venerdì 27 marzo 2020

EPIDEMIA NEL 1624: A PALERMO, MILANO, VENEZIA



A COMPLEMENTO DELL'ARTICOLO DI CIRO SPATARO
 RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO


«Per una richiesta fattami dal Rettore del Santuario di santa Rosalia, ho consultato un testo in cui sono descritte dal XVI secolo al XIX secolo le epidemie a Palermo. Ho scoperto così che nella famosa epidemia del 1624 ci furono "soltanto" 9.800 morti su un totale di 135.000 abitanti. Ma ciò che è più strano è la comparazione con i defunti delle altre città.
A Milano 140.000 morti, con una popolazione di poco superiore a quella di Palermo. A Venezia 40.000 con una popolazione quasi uguale a Palermo etc. Pare quasi che, per i famosi corsi e ricorsi della storia, gli abitanti del nord Italia siano notevolmente (almeno in questi frangenti) penalizzati dalle epidemie. Non riesco a trovare un motivo valido che giustifichi tutta questa differenza.
Probabilmente il Rettore del Santuario attribuirebbe la cosa all'intervento di S. Rosalia. Ma siccome credo che non ci siano santi di serie A e santi di serie B, so che anche Milano ha il suo santo patrono con sant'Ambrogio e ... allora?
Chiaramente conosco bene tutte le raccomandazioni che, a partire dal 1575 con il protomedico Ingrassia e nel 1624 con il protomedico Marco Antonio Alaymo, furono prese per impedire il contagio a Palermo, ma le trovo assolutamente assimilabili a quelle prese oggi dai nostri governanti: le "polise" che dovevano accompagnare le persone che entravano o si muovevano in città, la distanza fra questi e l'obbligo di essere controllati e accompagnati da una guardia; i "barriggiati" che dovevano restarsene barricati a casa nell'eventualità di contagio, con una guardia armata alla porta, pena grossi castighi; la disponibilità a fornire il necessario per vivere da parte dei governanti a chi si ammalasse mettendolo nel "panaro" sceso dalle finestre; etc.
Molto ma molto simili ai provvedimenti attuali, così come i farmaci utilizzati allora (noci, aceto, essenza di trementina e simili) che, bene o male equivalgono a quelli proposti oggi di cui si deve ancora riscontrare l'efficacia. Proprio non me lo spiego.»
Sulla situazione attuale circolano alcune teorie, ma una spiegazione ufficiale e condivisa dalla comunità scientifica ancora non c’è.
Girolamo Mazzola, paleografo

martedì 24 marzo 2020

“ Cyrus ac Joannes contestes”


In questi giorni di quarantena dopo aver letto e riletto non so quanti libri ti devi attaccare al telefono perché a scrivere e mandare messaggi sei trattenuto dalle stupidità che appaiono su face book … Questa nuova invenzione è stata partorita da uno che ha azzeccato il bisogno che ciascuno di noi ha in se : comunicare ! E cosi chi sa “leggere”, vede figure, impensabili prima, “dialogare” h.24 con chiunque con un botta e risposta prima impossibile .
Quindi la nostra propensione al “dialogo” si ferma davanti a tutto ciò !
Per non parlare   dei gesti “nuovi” come le dimissioni della costa o la novena del sindaco “ateo” a San Ciro , non dimenticando che l’alessandrino era medico (ora ci sarebbe stato comodo contro il coronavirus…)! E non si capisce l’immagine trasmessa che vede il Parroco inginocchiato davanti a san Ciro con accanto a lui il Sindaco e il maresciallo dei Carabinieri (lui in piedi) e sorge spontanea la domanda ma a chi sta arrestando il Maresciallo ?

E cosi in questo mare di eventi non consueti mi imbatto in una telefonata che definirla “coincidenza” e fare torto alla casualità …
Stavo faticosamente leggendo Il Baldo di Teofilo Folengo che usa una lingua non più usuale e quindi ci vogliono almeno un cinque pagine per aumentare la velocità di lettura …
Ciò non toglie che il testo vuole il suo tempo …
Al mio pronto mi risponde : sono Ciro …
La sua voce è inconfondibile e senza ulteriori preamboli entra nel tema e ovviamente senza sapere cosa sto facendo mi chiede se fossi al corrente che un certo Teofilo Folengo ha scritto una Hagiomachia … Ovviamente rispondo che non mi risulta , ma ,lo informo che in quel momento sto leggendo il Baldo dello stesso autore ! Il Ciro senza scomporsi mi sgrida che nella vita non si può sapere solo di Orlando e Angelica e bisogna allargare i nostri orizzonti andando oltre il Bardo !
Accetto la lezione e cosi vengo a sapere che il Folengo scrisse anche una “  Cyrus ac Joannes  contestes”      !
Apriti cielo ! Ma come proprio il Folengo a cui ho dedicato tempo e denaro mi nasconde che la sua opera principale , che io ritenevo, il Baldo scrisse anche una Hagiomachia su san Ciro di Alessandria e Giovanni di Edessa ?
E’ un segnale di vecchiaia precoce ? O sono le lente coincidenze dell’aver perso la prima causa con il Ribaudo , paladino della verità ?
A dire il vero dopo aver letto il testo … non è che mi sia perso gran che ma il fatto è grave per non dire gravissimo !
Quel centinaio di appassionati “di san Ciro” o meglio di cacciatori di notizie su san Ciro nulla sapevano né ho trovato traccia con un veloce giro di telefonate.
Alla fine mi sono rassegnato , ho messo a dormire la mia “invidia” marinese e ho accettato che l’unico Ciro a meritare la “scoperta” sia il nostro Ciro ancora non santo ma certamente sulla buona strada … 

