domenica 19 luglio 2015

ACQUA VERDE 1



ACQUA VERDE
La storia che volevo raccontarti
DI  SALVATORE GIUSEPPE POMARA

C’era già un nostro vicino di paese specialista in documenti di storia vissuta dei nostri emigranti. Lo abbiamo avuto ospite a Marineo recentemente quando è venuto a parlarci del suo ultimo lavoro sulla storia del nostro territorio. Lui grande ricercatore, noi suoi lettori. E cosi su questo cammino parallelo abbiamo incontrato Giuseppe Pomara , grandissimo amante delle sue due terre: La Merica dove è cresciuto e la Sicilia della cui creta è stato plasmato. Appassionato della nostra storia locale finalmente ha ceduto al nostro invito permettendoci di pubblicare questo suo lavoro. Ora superato il primo ostacolo ne abbiamo dovuti affrontare altri. 

Il rifiuto cronico della nostra gente alla lettura non è guaribile e quindi non intendiamo affrontarlo . La mancanza di grafici o meglio il rifiuto della esperienza acquisita in anni di studio nessuno la mette a disposizione e cosi anche noi ,come successe alla Sellerio che faceva stampare i suoi libri al nord, anche noi spesso dobbiamo ricorrere a esperti del nord perchè qui non ve ne sono disponibili. 

Infine voler proporre quello che nell‘800 fu una necessita (il romanzo a puntate) ha una serie di rischi. Infine proporlo in due lingue è un audacia ma noi lo facciamo perchè questo lavoro non è dedicato ai siciliani ma anche agli altri siciliani che dall’America si ritroveranno nel racconto.

Abbiamo volutamente saltato prologo, intoduzione e nota dell’autore perchè ci è parso opportuno non gravare il lettore all’inizio, che già sarà un miracolo se ci seguirà






1-      LA MERICA

Partivano in autunno, come fossero uccelli migratori, ma non cercavano paesi caldi, che di caldo ne avevano fin troppo anche in Sicilia; semplicemente inseguivano una vita possibile, sotto altri cieli. Erano i braccianti di Vallerosa che andavano a la Merica - la Merica bona - a Nova York, a Chicago, a Filadelfia, ma anche a Novaleanza come chiamavano New Orleans, la città dove in tanti si diressero attratti dal clima e dalla possibilità di fare i contadini come al loro paese. S’imbarcavano alla fine di novembre, approfittando dei mesi invernali di forzato riposo per tentare la fortuna dall’altra parte dell’oceano. Molti non trovarono le condizioni adatte per restare e tornarono indietro. «L’aria nun mi giuvàu» dicevano per giustificare il rientro forzato agli occhi dei paesani, ma era semplicemente perché non avevano trovato lavoro; l’aria o clima non c’entrava niente. «Miseria per miseria, meglio quella del nostro paese!». La maggior parte di quelli che andarono via, però, mise radici nella nuova terra e vi rimase per sempre. «Cu nesci, arrinesci», chi esce riesce, si continuò a ripetere a Vallerosa. Molti ci credettero e partirono.
Alla fine non ci fu famiglia che non ebbe un parente in un angolo degli Stati Uniti.
Tutto ebbe inizio quando si sparse la voce fra i contadini e i pastori di Vallerosa che c’era una terra chiamata Merica, “ ricca e grande cento volte l’Italia”, che avrebbe potuto cambiare la loro vita dalla notte al giorno.  «Biglietti gratis e un lavoro assicurato» prometteva Agostino La Fata, sub agente di un’imprecisata compagnia di navigazione, il quale una mattina di domenica si presentò nella piazza del paese e con uno scopo ben preciso si mise a decantare “le ricchezze” dell’America.  «Se avete anche un po’ di fortuna» insisteva, fissando negli occhi la gente che numerosa gli si era stretta attorno, «potete diventare ricchi o almeno avere la possibilità di mettere da parte i soldi per comprarvi un pezzo di terra; e con un pezzo di terra di proprietà pure il re, con rispetto parlando, vi pare porco». «Quello è il ponte di Brucculinu, questi sono i grattacieli e questo è il bastimento che vi porterà in America!».    Con un dito puntato sul manifesto che un minuto prima aveva attaccato al muro, mostrava orgoglioso, quasi fossero una sua scoperta, le bellezze di New York: «una città, che è il mondo intero!» Le esclamazioni di meraviglia dei paesani accorsi numerosi non si contavano. «Mamma mia, che ponte!». «Impressionante!». «E da dove lo pigliarono tutto questo ferro!».
«Sotto il mare e sopra il ponte, Vergine Immacolata!». «E i palazzi, quanto sono alti?».
«Grattacieli li chiamano, perché è come se grattassero il cielo» precisava La Fata.
«Ma unni è sta Merica?» sbottò un tizio, mentre imbambolato fissava le figure che gli ballavano davanti agli occhi. «Dove si trova l’America?: unni persi li scarpi u Signuri, dove perse le scarpe Gesù Cristo, lontano venti, trenta giorni di mare, chi lo sa!» gli fece eco un altro. «Quindici giorni» lo corresse La Fata, «tanto ci mettono le nostre navi. Quella del manifesto, comunque, è solo una centesima parte, che dico! Una millesima parte di…».  «Fermati ddocu, non esagerare che pure io ci sono stato a la Merica: la Merica Argentina, Buenos Aires» intervenne Serafino Spartà. «Io parlo della Merica bona, che non ha niente a che fare con la Merica Argentina».  «Stati Uniti, Argentina: sempre Merica è!». «Mai Maria, non è così! Una cosa comunque è avere sentito parlare di un posto, tutt’altra musica è esserci stato. Io tre volte ci sono stato in America e parlo con cognizione di causa. Perciò, quando affermo che: “Una cosa è l’Argentina, ben altro sono gli Stati Uniti, intesa Merica, dico pane al pane e vino al vino, né ce ne metto né ce ne levo». L’intera mattinata e parte del pomeriggio per convincere qualcuno e ora che mancava meno di un’ora al treno per Palermo, La Fata non avrebbe permesso a nessuno di rompergli le uova nel paniere.

