venerdì 31 dicembre 2010

A PROPOSITO DI BENEMERENZE CIVICHE

di Giovanni Perrone

Mi è stato sollecitato da più parti di scrivere qualcosa a proposito delle onorificenze civiche concesse dal Consiglio Comunale di Marineo la scorsa settimana. E’ il secondo anno che tali benemerenze sono assegnate. La memoria e la gratitudine sono sentimenti che onorano le persone e le istituzioni e che rafforzano il ben-essere personale e comunitario. Talora, purtroppo, si assiste a manifestazioni che esaltano l’ultimo arrivato, dimenticandosi di quanti prima, con il loro generoso impegno, hanno garantito la vitalità e la qualità delle istituzioni. Un anziano signore mi raccontava, dispiaciuto, di non essere stato invitato alla festa per l’avvenuta ristrutturazione di una casa che aveva donato al nipote, una casa costruita da lui con mille sacrifici. Apprezzo l’opera del Consiglio per tale annuale ricorrenza. Bene fa la comunità marinese nell’assegnare un particolare riconoscimento a quanti si sono distinti ed hanno onorato la propria città con il loro impegno. Complimenti a coloro ai quali è stato assegnato, con l’auspicio che tale meritato riconoscimento li stimoli a essere sempre più punto di riferimento per l’intera comunità. Per il futuro sarebbe, però, opportuno - a mio parere- coinvolgere la cittadinanza nella ricerca dei benemeriti. Non mi riferisco ad assemblee cittadine, ma all’individuazione di criteri di scelta che potrebbero orientare l’Amministrazione e il Consiglio nella selezione dei possibili candidati. Quali criteri? La benemerenza è civica; ciò significa che il prescelto dovrebbe essere testimone (visibile e credibile) delle cosiddette virtù civiche (onestà, impegno a favore della comunità, moralità, partecipazione, ecc.). L’esercizio delle virtù civiche dovrebbe perciò, essere un evidente “stile di vita” del premiato. Da evidenziare la qualità culturale e/o sociale della persona designata, nonché un’auspicabile rilevanza al di fuori della comunità marinese (persona che –con il suo impegno- ha onorato ed onora Marineo anche al di fuori di Marineo, grazie ad incarichi ricoperti, ad attività svolte, ecc.). Non bisogna trascurare la generosità dell’impegno. Ad esempio, sarebbe da preferire chi si è impegnato gratuitamente a chi ha operato anche a fini d’interesse personale. Tali qualità, naturalmente, dovrebbero essere testimoniate da fatti concreti e messe in evidenza nella motivazione. E' opportuno valorizzare la continuità dell’impegno rispetto al singolo fatto, seppure eclatante. A volte ci lasciamo abbagliare da luci improvvise e trascuriamo la tenue lampada che ha dato sempre luce con umiltà e con piena disponibilità. Sono suggerimenti che potrebbero dar luogo ad una scheda da diffondere sin d’ora per stimolare i cittadini a fornire delle indicazioni. Si potrebbe pensare anche ad una piccola commissione che esamini le proposte e presenti al Consiglio una terna di nomi per orientare i consiglieri verso una scelta motivata e condivisa .Il coinvolgimento della comunità avrebbe uno scopo “educativo”. Potrebbe, infatti, favorire una riflessione sul significato di “buon cittadino” e sull’esaltazione delle qualità civiche. Qualcuno potrebbe dire: ”In tal modo favoriamo il pettegolezzo”. Non ci dobbiamo preoccupare: chi è abituato a spettegolare lo farà in ogni modo. In ogni persona ci sono luci ed ombre, lo sappiamo bene. Perciò si può “far cortile” su ognuno. Ben sappiamo che è più facile vedere il bene proprio e il male altrui (in tal maniera ci illudiamo di essere migliori degli altri!). Nella ricerca delle persone meritevoli non occorre ricercare la persona perfetta. Perfetto c’è solo Dio. Occorre saper scoprire chi ha fatto e continua a fare del proprio meglio, con il suo qualificato e duraturo impegno per essere utile alla comunità e per onorarla con la sua presenza. Ciò potrebbe aiutare tanti a “cambiare occhiali”: da quelli che vedono il male a quelli che scoprono il bene! Cercare il bene “fa bene” alla vita e onora chi sa fare ciò. 
Giovanni Perrone

giovedì 30 dicembre 2010

RISPOSTA AL MESSAGGIO DI AUGURI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO


