mercoledì 22 maggio 2019

CARAVAGGIO12


CARAVAGGIO 12
La scoperta del falso documento sul luogo e la data di morte del Caravaggio

La ricerca storico-documentale aveva raggiunto un obiettivo soddisfacente. Senza la pretesa di una indagine esauriente e di tipo specialistico si era riusciti a rivedere la vita e la personalità del Caravaggio liberandola da un gioco di specchi deformanti impregnati di moralismo e inutili pre-giudizi. Un tardo pomeriggio mi trovavo nel mio ufficio al Ministero del Turismo, il telefono squillò e si materializzò la voce del Ferrini. Il tono era concitato, l’infaticabile ricercatore mi informava della scoperta di un documento avvenuta qualche giorno prima negli archivi diocesani di Pitigliano, uno splendido paesino medievale ubicato nella provincia di Siena. La parrocchia di Porto Ercole, come molte altre limitrofe rientravano nella ecclesiale giurisdizione di Pitigliano, dove vigeva la sede vescovile. Il Ferrini mi invitava ad un ulteriore incontro nella solita piazza Roma di Porto Ercole e mi informava che lui e Gualtiero della Monaca, altro storico locale suo amico, oltre a questo atto mi avrebbe consegnato una carta topografica spagnola, dei primi decenni del seicento, riportante la località marina e altri importanti reperti storici che avrebbero proiettato una nuova luce su quel famoso foglietto ritrovato nel 2001. Si trattava di un ritrovamento ritenuto di capitale importanza, dato che in esso vi era trascritto il luogo di sofferenza degli ultimi due giorni del pittore lombardo e la data della sua morte. Terminata la telefonica comunicazione, rimasi basito e fui preso da una intensa eccitazione; non mi aspettavo ulteriori rivelazioni e di cotale consistenza. Subitamente sgorgò l’inevitabile pensiero della enigmaticità e stranezza dell’ incedere degli accadimenti che modulavano il rapporto tra me e i due amici ricercatori di Porto Ercole. Quell’incontro e l’evolversi positivamente del nostro legame si stava rivelando importantissimo. Ferrini e della Monaca, in un certosino lavoro di anni, avevano raccolto testimonianze storiche che riscrivevano gli ultimi giorni della esistenza di Caravaggio e, pur se a pizzichi e mozziconi, questi reperti mi venivano affettuosamente messi a disposizione.  Il giorno dopo la telefonata intercorsa con il Ferrini ritornai nel paese marino. Si ripetè una precedente scenografia, il Ferrini, questa volta accompagnato da Della Monaca, mi stava aspettando al solito tavolino, del solito baretto, della solita piazza Roma. Gualtiero portava con sé un computer portatile e un dischetto che custodiva gelosamente nella mano sinistra.  I due assidui frequentatori di biblioteche e  archivi di chiese e chiesette manifestavano un compiacimento incontenibile. Dopo le solite chiacchiere di circostanza il Ferrini, con tono spruzzato di marzialità, annunciò che l’insieme di documenti che mi stavano dando rivestivano un ruolo chiave  sulla vicenda del  “ famoso foglietto ritrovato nel 2001” e offrivano una nuova e definitiva versione sulla mancata registrazione nel libro dei morti del decesso dell’alfiere Montero. Permettevano di formulare una versione più attendibile della mancata trascrizione della morte del Caravaggio che rafforzava le ipotesi precedentemente formulate sul ruolo avuto dagli spagnoli nel merito di tali vicissitudini.
Tutto il materiale passò nelle mie mani e a mala pena celavo l’entusiasmo e la soddisfazione
non tanto per le nuove importanti acquisizioni, quanto per la ben riposta fiducia nei due ricercatori locali.

