C CARAVAGGIO 11
Conclusioni connesse con le
ultime ipotesi di malattie formulate
Negli ultimi giorni della sua vita Caravaggio era febbricitante. Partendo da questo unico indizio clinico sono state formulate diverse ipotesi riguardo la malattia che lo avrebbe portato a morte e ne sono state criticate altre.
Sono state chiamate in causa malaria, tifo,
brucellosi… malattie infettive che come molte altre patologie, infettive e non,
comprendono nella sintomatologia anche la febbre e che non portano
necessariamente (o facilmente) a morte. Appare un po’ forzato fare una diagnosi
con un unico indizio, soprattutto quando così aspecifico: la febbre può
rappresentare uno degli elementi cruciali per la soluzione del caso solo se si
presenta, ad occhio esperto, con determinate cadenze e determinate temperature.
Eppure anche in tal caso, ai giorni nostri, non si azzarda una diagnosi senza
elementi più concreti perché anche volendo prendere in considerazione malattie
in cui la puntate febbrili si presentano con caratteristiche davvero evidenti e
riconosciute, si corre il rischio di non valutare la possibilità di altre cause
che possono presentarsi in maniera del tutto simile. Un corretto atteggiamento
diagnostico è quello di servirsi dei sintomi associati ed anche in questo caso
va tenuto conto del fatto che la sintomatologia di malattie diverse, soprattutto
negli stadi finali, può spesso convergere e causare la morte per i medesimi
motivi. Le descrizioni dell’epoca non ci riportano altro che uno stato
confusionale che, malgrado possa presentarsi in maniera peculiare associato ad
alcune malattie croniche (causa di malattia ma non necessariamente di morte), è
compatibilissimo in acuto con qualsiasi stato febbrile, soprattutto se con
temperature corporee decisamente elevate e frequentemente associato a stati di
prostrazione generale. Un altro indizio è il fatto che il Caravaggio non doveva
essere infettivo per gli altri: nel caso di una tossinfezione batterica
alimentare (alcune sono altamente contagiose!) le cronache locali di una
piccolo borgo avrebbero presumibilmente riportato un caso di infezione collettiva.
Sembrerebbe opportuno dunque servirsi di
indizi epidemiologici, cercare, cioè, quelle malattie che è noto fossero
presenti all’ epoca (si presterebbe bene
a queste considerazioni il carbonchio, la cui infezione avviene tramite il
contatto con animali infetti, che nel ‘600 era addirittura endemico e non è trasmissibile da uomo ad uomo) ma anche
in questo modo non si restringe molto il campo. La medicina di allora era,
rispetto all’ attuale, approssimativa e non si poteva fondare sulle certezze
che ci danno ai giorni nostri i laboratori, ne segue che malattie diverse
potevano venire interpretate come dovute alle stesse cause e numerose patologie
descritte in periodi relativamente recenti potevano benissimo essere già
presenti nel ‘600 e misconosciute (come la leptospirosi, dovuta al contatto con
urine di topi e non trasmissibile da uomo ad uomo). Inoltre, proprio
considerando il periodo storico, occorre riflettere sul fatto che le
descrizioni delle malattie comunemente reperibili fanno riferimento a quadri
clinici che sono osservabili solo ai giorni nostri, in cui l’ igiene, la
pulizia, la sterilizzazione di alcuni alimenti, hanno reso occasionali i
contatti dell’ uomo con determinati germi, con la conseguenza di rendere l’
organismo non abituato a tali microrganismi e quindi suscettibile a manifestare
la malattia qualora questo contatto avvenga . Nel XVII secolo le persone erano
costantemente in contatto con i numerosissimi germi ambientali e animali, ne
consegue che eventuali infezioni decorrevano frequentemente in modo
asintomatico e si risolvevano spontaneamente oppure permanevano in maniera più
o meno silente nell’ organismo per tutta la vita.
Resta la necessità, dunque, di considerare
con cognizione e criterio le ipotesi già formulate, avendo la possibilità,
qualora se ne voglia prendere in esame una in particolare, di conoscerne
realmente tutte le caratteristiche cliniche, la possibilità di morirne e di
valutare le eventuali malattie che ne simulano il quadro, riflettendo su quanto
sia davvero coraggioso affermare che Caravaggio sia morto proprio a causa di
quella malattia.
Caravaggio poteva avere un carattere
“scomodo” di suo o perché c’era qualche patologia organica di sottofondo, con
molta probabilità era cronicamente intossicato dal piombo presente nei suoi
colori e in un qualsiasi momento della sua vita può avere contratto la sifilide
che era una malattia relativamente comune perfino nelle classi più abbienti,
infine potrebbe anche essere morto per le complicanze, precoci o tardive, della
malaria, del tifo, della brucellosi o di altre malattie che era facile
contrarre nella situazione igienico-sanitaria del periodo, o per l’infezione di
qualche ferita profonda e non pulita (che facilmente avrebbe provocato una
letale sepsi ).
Potrebbe semplicemente essere morto per un
grave “colpo di calore”, che per quanto rappresenti una fine poco altisonante,
appare del tutto verosimile considerando gli ultimi momenti della vita di
Caravaggio .
Condividevo pienamente le conclusioni
redatte dalla dott. Cervone e colsi l’occasione per un ulteriore ringraziamento
che feci tramite una telefonata per il prezioso contributo che aveva fornito
alla nostra intricata e complessa ricerca.
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