domenica 10 febbraio 2013

CALCIO:DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE



Per chi non c’era e per chi non c’è più

L’appuntamento è alle 15,00 da qualche parte . Mentre sono alle prese con i semafori rossi e con i guidatori della domenica, come li chiama papà, anche se oggi è sabato e poi quelli alla fin fine sono in giro tutta le settimana, mi suona il telefono. -Guarda che parte dall’inizio. Ingrano la quarta e straccio secchi un paio di rossi. È Dani che mi informa che Rena parte titolare nella prima partita ufficiale della sua vita. Trasferta insidiosa , poi per una squadra che ha concluso il girone d’andata con zero vittorie e zero pareggi, anche le sfide casalinghe diventano insidiose… Sembra che per parcheggiare devi sapere quando i tuoi compaesani usano la macchina per poi appostarti, quando escono, nelle vicinanze delle loro auto. Dopo un quarto d’ora buono, trovo un buco che raggiungo con una bella inversione a “U” e mi fiondo dentro l’oratorio. La partita è già iniziata e raggiungo Dani che è a bordo campo. Sulle gradinate si sono radunati un gruppetto di genitori che seguono la partita sereni e rilassati. Nei pressi della recinzione ci sono quelli che urlano suggerimenti e incitano i propri figli. Mentre arrivo, Dani sta ragguagliando il piccolo Bianchi sulla posizione da tenere aggrappato alla rete che separa il campo dalla gradinate :-Segui sempre l’uomo! Gioco a questo sport da vent’anni e ancora questo concetto non mi è di facilissima applicazione. A 6  anni i nostri si limitano a correre intorno alla palla, colpirla quando riescono e scivolare per terra quando mancano il contatto. A noi, tanto basta per chiamarlo calcio. Quando Rena si volta e mi vede di fianco a Dani, mi sorride e forse pensa a come farmi qualche marachella da dentro il campo. Gli vorrei dire di concentrarsi sulla partita, ma sono troppo contento della sua accoglienza per farlo. Indossa la maglia numero 15, come il suo giorno di nascita. L’avversario è una squadra tosta e i suoi ragazzi sono più alti e robusti dei nostri. Di fianco a noi c’è un padre marocchino che incita il figlio. Ci scambiamo un’occhiata e mi dice:-Ormai non mi agito più per il calcio vero, questo è molto meglio! L’avversario attacca. Il numero 11, che gioca bene come uno della mia età, scocca bel tiro dal limite dell’aria: fuori di poco. Io e Dani tiriamo un sospirone e ci guardiamo per condividere con uno sguardo la paura scampata. E poi leggo nei suoi occhi lo stesso mio pensiero: ma quando mai abbiamo tifato così per la stessa squadra!? Rena lotta a centrocampo e imposta anche qualche azione. -Segui l’uomo, non la palla! Credo che questa frase se la sognerà stanotte. Riceve complimenti dalla panchina ogni volta che torna a marcare un avversario. Corre senza soluzione di continuità. Torna! Calcia! Segue l’uomo! Le indicazioni degli adulti fuori dal campo, lo divertono: quando mai hanno preso tanto sul serio un gioco di noi bambini!? E chissà perché lo fanno? La partita è equilibrata. Occasioni da una parte e dall’altra, ma lo zero a zero regge. E sarebbe oro colato. Il figlio del marocchino però ha intenzioni diverse e prende la palla fuori dalla nostra aria e la spedisce, seppur molto lentamente, in porta. Uno a Zero. Io sferro un calcio alla recinzione e guardo Dani. I nostri sguardi sono colmi di delusione e lui mi ricorda: -Questo è il calcio. Si chiude il primo dei tre tempi di gioco. Nel secondo, Rena si accomoda in panchina e la Juvenilia (così si chiama la sua squadra…) crolla letteralmente. Prendiamo quattro gol e se potessi parlare con l’allenatore gli chiederei se secondo lui, questo non possa essere dovuto all’uscita del Renato e al suo prezioso lavoro a centrocampo, piuttosto che alle papere del nostro portierino. Ma sono ancora piccoli per tutto questo e quindi mastico amaro perché la partita è stata buttata letteralmente via. Nel terzo tempo Renato rientra, ma forse la sosta, l’esordio o la stanchezza lo fanno rendere molto meno. Risponde più lentamente alle indicazioni, segue molto di più la palla e si distrae un po’ troppo. Ma il Bianchi ha gamba e temperamento e sotto pressione non scompare, ma cerca risorse dentro di sé per fronteggiare la battaglia. Lo prendiamo da parte durante una pausa di gioco. -Attaccati all’uomo e non perderlo mai! Mai!!! E quando attacchiamo buttati dentro all’aria.
Mentre penso di aver esagerato, che in fondo è l’esordio e siamo ad una partita dei 2006, Renato si butta in aria di rigore. Forse gli sto già urlando di tornare a difendere, quando raccoglie una palla vagante in aria e calcia. Il tiro è lento, il portiere lo devia facendo perdere al pallone anche l’ultimo barlume di velocità. Vorrei correre in campo e soffiare su quella palla. Sento alle mie spalle il soffio di Dani che non sta più nella pelle. Poi avverto anche l’alito di nonno Onofrio che dalla Sicilia tenta di far oltrepassare la linea a quella palla e più indietro quello dello zio Andrea che dai quaranta gradi dell’Australia sta andando in iperventilazione pur di mandare quella palla in porta. E forse sento anche il soffio decisivo, quello di un altro Renato che da lassù spinge il nipote verso il suo primo gol. La palla continua a rotolare, lambisce il palo ed entra in porta. Gol. Il tripudio. Abbraccio Dani peggio di quanto fatto al gol di Grosso ai mondiali 2006 (il 2006 appunto…).
Mi aggrappo alla recinzione e la sto per buttare giù. L’allenatore è entrato in campo e ha preso in braccio Rena, portandolo in trionfo tra i compagni increduli per un esordio tanto folgorante… Perdiamo cinque a uno, ma è che come se avessimo vinto il campionato. Non vedo l’ora che arrivi la prossima partita e guardando verso il cielo, mi chiedo se in qualche schermo lassù trasmettano questo strano campionato di calcio, dove vincere non è importante, dove il coinvolgimento è più alto che mai e dove il calcio è ancora solo un pallone che rotola su un prato. Da oggi per me questo è il campionato più bello del mondo.

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