Il foglietto ritrovato nel 2001 si rivela senza fondamento storico, non può che essere una contraffazione.
Perché NON SI SCRISSE della morte dell’Alfiere Gaspar Montero?
Prete Guglielmo, il sostituto di Jacopo de Ventura durante la sua presenza a Roma, aveva tra gli altri il compito di tenere aggiornati i registri di nascite, matrimoni e morti e a quanto pare non registrò né la morte dell’alfiere né la morte del Caravaggio. Anche volendo ammettere che qualcuno avesse preso nota al posto di prete Guglielmo (ma non era nella prassi) si dovrebbe credere che  il Pievano di Ventura, ritornato da Roma a fine ottobre-inizio novembre 1610 si preoccupasse (“se ne fa la presente notatione”) di aggiornare i registri registrando la morte dell’alfiere Gaspare Montero, che gli sarebbe stata comunicata tramite il foglietto, correggesse addirittura la data in 1610 anziché 1609, ma nel contempo non si avvedesse né si curasse della nota sul retro dello stesso foglietto, dimostrando di non conoscere – neppure per sentito dire - della morte del pittore più noto e famoso del suo tempo. Il Pievano Jacopo di Ventura scrisse della morte dell’Alfiere Montero perché lo conosceva personalmente e perché qualcuno, al suo ritorno, si preoccupò di ricordarglielo verbalmente, indicandogli anche il luogo dove era stato sepolto, molto probabilmente un sepolcreto entro la “parrocchiale”, ma non gli fu mai consegnato un documento scritto riportante il decesso.
La ragione per la quale il sostituto prete Guglielmo non registrò la morte dell’alfiere appariva palese in seguito ad alcuni documenti rinvenuti in aprile 2010 da Gualtiero Della Monaca e da Alessandro Ferrini. Era stato rinvenuto un testamento in cui l’alfiere, che era evidentemente amico del Pievano, lascia a costui molti e molti ducati. Guglielmo, non registrando la morte dell’ alfiere gli avrebbe impedito per dispetto di entrare in possesso dell’ eredità. Quando di Ventura registrò la morte dell’amico, indicò anche che “non si scrisse” da prete Guglielmo. Fra parroco e vice parroco da qualche tempo non scorreva più buon sangue: verso la fine dell’anno 1609 una donna anziana molto povera, non potendo permettersi un avvocato, aveva implorato il vescovo di Sovana di nominare un arbitro nella persona del Pievano Jacopo di Ventura,  in una causa fra  lei e prete Guglielmo che possedeva una sua casa, ma che non aveva alcuna intenzione di restituirle. Jacopo di Ventura svolse bene il suo compito, convocò numerosi testimoni e prete Guglielmo Guglielmini dovette restituire il mal tolto.  Nel luglio 1610 era rimasto alla cura della parrocchia il sacerdote che inizialmente il Di Ventura indicava come “Don” Guglielmo, più tardi come “Prete” Guglielmo, appellativo dato in segno di disistima da quando quest’ ultimo, insieme al sagrestano, aveva denunciato il Pievano al tribunale di inquisizione causandone una detenzione a Roma. In quel tempo officiava nella  chiesina e nella cappella di Monte Filippo padre Francesco Maccari da Scansano. Dopo l’accadimento della mancata trascrizione della morte dell’ alfiere Montero, il pievano chiamò quasi sempre il Maccari a sostituirlo e non più prete Guglielmo, ogni qualvolta si assentava da Porto Ercole. La ragione per cui la morte del Caravaggio non venne registrata nel Libro dei Morti della Parrocchia è un fatto apparentemente inspiegabile, perché si scriveva sempre della morte di qualsiasi individuo, che fosse morto in casa propria, all’ospedale, fosse parrocchiano o forestiero, se ne conoscesse il nome o lo si ignorasse, fosse facoltoso o povero, che si fosse o non si fosse pagato per il “mortorio”. Le disposizioni sulle “competenze” fra i cappellani alle fortezze e i parroci saranno più volte ribadite dai vescovi, tuttavia non erano quasi mai osservate neppure con il parroco in sede, figuriamoci quando i cappellani si trovavano di fronte ad un  sostituto. A causa di ciò non è  da escludere che prete Guglielmo non scrisse del Caravaggio non per errore ma semplicemente perché nessuno gli denunciò la morte del pittore. A Porto Ercole, salvo un ristrettissimo numero di persone, nessuno venne a  conoscenza della morte di quel forestiero avvenuta nel riserbo del Forte di Monte Filippo e la cui sepoltura avvenne in forma riservata, in accordo con il governatore e con il comandante del forte. L’accertamento che una persona sia effettivamente morta è oggi puntualmente previsto dalla legge relativa all’ordinamento dello Stato civile che disciplina con opportune norme l’effettuazione della dichiarazione di morte e la compilazione dell’atto relativo. La dichiarazione di morte deve essere preceduta da una visita medica sul cadavere. Al termine della visita, deve essere rilasciato un certificato scritto che va allegato al registro degli atti di morte. Tutto ciò accade nei casi, per così dire normali, in cui è possibile assicurarsi direttamente della morte perché il cadavere della persona defunta è rinvenibile e riconoscibile. In tutti gli altri casi, l’ordinamento prevede gli istituti della scomparsa e assenza sino alla dichiarazione di morte presunta. Non dobbiamo pensare che quattrocento anni fa, nella sostanza, le cose differissero molto dalle nostre leggi. Il parroco, nel trascrivere la morte di una persona sul Liber Mortuorum o il suo sostituto nell’annotarne la morte su un foglio, fungevano esattamente da “ufficiali di Stato civile”, per cui non avrebbero potuto certificare nulla se non dopo aver preso visione della persona morta. Prete Guglielmo non scrisse del Caravaggio perché mai lo vide morto, e/o perché nessuno gliene fece parola.  Quando Jacopo de Ventura ritornò in sede seppe verbalmente della morte del Caravaggio, ma venendo a conoscenza da prete Maccari che gli spagnoli gradivano un discreto silenzio, forse per la prima volta in vita sua, per quieto vivere,  fece finta di nulla.

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