Gentilissimo Dottor Vincenzo Quartuccio, ho letto il suo messaggio del 23 dicembre scorso e la ringrazio per gli auguri che ha voluto inviare alla cittadinanza. Ed è come cittadino che La ringrazio per aver da un lato tranquillizzato ,me e la mia famiglia, e dall’altro perché Le sue informazioni mi sono giunte gradite anche se inaspettate. Correttezza vuole.che la informi che ho avuto un altro messaggio di auguri ma non è stato così esaustivo come il suo. Mentre l’altro messaggio ripete da quasi due anni le stesse cose, talmente generiche che persino chi, che ha in parte creduto e sperato che quando si cambia … si sceglie la carta sbagliata, non sappia come uscire da questa situazione di “astio continuo, di silenzi”. Vestiamo ormai da mesi sempre gli stessi panni dell’indifferenziata che hanno contaminato i nostri vestiti. Che le speranze suscitate dal nuovo siano già scemate? Nel Suo messaggio di auguri ho riscontrato alcune grosse perplessità e molti timori che Lei con maestria ha scaricato su di me in quanto cittadino e destinatario del suo messaggio. Già il suo accogliente sorriso ha un… retrogusto che faccio fatica a tradurre. Intanto Le do atto di un coraggio gradito e condiviso. In questa amministrazione l’unica cosa che non è cambiata con il passato e la predisposizione al silenzio. Da certi funzionari a parassiti professionisti la regola del non rispondere instaurata da codesta amministrazione è diventata legge. Ignorare, ignorare, ignorare. Lei, caro presidente, ha rotto questa regola e spero sorvegli affinché “l’ignorare” non avvilisca il cittadino desideroso di sapere come vanno le cose. Ci spiace che Lei consideri “fallito” il nuovo organigramma non avendo dato i risultati sperati, che le OO.SS. sono difficilmente disposte ad un dialogo costruttivo e che le parti minoritarie non sempre siano disponibili al dialogo. Probabilmente non si è saputo riconoscere a chi non ha i numeri per governare il diritto a partecipare . Non ci è sembrato di aver visto nessun gesto verso questa direzione.Tra l’altro Lei si augura “Uno sforzo significativo nel rimuovere le barriere dell’appartenenza politica per consentire il perseguimento di quei risultati che potrebbero finalmente cambiare il volto del nostro paese. Ciò richiede la predisposizione dei gruppi di minoranza all’ascolto e alla condivisione di tali obiettivi , tale atteggiamento non può, però prescindere, dal superamento da parte dell’Amministrazione di comportamenti di arroccamento e assenza di comunicazione con l’organo consiliare che viene sovente estromesso da qualunque ragionamento programmatico.” Chiarissimo, in pratica si vuole una minoranza “sordomuta” educata all’assenso che condivida obiettivi non dichiarati . Credo che questo sia impossibile perché snaturerebbe i ruoli. Ma vivaddio auspicare e superare le “barriere dell’appartenenza politica” oggi si può solo a condizione che l’obiettivo non sia quello di estirpare la controparte. Si vuole una specie di “consenso universale” verso chi ha sempre combattuto idee che sanno di consensi squadristici. Deve sempre il più forte fare il primo passo e dare l’esempio circondandosi di funzionari non astiosi, di collaboratori disponibili e soprattutto di progetti condivisibili . Ci auguriamo che il primo esempio ci venga fornito da Lei, signor Presidente, dandoci testimonianza di aver superato la barriera che divide l’illustre consiglio da Lei presieduto con l’Amministrazione che l’unica cosa su cui lavora a tempo pieno ci sembra il consolidamento delle “barriere dell’appartenenza e del silenzio”. La ringrazio in ogni caso per questo gesto di comunicazione che le fa onore e Le ricambio gli auguri.
Onofrio Sanicola