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1-THE  AMERICA

They used to leave in the fall, as they were migratory birds. But they were not looking for warmer countries, for they had enough warmth in Sicily. They were simply pursuing a possible life under other skies. The peasants of Vallerosa were among those who chose America — la Merica bona, the good America. They went to New York, Chicago, Philadelphia, and also to Novaleanza, as they called New Orleans. It was the city where so many went, attracted by the climate and by the possibility of being farmers as they had in their own country. They left Sicily at the beginning of November, after having plowed and sown the fields, taking advantage of the winter months of forced rest to try their luck on the other side of the ocean. Many did not find suitable conditions to stay and returned. “The air did not agree with me, “they used to say, to justify their forced return in the eyes of their fellows-townsmen. But it was simply because they had not found a job that they had returned; the air or climate had nothing to do with it.
"If we have to be miserable, we prefer to be so in our town." Most of those who went away, however, took root in the new land and remained there forever.  "Cu nesci arrinesci — who goes away succeed, "they say in Sicily. “Those who go succeed” they kept repeating in Vallerosa. Many believed it and departed. At the end of it all, there was no family that did not have a relative in some corner of the United States. In the late nineteenth and early twentieth century, more than four million Italians obtained a visa to enter the United States. One million and a half were Sicilians. From Vallerosa, the exodus began in 1880.  It all started when word spread among the peasants and shepherds of the town that there was a land called Merica, "rich and a hundred times bigger than Italy", which could change their life from night to day.  "Tickets and a guaranteed job," promised Agostino La Fata, sub-agent of an unspecified shipping company, who arrived one Sunday morning from Palermo and began to settle in the wealth of America. "You have even a little luck," he insisted, "you can become rich. Or at least, you have a chance to set aside money to buy yourself a piece of land. And with a piece of land in Vallerosa, even the king — with all due respect — would seem like a pig." "That's the Brooklyn Bridge, those are the skyscrapers, and this is the ship that will take you to America."
With his finger on a poster as large as half a tablecloth, the sub-agent showed the beauty of New York: "a city that is the whole world."  The exclamations of wonder were numerous as they watched the Brooklyn Bridge and the skyscrapers. "My word, how high it is!"  "Incredible!"  "From where did they take all the iron to build it?"
"Under the sea and over the bridge!" "And the buildings; how big are they?"
"They are called skyscrapers, for it is like they were scratching the sky; if I had not seen them myself, I would not have believed it," stated Agostino, who spoke like one who had traveled the world. "But where is America?" asked one guy, while he was watching the figures dancing before his eyes. "Where is America? Where Jesus Christ lost his shoes; far, far away: twenty, thirty days at sea, who knows," echoed another.  "Fifteen days. This is the time our ships take to reach the United States," corrected La Fata, who added, "That poster shows but a hundredth part, a thousandth part of …"  "Stop there. Do not exaggerate! I have also been in America, the America Argentina, Buenos Aires," interrupted Serafino Spartà. "But I’m speaking of the good one: La Merica Bona — the Good America, which has nothing to do with The Argentina America." "United States, Argentina: they are both America." "Not so. And also, it is one thing if you have heard about a place, but a completely different thing if you have actually been there. And I have been in America three times, and therefore, I speak with true knowledge about the facts. So when I say that Argentina is different and that the United States is the actual Merica, I am calling bread bread, and wine wine. I am not adding or taking any facts away."  The entire morning and part of the afternoon had been taken to convince some of the people to leave. And now that there was less than an hour left for the train to Palermo, Agostino La Fata would not allow anyone to (as they say) break the eggs he'd collected in his basket.

































































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