Jan
Palach ha sacrificato la sua vita per protestare contro l’occupazione
della Cecoslovacchia da parte dei carri armati dei Paesi del Patto di
Varsavia e contro la rassegnazione della popolazione alla situazione che
si è creata dopo.
Studiava
storia alla Facoltà Filosofica di Università Carlo di Praga e ha
partecipato attivamente a tutti i cambiamenti della Primavera di Praga
che hanno portato il vento di speranza di democrazia nella
Cecoslovacchia. Durante i suoi studi è stato due volte in Unione
Sovietica, nei posti anche molto remoti e si è fatto la convinzione che
lì la gente ha paura di pensare, è “proibito” chiedere il perché della
situazione ed è stato testimone della propaganda bugiarda contro la
Cecoslovacchia per giustificare l’intervento dei soldati. Il suo
interesse era rivolto anche alla guerra in Vietnam e conosceva la
protesta dei monaci buddhisti che si sono bruciati.
Quando
il 21 agosto 1968 sono entrati in Cecoslovacchia i soldati del Patto di
Varsavia con i loro carri armati Jan Palach ha vissuto una delusione
grande e sentiva il pericolo dell’occupazione sovietica con maggiore
tragicità degli altri proprio
per le sue conoscenze acquisite durante i suoi soggiorni in Unione
Sovietica. Vedeva una certa rassegnazione della gente che ricordava
ancora le purghe degli anni ’50 e non aveva il coraggio di protestare.
Con alcuni suoi colleghi d’università ha formato un gruppo che ha deciso
di seguire l’esempio della protesta contro la guerra in Vietnam da
parte dei monaci buddhisti e di “illuminare” l’opinione pubblica con il
proprio corpo dato al fuoco. Jan Palach era fiero di essere estratto
come la Torcia n° 1. 16 gennaio 1969 in piazza Venceslao si è cosparso
di benzina e si è dato il fuoco. Ha subito le ustioni su quasi 90 % del
suo corpo ma restò vivo ancora per 3 giorni e ha potuto mandare il suo
messaggio rivolto al governo e ai suoi amici, le future torce: chiedeva
al governo l’abolizione della censura e divieto della distribuzione del
giornale propagandistico stampato dai russi presenti nel Paese. Ai suoi
amici, pronti ad immolarsi anche loro, ha lasciato detto che il suo
sacrificio basta ma non ha potuto evitare il gesto simile di J. Zajíc.
Anche
il dissidente Václav Havel si è rivolto al governo ripetendo le
richieste di Jan Palach ricordando loro che avevano i figli che studiano
all’università e avrebbero potuto diventare le torce umane anche loro.
Chiedeva la dimissione dei ministri. Ha invitato gli studenti a non
imitare più l’esempio di Jan Palach. Il governo non ha realizzato ciò
che chiedevano gli studenti, anzi i ministri hanno votato la permanenza
delle truppe sovietiche in Cecoslovacchia come necessaria. La stampa
comunista ha cercato di denigrare più possibile la persona di Jan Palach
scrivendo di un complotto dell’Occidente che ha manovrato i giovani
cecoslovacchi.
Quando
Jan Palach è morto l’opinione pubblica era scossa e al suo funerale
hanno partecipato cca 600.000 persone, compresa i numerosi membri della
polizia segreta. Si sono alzate però anche le voci che definivano il suo
gesto come il suicidio e soprattutto la Chiesa era divisa al riguardo.
Molti invece apprezzavano il suo sacrificio e il suo coraggio ma
invitavano vivamente i giovani a non seguirlo. Era possibile sentire le
voci ufficiali come quella di Paolo VI e cardinal Josef Beran che si
pronunciavano in questo senso.
C’era
chi parlava di un sacrificio inutile e per molto tempo sembrava tale.
Dopo il suo gesto non è cambiato niente. In Cecoslovacchia si è diffuso
il grigiore della “Normalizzazione” con i metodi repressivi che
scoraggiavano ogni forma di protesta. Questa situazione durò fino a
gennaio 1989 con le manifestazioni non autorizzate per ricordare proprio
la morte di Jan Palach in piazza san Venceslao chiamate La settimana di
Palach. La polizia cercava di
disperdere migliaia di persone con i metodi brutali – manganelli, gas
lacrimogeno e i canoni di acqua. Ma i giorni seguenti la gente si
riuniva di nuovo, i dissidenti hanno cercato di porre i fiori sotto la
statua di san Venceslao per ricordare il sacrificio di Jan Palach ma
molti sono stati arrestati, fra essi anche Václav Havel. In quei giorni
di proteste continue sono state arrestate 1400 persone e molte altre
sono state ferite. In novembre dello stesso anno si è svolta la
Rivoluzione di velluto e molti erano convinti che il ricordo del
sacrificio di Jan Palach è stato il momento scatenante. Ancora
ai nostri tempi la gente a Praga chiede la luce della verità, della
libertà e della democrazia come lo ha dimostrato l’imponente corteo di
persone che con le candele in mano percorreva ieri la piazza Venceslao.
Come Jan Palach, la gente anche ora apprezza la libertà e la democrazia e
sente i “nuovi”pericoli: l´ipocrisia, il consumismo, l´egoismo e
manipolazione dell’opinione pubblica. Speriamo che il ricordo di un sacrificio così grande dia forza e coraggio anche a noi.
Růžena Růžičková
16.01.2019
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