giovedì 16 maggio 2019

CARAVAGGIO 11


   
C        CARAVAGGIO 11


        Conclusioni connesse con le ultime ipotesi di malattie formulate
           
           
Negli ultimi giorni della sua vita Caravaggio era febbricitante. Partendo da questo unico indizio clinico sono state formulate diverse ipotesi riguardo la malattia che lo avrebbe portato a morte e ne sono state criticate altre.
Sono state chiamate in causa malaria, tifo, brucellosi… malattie infettive che come molte altre patologie, infettive e non, comprendono nella sintomatologia anche la febbre e che non portano necessariamente (o facilmente) a morte. Appare un po’ forzato fare una diagnosi con un unico indizio, soprattutto quando così aspecifico: la febbre può rappresentare uno degli elementi cruciali per la soluzione del caso solo se si presenta, ad occhio esperto, con determinate cadenze e determinate temperature. Eppure anche in tal caso, ai giorni nostri, non si azzarda una diagnosi senza elementi più concreti perché anche volendo prendere in considerazione malattie in cui la puntate febbrili si presentano con caratteristiche davvero evidenti e riconosciute, si corre il rischio di non valutare la possibilità di altre cause che possono presentarsi in maniera del tutto simile. Un corretto atteggiamento diagnostico è quello di servirsi dei sintomi associati ed anche in questo caso va tenuto conto del fatto che la sintomatologia di malattie diverse, soprattutto negli stadi finali, può spesso convergere e causare la morte per i medesimi motivi. Le descrizioni dell’epoca non ci riportano altro che uno stato confusionale che, malgrado possa presentarsi in maniera peculiare associato ad alcune malattie croniche (causa di malattia ma non necessariamente di morte), è compatibilissimo in acuto con qualsiasi stato febbrile, soprattutto se con temperature corporee decisamente elevate e frequentemente associato a stati di prostrazione generale. Un altro indizio è il fatto che il Caravaggio non doveva essere infettivo per gli altri: nel caso di una tossinfezione batterica alimentare (alcune sono altamente contagiose!) le cronache locali di una piccolo borgo avrebbero presumibilmente riportato un caso di infezione collettiva. 
Sembrerebbe opportuno dunque servirsi di indizi epidemiologici, cercare, cioè, quelle malattie che è noto fossero presenti all’ epoca (si presterebbe  bene a queste considerazioni il carbonchio, la cui infezione avviene tramite il contatto con animali infetti, che nel ‘600 era addirittura endemico e  non è trasmissibile da uomo ad uomo) ma anche in questo modo non si restringe molto il campo. La medicina di allora era, rispetto all’ attuale, approssimativa e non si poteva fondare sulle certezze che ci danno ai giorni nostri i laboratori, ne segue che malattie diverse potevano venire interpretate come dovute alle stesse cause e numerose patologie descritte in periodi relativamente recenti potevano benissimo essere già presenti nel ‘600 e misconosciute (come la leptospirosi, dovuta al contatto con urine di topi e non trasmissibile da uomo ad uomo). Inoltre, proprio considerando il periodo storico, occorre riflettere sul fatto che le descrizioni delle malattie comunemente reperibili fanno riferimento a quadri clinici che sono osservabili solo ai giorni nostri, in cui l’ igiene, la pulizia, la sterilizzazione di alcuni alimenti, hanno reso occasionali i contatti dell’ uomo con determinati germi, con la conseguenza di rendere l’ organismo non abituato a tali microrganismi e quindi suscettibile a manifestare la malattia qualora questo contatto avvenga . Nel XVII secolo le persone erano costantemente in contatto con i numerosissimi germi ambientali e animali, ne consegue che eventuali infezioni decorrevano frequentemente in modo asintomatico e si risolvevano spontaneamente oppure permanevano in maniera più o meno silente nell’ organismo per tutta la vita.
Resta la necessità, dunque, di considerare con cognizione e criterio le ipotesi già formulate, avendo la possibilità, qualora se ne voglia prendere in esame una in particolare, di conoscerne realmente tutte le caratteristiche cliniche, la possibilità di morirne e di valutare le eventuali malattie che ne simulano il quadro, riflettendo su quanto sia davvero coraggioso affermare che Caravaggio sia morto proprio a causa di quella malattia.
Caravaggio poteva avere un carattere “scomodo” di suo o perché c’era qualche patologia organica di sottofondo, con molta probabilità era cronicamente intossicato dal piombo presente nei suoi colori e in un qualsiasi momento della sua vita può avere contratto la sifilide che era una malattia relativamente comune perfino nelle classi più abbienti, infine potrebbe anche essere morto per le complicanze, precoci o tardive, della malaria, del tifo, della brucellosi o di altre malattie che era facile contrarre nella situazione igienico-sanitaria del periodo, o per l’infezione di qualche ferita profonda e non pulita (che facilmente avrebbe provocato una letale sepsi ).                                                                
Potrebbe semplicemente essere morto per un grave “colpo di calore”, che per quanto rappresenti una fine poco altisonante, appare del tutto verosimile considerando gli ultimi momenti della vita di Caravaggio .
Condividevo pienamente le conclusioni redatte dalla dott. Cervone e colsi l’occasione per un ulteriore ringraziamento che feci tramite una telefonata per il prezioso contributo che aveva fornito alla nostra intricata e complessa ricerca.

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