mercoledì 29 dicembre 2010

BENVENUTA GODRANO


QUESTA MATTINA 29.12.2010 IL COMUNE DI GODRANO HA ADERITO ALLO SPORTELLO UNICO ATTIVITà PRODUTTIVE CHE VERRà GESTITO IN FORMA ASSOCIATIVA TRA I COMUNI. LA LETTERA APERTA DEL RESPONSABILE SUAP , ING. GIOVAMBATTISTA TRIPOLI , CHE HA INVIATO AGLI OPERATORI E A TUTTI COLORO CHE FOSSERO INTERESSATI SARà OGGETTO DI APPROFONDIMENTO CON UNA SERIE DI INTERVENTI PROSSIMAMENTE NEL NOSTRO GIORNALE. RITENIAMO QUESTO OGGETTO FONDAMENTALE PER IL TERRITORIO

RESTA QUI CON NOI

IL RACCONTO DI NATALE
RESTA QUI CON NOI
Mi alzo di buon mattino anche se sono stanco, come tutti quelli che in questi giorni prefestivi hanno mille cose da fare. Fischietto anche. Il cielo è chiarissimo e dal mio balcone si vedono le Prealpi bergamasche e il bianco della neve fa sembrare la città pulitissima. Mi sento orgoglioso di vivere a Milano e di colpo sono spariti sporcizia e disordine, caos di traffico, gente che corre affannosamente, ingorghi, urla, strombazzamenti e code. Mi vesto e prendo il caffè in terrazzo in mezzo alla neve nella tazza delle grandi occasioni. Beh, bisogna provare certe sensazioni. E come il pittore che finita la sua opera cancella e ripulisce il suo quadro: alla fine ti sembra senza difetti. Cosi a guardarla Milano è veramente perfetta. Scendo e subito incontro il signor Andrea che a fatica cerca di alzare la serranda del suo negozio. Mi sento in forma e con una spinta è su e il signor Andrea mi saluta ringraziandomi. All’angolo di via Boschovick incontro la vecchia fioraia che cerca di attraversare e a vederla immobile sul ciglio della strada mi sembra una statua. In un attimo sono da lei. Calmo le macchine che arrivano e, presa sottobraccio la fioraia, l’accompagno all’altro lato mentre il barista all’angolo mi chiede se ho cambiato morosa. Sto per proseguire e vedo lo stesso barista che armeggia con interruttori e spine per cercare un guasto al suo impianto elettrico. In due si fa prima e cosi dopo cinque minuti posso proseguire per la mia strada salutando il barista che per ringraziarmi mi offre un altro caffè. Ogni tanto incontro qualcuno che mi saluta e vuole scambiare gli auguri. Qualcuno scivola, un altro spala la neve, un altro butta sale. Saverio davanti alla sua pizzeria è alle prese con una gomma bucata. Di lì a poco la gomma è cambiata e lui prosegue mentre io cerco di lavarmi le mani con la neve. Arrivo finalmente alla mia macchina parcheggiata per strada nell’unico posto che sono riuscito a trovare l’altra sera. Incomincio a togliere la neve da sopra, ai lati, dalle gomme, dai vetri. Infine riesco ad entrare e metto in moto subito. Faccio per partire e guardando il retrovisore noto nel sedile posteriore un fagotto, quasi un saccone. Per un momento rifletto su cosa ho lasciato incoscientemente sulla macchina per tutta la notte. Ma ad un tratto il saccone si muove lentamente e una mano spunta da sotto. Poi una seconda, poi si sente un sospirone ed io sbianco per timore ed incredulità. Esco dalla macchina, guardo il tipo, il colore, la targa e il solito graffio sul lato destro. Rientro e il mio ospite intanto si è seduto e sta cercando di sistemarsi un po’. “Buon giorno…” Dico coraggiosamente. “Buon Natale…” mi risponde conciliante. Mi spiega che non era facile trovare “alloggio” la notte quando nevica tanto e all’improvviso, e siccome la macchina era aperta gli sembrava un invito. ”Poi sa… ho visto la foto…bella famiglia, complimenti. Mi sono detto che uno come lei non avrebbe rifiutato ospitalità”. Anch’io mi sentirei rassicurato nel vedere bambini che sorridono in braccio a genitori felici. Non aveva sporcato più di tanto e raccolte le sue cose velocemente ci troviamo al bar a fare nuovamente colazione. ”Stavo andando da Fratel’ Ettore, ma ieri avevo esagerato e mi vergognavo un po’… e poi ancora un metro e sarei crollato… per fortuna lei ha lasciato la macchina aperta…”. Una volta li chiamavano barboni, ora li chiamano in tanti modi, io per