mercoledì 8 dicembre 2010

FONDERSI CON IL FOGLIO


L’autrice, originaria di Marineo, ha scritto questo racconto, pubblicato dalla Scuola Holden di Torino, nell’ambito di un concorso letterario indetto su Internet

   Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi. Certo sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta. Prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola, scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate con tutto quello che si portano dietro. “Allora?’ mi chiede il mio editore accendendosi una sigaretta.
   Devo sbrigarmi. Correre via. Per conservare un briciolo di dignità. Lui, editore di una modesta collana rosa, incalza: “Allora, ti dimetti o preferisci essere licenziata?” Farmi credere che io possa scegliere è l’ultima delle sue canagliate. Un aut aut è il massimo che la sua falsa generosità gli permetta. Un foglio, un foglio subito. Chiudere in poche righe un’esperienza che si sta concludendo così amaramente. A niente è servito studiare, leggere. Mi hanno detto che ogni buon scrittore è soprattutto un grande lettore. Mi sono tuffata su tutto.  Mi sono sorbita  Joice  e la ponderosa Recherche di Proust. E gli scrittori americani. Ho riletto Dostoevskij e Tolstoy perché non  si può scrivere se non si comincia da chi lo ha fatto così bene. Ed Eco con i suoi pendoli e le sue rose. E quel Baricco così intrigante. A casa mia  i libri non sono  allineati per colore o in ordine di altezza, ma divisi per genere, amati, accarezzati.
   Ho migliorato grammatica e sintassi, ma non è  servito a niente. I miei  racconti piacciono sempre meno al direttore. “Troppo banali – si giustifica mellifluo - i tuoi racconti sono linguisticamente ineccepibili… ma banali, prevedibili… le nostre lettrici vogliono storie forti, in cui identificarsi, sognare…”
   Ho capito: bisogna dare alla massaia di Canicattì nuove emozioni, un surrogato dell’alcol che le casalinghe pare consumino in grande quantità. Ho in mente due storie forti come piacciono a lui, roba da far accapponare la pelle… ma sono  storie vissute sulla mia pelle … non ho il coraggio di tirarle fuori.
   Dignitosamente devo andarmene, firmare la mia rinuncia. Raccogliere i cocci del mio sogno prematuramente infranto.  
   Percepisce la mia amarezza: “Dai, se vuoi manda qualche racconto ogni tanto – mi dice con finto interesse allungandosi sulla poltrona, ma la sua testa è già altrove – vedremo di pubblicarlo”.
   Boiate. Raccolgo le mie cose. Sono amareggiata ma non vinta. Un piano ce l’ho: narrerò le mie storie ad un altro editore che riconoscerà il mio talento ed io diventerò   famosa…
Mariolina Sardo

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