sabato 11 novembre 2017

CARAVAGGIO 6



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Come nel periodo medioevale, i nobili elevano rocche, torri, castelli e lussuose residenze, per distinguersi ed elevarsi rispetto ad altri, così nel tardo-rinascimento entrare in possesso di opere del Merisi, il pittore alla moda, donava un alone di prestigio, di aggiuntiva importanza e attenzione ai potenti e ai ricchi. Non occorre essere indovini, né acuti cervelli per presumere che il viceré di Napoli, per ingraziarsi la stima e la simpatia del suo sovrano, si sia assiduamente adoperato per entrare in possesso delle “robbe” del pittore, cioè dei quadri che portava con sé durante il suo viaggio sulla felluca da Napoli a Palo. E’ facile intuire che cosa il De Castro sarebbe stato pronto a fare per accaparrarsi quei quadri del lombardo. Il dispaccio che fece giungere all’auditore o comandante militare di Porto Ercole non lasciava dubbi sulla sua perentorietà e sulla importanza che egli attribuiva a quell’ordine. Di tutte le testimonianze che riferivano sull’avvenuta morte di Caravaggio nella località toscana, questo atto era di gran lunga il più credibile. Mi stupì il fatto che i sostenitori della morte del Merisi a Napoli, Palo o Civitavecchia, non avessero svolto elementari considerazioni di natura storiografica e non certo di storia dell’arte. Se avessero applicato con rigore il metodo dei fatti come base per le proprie idee, forse sarebbe bastata quella missiva, se poi si aggiungono le tre lettere del luglio 1610, le convergenze del Baglioni, Bellori e Mancini, l’epitaffio del Milesi, presunto amico di Michelangelo, ed infine i sonetti a lui dedicati dal poeta Marino, si può ritenere questa tesi la più forte. Nel caso rimanessero dubbi residui, questi potevano essere facilmente sciolti dal virulente scontro esploso, fra il Priore di Capua (rappresentante dei Cavalieri di Malta), il legato pontificio Deodato Gentile, la Marchesa Costanza Sforza-Colonna e il viceré di Napoli. L’accesa diatriba intercorsa fra gli illustri personaggi riguardava il legittimo possesso dei tre quadri del Caravaggio ritornati a Napoli con le sue robbe. I dipinti del Merisi erano ambiti e non esiste la minima riserva sul fatto che il De Castro fece di tutto per impossessarsene, inoltre, che questi disponeva di grande potere è nei fatti. Se da una parte possedevo un punto fermo che, pur nella relatività delle certezze storiche, era solido e spendibile, dall’altro vi erano ancora molte domande senza risposta: non si sapeva in quale specifico luogo di Porto Ercole fosse giunto il Caravaggio; in quali giorni del mese di luglio mise piede in quella località; in che stato fosse. In che giorni morì era certificato da quel foglietto ritrovato nel 2001 ma che portava quella data 1609. Era fuori dubbio che il foglio, riportante da un lato la morte di un alfiere spagnolo denominato Gaspare Montero e dall’altro il decesso del pittore, era l’unico documento presente a Porto Ercole che certificava la presenza e la morte di Caravaggio. 
           
Data l’importanza di tale scritto chiesi, a Stefania di compiere una ricerca mirata a raccogliere tutte le informazioni utili, la invitai a tentare di accertare se di tale reperto storico era stata compiuto un accurato esame di autenticità. Avevo bisogno di disporre di maggiori e più precise conoscenze sulla circostanza del suo ritrovo, dei due porto ercolesi che lo avevano rintracciato: Giovanna Anastasia e un architetto che si chiama La Fauci. Quanto agli altri due personaggi che rientravano nella vicenda, Maurizio Marini e un sacerdote, Mons. Corradini, sapevo che il primo era un esperto del Merisi, il secondo uno studioso e un buon ricercatore. Nei giorni seguenti si rafforzò in me l’idea di tornare a Porto Ercole, in quel luogo si erano consumati gli ultimi istanti di vita del pittore e forse in quel luogo potevo tentare di rintracciare documenti e personaggi che mi avrebbero aiutato a dare una risposta più soddisfacente alle domande che mi ero posto. Le risposte dei biografi, delle lettere dell’epoca e di altri scritti, mi mantenevano in una zona grigia e ambigua. Un evento accaduto qualche settimana dopo mi venne in aiuto e rappresentò un insperato ausilio per liberarmi dalla tenaglia in cui mi trovavo. Il benevolo fatto assunse le sembianze di una pubblicazione che mi venne inviata da Carla Casalini, una dirigente dell’assessorato alla cultura che avevo conosciuto nel mio primo viaggio nella località toscana: la donna mi diede un libretto scritto da un certo Alessandro Ferrini, che aveva come titolo “ In questa terra di PortoHercole”. Mi immersi immediatamente nella lettura dell’opera, che trovai interessante. Il capitolo che rapì la mia attenzione era il V, intitolato “ E’ morto Micelangelo da Caravaggio, pittore celebre”.

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