domenica 22 marzo 2020

JOSEF TOUFAR Martire del Comunismo



 Non serve entrare in chiesa per fare di te un buon cristiano


Josef Toufar – 
Martire del Comunismo

   Settant‘anni fa moriva don Josef Toufar, martire degli anni bui dello stalinismo cecoslovacco. Non fu processato e divenne uno strumento per “smascherare” le menzogne della Chiesa cattolica.
   E' l'11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento. Don Josef Toufar sta predicando dal pulpito rialzato, tipico delle chiese barocche, nella sua chiesa nel piccolo villaggio boemo di ČÍHOŠT´. Mentre pronuncia le parole “Ecco il Signore che è in mezzo a noi”, indicando con la mano il tabernacolo alle sue spalle e continuando a rivolgere lo sguardo  ai fedeli, il crocifisso posto sull’altare comincia a oscillare.
   Il parroco viene accusato di aver inscenato il “miracolo” e viene arrestato. La Polizia segreta cecoslovacca vuole fargli confessare a tutti i costi l’inganno. (Ancor oggi il fenomeno prodigioso non è stato chiarito e non è stato neppure trovato un meccanismo fatto di corde e molle atto a muovere la croce.)
   Il partito comunista cecoslovacco ha bisogno di dare una svolta al suo rapporto con la Chiesa cattolica. Nei primi anni successivi al “Febbraio vittorioso” 1948 ha tentato di introdursi all’interno della Chiesa, di allontanare i vescovi e i sacerdoti dal Papa e di creare una Chiesa nazionale – ben controllata – ma senza riuscirvi.  Per estirpare la religione, ”l’oppio del popolo”, dalle anime dei fedeli, cerca ora di mettere in ridicolo la gerarchia ecclesiastica e di scoprire i “trucchi” che hanno luogo nelle chiese.
   Il protagonista della vicenda, Josef Toufar, nasce nel 1902 e all’età di otto anni perde la mamma. Come i suoi quattro fratelli, anche Josef è costretto ad aiutare il padre nella fattoria e perciò non può continuare a studiare. Ma quando il padre muore e il fratello maggiore si sposa e decide di occuparsi da solo del podere, Josef, all'epoca ventiseienne, può finalmente iscriversi al ginnasio e in seguito accedere agli studi di teologia.
   Quando nel 1940 viene ordinato sacerdote, è ormai un uomo maturo che conosce le difficoltà della vita. In prigione dimostra una straordinaria forza d'animo che non si lascia piegare né dal freddo, né dalla fame e nemmeno dalle percosse.
   Martoriato, viene riportato a Číhošt' e trascinato sul pulpito della sua chiesa, dove viene ripreso in un documentario con lo scopo di dimostrare che da lassù  ha potuto muovere la croce. Le scolaresche sono costrette a vedere il filmato che dimostra il comportamento disdicevole di un sacerdote e quindi di tutta la Chiesa cattolica.
   Il calvario di don Josef Toufar non finisce qui. Egli viene torturato al punto da dover essere ricoverato in ospedale e sottoposto a intervento chirurgico,  ma ormai è troppo tardi: muore poco dopo l’operazione, all'età di 48 anni. La notizia della morte del sacerdote non deve trapelare né dalla prigione, né dall’ospedale e tanto meno dal cimitero. Viene registrato  con un nome diverso dal suo e sepolto in una fossa comune, tuttavia un agente della Polizia segreta si annota il punto esatto in cui giace il corpo dell'uomo. Questo fatto ha permesso di ritrovare i resti di don Toufar e di dargli una degna sepoltura nella chiesa di Číhošt' dopo la Rivoluzione di velluto.
   In questo periodo di incertezza ci aiutano le sue parole: “Il tempo è un bene prezioso. Perciò viviamo come se dovessimo morire oggi, vigilando da uomini saggi”.
   Nel 2015 la casa editrice Itaca ha pubblicato il libro di Miloš Doležal intitolalo “Come se dovessimo morire oggi”, tradotto da Tiziana Menotti. Il libro è attuale e non solo per il settantesimo anniversario della morte del suo protagonista.

