatia del
suo sovrano, si sia assiduamente adoperato per entrare in possesso delle “robbe”
del pittore, cioè dei quadri che portava con sé durante il suo viaggio sulla felluca
da Napoli a Palo. E’ facile intuire che cosa il De Castro sarebbe stato pronto
a fare per accaparrarsi quei quadri del lombardo. Il dispaccio che fece
giungere all’auditore o comandante militare di Porto Ercole non lasciava dubbi
sulla sua perentorietà e sulla importanza che egli attribuiva a quell’ordine. Di
tutte le testimonianze che riferivano sull’avvenuta morte di Caravaggio nella
località toscana, questo atto era di gran lunga il più credibile. Mi stupì il
fatto che i sostenitori della morte del Merisi a Napoli, Palo o Civitavecchia,
non avessero svolto elementari considerazioni di natura storiografica e non
certo di storia dell’arte. Se avessero applicato con rigore il metodo dei fatti
come base per le proprie idee, forse sarebbe bastata quella missiva, se poi si
aggiungono le tre lettere del luglio 1610, le convergenze del Baglioni, Bellori
e Mancini, l’epitaffio del Milesi, presunto amico di Michelangelo, ed infine i
sonetti a lui dedicati dal poeta Marino, si può ritenere questa tesi la più
forte. Nel caso rimanessero dubbi residui, questi potevano essere facilmente
sciolti dal virulente scontro esploso, fra il Priore di Capua (rappresentante
dei Cavalieri di Malta), il legato pontificio Deodato Gentile, la Marchesa
Costanza Sforza-Colonna e il viceré di Napoli. L’accesa diatriba intercorsa fra
gli illustri personaggi riguardava il legittimo possesso dei tre quadri del
Caravaggio ritornati a Napoli con le sue robbe.
I dipinti del Merisi erano ambiti e non esiste la minima riserva sul fatto che
il De Castro fece di tutto per impossessarsene, inoltre, che questi disponeva
di grande potere è nei fatti. Se da una parte possedevo un punto fermo che, pur
nella relatività delle certezze storiche, era solido e spendibile, dall’altro
vi erano ancora molte domande senza risposta: non si sapeva in quale specifico
luogo di Porto Ercole fosse giunto il Caravaggio; in quali giorni del mese di
luglio mise piede in quella località; in che stato fosse. In che giorni morì
era certificato da quel foglietto ritrovato nel 2001 ma che portava quella data
1609. Era fuori dubbio che il foglio, riportante da un lato la morte di un alfiere
spagnolo denominato Gaspare Montero e dall’altro il decesso del pittore, era
l’unico documento presente a Porto Ercole che certificava la presenza e la
morte di Caravaggio.
Iscriviti a:
Post (Atom)