istinto l’ho chiamato fratello. Lui mi ha sorriso ed ha accettato l’invito a cena per la sera. “ Sarà di magro, sa è vigilia…” dico. In ufficio ci si scambia auguri e complimenti. Gira qualche pacchettino con fiocchetti sempre più originali. Qualcuno mi ricorda che la sua famiglia è aumentata e che a Natale un aumento di stipendio non si può rifiutare. Stavo per proporglielo io ma è stato meglio così: non sarebbe stato un gesto sincero altrimenti. Al pomeriggio mi ricordo che la Silvia mi aveva detto dove trovare pane azzimo ed erbe amare. Così tutti tirati a lucido ci troviamo attorno al presepe insieme ad un ospite imprevisto che tutti accettano come fratello. Riesco a portarlo anche alla messa di mezzanotte, che segue con grande attenzione. Poi sparisce nella chiesa piena ed io lo cerco inutilmente con gli occhi. Infine mi rassegno perché ho capito e i miei occhi sono lucidi, la mia gola ha un nodo e la mia coscienza è leggera leggera. Un urlo tremendo mi sveglia. A fatica apro gli occhi tiro su la tapparella e vedo Milano bianchissima. Grido come un matto contro chi usa simili torture come sveglia. In un attimo sembra che in casa sia entrato un tornado. “Papà in macchina c’è un barbone puzzolente… è uno schifo, tu lasci la macchina sempre aperta…”. Barcollo mi gira la testa… “Oggi cosa è…?” chiedo ansioso…“Il 24 dicembre, la vigilia e tu stai dormendo come un fannullone.” “No non è possibile… ieri sera abbiamo fatto la cena e poi la messa… e poi…” ripeto continuamente. ”Papi cosa hai bevuto ieri sera in cantina ? Oggi è la vigilia il 24, e tu non capisci che dentro la macchina c’è un barbone che puzza di immondizia…” gridano in coro. Mi precipito per le scale chiedendomi se è stato tutto un sogno. Il signor Andrea mi chiede gentilmente di dargli una mano con la serranda ma non capisce che debbo correre alla mia macchina. Urto violentemente una vecchietta che mando quasi per terra mentre voleva attraversare la strada. Il barista mi sgrida dandomi del maleducato. Saverio mi fa cenno di avvicinarmi ma gli sono debitore di almeno un mese di pizze arretrate e passo lontano. Arrivo trafelato in macchina: è vuota ma si sente uno strano odore di marcio. Impreco contro la mia sbadataggine e già in ufficio aggredisco il primo che incontro. Inizia un via vai di telefonate sulla spesa da fare. Branzino, gamberoni, pasta all’ uovo, Cesarini Sforza come aperitivo, vini bianchi di Sicilia, San Daniele, capesante e vol au vent, tartufi e salmone, tartine e infine uva brasiliana e meloni di Algeria. A mezzanotte non andrò a messa. Ho la testa piena di bollicine. Piero, Walter, Giovanni e famiglie andranno, io resto solo a casa davanti al camino a riguardare i regali che ci siamo scambiati prima della cena. Adesso mi viene in mente il sogno. Ripercorro le varie fasi e mi sento ghiacciare le vene, mi metto un mantello e scendo. La neve non è più la stessa, sembra fango e il colore rispecchia sia il mio animo che la mia coscienza. Scivolo e finisco in un mare di fango nero. Mi concio in un modo impresentabile. Mi avvio alla stazione e passo sotto gli archi, cerco quello giusto, entro e mi trovo due tavolate piene di gente. Qualcuno allunga gli occhi e mi scruta. Anche io cerco qualcuno e li guardo uno per uno. Fratel’ Ettore mi si avvicina e chiede chi cerco invitandomi ad entrare. “Ehi tu! Hai perso tuo fratello?” mi grida uno. Era proprio lui, quello del sogno … mi siedo vicino a lui in silenzio. “ Resta qui con noi ! Mettiti in ordine ! Ora ti passo una fetta di panettone. Sai la prima volta ci si sente male, poi ci si abitua. Conosco il prete e ti farò dare una buona cuccetta. Dai, mangia e non piangere, tanto qui o altrove rimani sempre un disgraziato e se lo capisci riesci a sopravvivere” mi sussurra benevolmente. Non sono tornato a casa quella sera e la mattina presto accettai il caffè da quel mio fratello. Lo abbiamo bevuto in due bicchieri di plastica con i piedi sulla neve bianchissima e immacolata.