Milano, 22.03.2020                                  Růžena Růžičková

venerdì 20 marzo 2020

1918-2020 - CORSI E RICORSI STORICI



QUANDO A MARINEO IMPERVERSAVA LA SPAGNOLA

L’emergenza sanitaria del Coronavirus, che sta mietendo vittime in tutto il mondo e sta provocando una grave crisi, in modo particolare nel nostro Paese, mi ha portato con la mente al  1918, quando nel settembre-ottobre scoppiò un’epidemia,  chiamata ‘Spagnola’, così contagiosa che soltanto a Marineo in quei due mesi si contarono 131 morti.
L’influenza spagnola fu chiamata così perché le prime notizie di essa furono riportate dai giornali della Spagna, ma il virus contagiò mezzo miliardo di persone sino al 1920, uccidendone circa 30 milioni.
Fu la più grande forma di pandemia nella storia dell’umanità.  Allora il presidente del Consiglio dei Ministri, il siciliano Vittorio Emanuele Orlando, con un decreto del 3 ottobre 1918, n. 273, inviò ai medici delle province colpite dall’epidemia un appello perché fosse garantita l’ordinaria assistenza sanitaria con personale medico, esercito, Croce Rossa, ma l’emergenza passò in secondo piano per il fatto che tutte le risorse finanziarie, allora, furono impegnate per fronteggiare le esigenze della cosiddetta ‘grande guerra’ contro l’Austria.
A Marineo furono coinvolte  dall’emergenza sanitaria gran parte delle famiglie perché il virus, pur presentandosi come forma influenzale, attaccava in brevissimo tempo i bronchi con conseguenze letali.
Fra le prime vittime di quell’epidemia ci fu anche il parroco, l’arciprete Silvestre Inglima che, nel momento in cui si propagò la pandemia, si prodigò per portare sollievo ai parrocchiani più bisognosi e, come affermò successivamente padre La Spina, gli venne richiesto di andare presso uno dei poveri che era in grave stato di salute, lu zu Carminu Adduzzu  che abitava nella zona detta ‘lu addinaru’.
L’Arciprete sollecitamente si portò in quella povera abitazione e, trovandolo in gravissime condizioni, lo aiutò facendo portare del cibo e delle coperte. Il giorno successivo  lo trovò già moribondo e, dopo avere impartito l’estrema unzione, restò al suo fianco sino al decesso dello stesso.
In quei giorni, padre Inglima, senza risparmiarsi, continuò la sua attività di assistenza verso le persone affette dalla febbre spagnola, ma venne anch’egli contagiato e fu preso da una polmonite fulminante con febbre altissima che in soli cinque giorni lo stroncò, dopo aver ricevuto il Viatico.
Abbiamo fatto una ricerca nell’archivio parrocchiale con Franco Vitali e abbiamo constatato che dal 16 settembre al 31 ottobre 1918 a Marineo ci furono 131 decessi di spagnola.
Il virus era talmente contagioso che, cinque giorni dopo la morte del parroco Inglima, moriva, a soli 29 anni, anche il fratello Giovanni Battista.
Il picco si ebbe soprattutto nel mese di ottobre 1918, quando si registrarono otto morti il primo del mese, e ben 56 nei giorni dal 5 al 14.
Il Consiglio Comunale, a soli sette giorni della scomparsa dell’Arciprete, con deliberazione del 23 settembre 1918, nel corso della commemorazione ufficiale in Municipio, su proposta dei consiglieri Ferdinando Arnone e Antonino Provenzale, deliberò di intitolare la piazza del Popolo, che si prima si chiamava Nunzio Nasi, all’Arciprete Silvestre Inglima. Decisione quanto mai opportuna per un uomo che si era sempre dedicato ai poveri e agli ultimi,  soccorrendoli in tutte le loro difficoltà. A tal proposito, occorre ricordare che fu tra i fondatori della Cassa Rurale Cattolica che ebbe un ruolo essenziale nella Marineo di allora, soprattutto dopo la drammatica vicenda dei Fasci dei Lavoratori, non solo per aiutare con il ‘mutuo soccorso’ i contadini poveri, ma anche per debellare l’usura che Franchetti e Sonnino, nella famosa inchiesta del 1876, avevano definito ‘il tarlo roditore della società siciliana’.
Ciro Spataro