giovedì 17 gennaio 2019

LA TORCIA UMANA DOPO 50 ANNI

Jan Palach ha sacrificato la sua vita per protestare contro l’occupazione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati dei Paesi del Patto di Varsavia e contro la rassegnazione della popolazione alla situazione che si è creata dopo.
Studiava storia alla Facoltà Filosofica di Università Carlo di Praga e ha partecipato attivamente a tutti i cambiamenti della Primavera di Praga che hanno portato il vento di speranza di democrazia nella Cecoslovacchia. Durante i suoi studi è stato due volte in Unione Sovietica, nei posti anche molto remoti e si è fatto la convinzione che lì la gente ha paura di pensare, è “proibito” chiedere il perché della situazione ed è stato testimone della propaganda bugiarda contro la Cecoslovacchia per giustificare l’intervento dei soldati. Il suo interesse era rivolto anche alla guerra in Vietnam e conosceva la protesta dei monaci buddhisti che si sono bruciati.
Quando il 21 agosto 1968 sono entrati in Cecoslovacchia i soldati del Patto di Varsavia con i loro carri armati Jan Palach ha vissuto una delusione grande e sentiva il pericolo dell’occupazione sovietica con maggiore tragicità degli altri proprio per le sue conoscenze acquisite durante i suoi soggiorni in Unione Sovietica. Vedeva una certa rassegnazione della gente che ricordava ancora le purghe degli anni ’50 e non aveva il coraggio di protestare. Con alcuni suoi colleghi d’università ha formato un gruppo che ha deciso di seguire l’esempio della protesta contro la guerra in Vietnam da parte dei monaci buddhisti e di “illuminare” l’opinione pubblica con il proprio corpo dato al fuoco. Jan Palach era fiero di essere estratto come la Torcia n° 1. 16 gennaio 1969 in piazza Venceslao si è cosparso di benzina e si è dato il fuoco. Ha subito le ustioni su quasi 90 % del suo corpo ma restò vivo ancora per 3 giorni e ha potuto mandare il suo messaggio rivolto al governo e ai suoi amici, le future torce: chiedeva al governo l’abolizione della censura e divieto della distribuzione del giornale propagandistico stampato dai russi presenti nel Paese. Ai suoi amici, pronti ad immolarsi anche loro, ha lasciato detto che il suo sacrificio basta ma non ha potuto evitare il gesto simile di J. Zajíc.
Anche il dissidente Václav Havel si è rivolto al governo ripetendo le richieste di Jan Palach ricordando loro che avevano i figli che studiano all’università e avrebbero potuto diventare le torce umane anche loro. Chiedeva la dimissione dei ministri. Ha invitato gli studenti a non imitare più l’esempio di Jan Palach. Il governo non ha realizzato ciò che chiedevano gli studenti, anzi i ministri hanno votato la permanenza delle truppe sovietiche in Cecoslovacchia come necessaria. La stampa comunista ha cercato di denigrare più possibile la persona di Jan Palach scrivendo di un complotto dell’Occidente che ha manovrato i giovani cecoslovacchi.
Quando Jan Palach è morto l’opinione pubblica era scossa e al suo funerale hanno partecipato cca 600.000 persone, compresa i numerosi membri della polizia segreta. Si sono alzate però anche le voci che definivano il suo gesto come il suicidio e soprattutto la Chiesa era divisa al riguardo. Molti invece apprezzavano il suo sacrificio e il suo coraggio ma invitavano vivamente i giovani a non seguirlo. Era possibile sentire le voci ufficiali come quella di Paolo VI e cardinal Josef Beran che si pronunciavano in questo senso.
C’era chi parlava di un sacrificio inutile e per molto tempo sembrava tale. Dopo il suo gesto non è cambiato niente. In Cecoslovacchia si è diffuso il grigiore della “Normalizzazione” con i metodi repressivi che scoraggiavano ogni forma di protesta. Questa situazione durò fino a gennaio 1989 con le manifestazioni non autorizzate per ricordare proprio la morte di Jan Palach in piazza san Venceslao chiamate La settimana di Palach. La polizia cercava di disperdere migliaia di persone con i metodi brutali – manganelli, gas lacrimogeno e i canoni di acqua. Ma i giorni seguenti la gente si riuniva di nuovo, i dissidenti hanno cercato di porre i fiori sotto la statua di san Venceslao per ricordare il sacrificio di Jan Palach ma molti sono stati arrestati, fra essi anche Václav Havel. In quei giorni di proteste continue sono state arrestate 1400 persone e molte altre sono state ferite. In novembre dello stesso anno si è svolta la Rivoluzione di velluto e molti erano convinti che il ricordo del sacrificio di Jan Palach è stato il momento scatenante. Ancora ai nostri tempi la gente a Praga chiede la luce della verità, della libertà e della democrazia come lo ha dimostrato l’imponente corteo di persone che con le candele in mano percorreva ieri la piazza Venceslao. Come Jan Palach, la gente anche ora apprezza la libertà e la democrazia e sente i “nuovi”pericoli: l´ipocrisia, il consumismo, l´egoismo e manipolazione dell’opinione pubblica. Speriamo che il ricordo di un sacrificio così grande dia forza e coraggio anche a noi.
Růžena Růžičková
16.01.2019

Nessun commento:

Posta un commento