venerdì 24 dicembre 2010

NATALE DI SANGUE

Natale di sangue
La strage del rapido 904 del 23 dicembre 1984
Un documentario radiofonico di Marcello Anselmo

Alle 19:08 del 23 dicembre del 1984 un potente ordigno esplode in una vettura di seconda classe del rapido 904 Napoli-Milano, proprio nel tunnel della Grande Galleria dell’Appennino. Il controllore, benché ferito, chiama i soccorsi da un telefono di servizio e aiuta come può i passeggeri stremati dal freddo e dalle ferite. L'esplosione causa 16 morti e 267 feriti. A bordo del treno ci sono uomini e donne diventati - loro malgrado - involontari protagonisti e vittime di una strage rimasta ancora oggi avvolta dal mistero.
Il documentario radiofonico Natale di Sangue, in onda su Radio 3 dal 20 al 24 dicembre alle 23.30 è una narrazione della vicenda, a cura di Marcello Anselmo, costruita a partire dai racconti di superstiti e familiari delle vittime del massacro. Alle testimonianze dirette sono affiancati materiali sonori tratti dagli archivi delle teche Rai come i GR andati in onda la sera del 23 dicembre 1984 e nei giorni immediatamente successivi e un documento del 1985 tratto da Il Fatto di Enzo Biagi e inoltre registrazioni delle sessioni processuali e diverse testimonianze raccolte tra soccorritori e ferrovieri. La bomba del rapido 904 richiama modalità e metodi dello stragismo eversivo che ha animato la strategia della tensione ma, probabilmente, nasconde dietro le quinte un nuovo scenario di complicità tra poteri criminali, un intreccio tra mafia, camorra e terrorismo nero. Natale di Sangue vuole raccontare una delle pagine della storia recente del paese che rischia l’oblio. È una delle pagine più controverse delle trame che hanno attraversato la storia della Repubblica e meno frequentate da storici, scrittori, giornalisti e altri operatori della cultura e della politica. Il documentario radiofonico intende contribuire alla grande narrazione della storia recente del paese attraverso microstorie costituite da drammi intimi, vicende private e descrizioni pubbliche.

NON SOLO SAVIANO
Marcello Anselmo è nato a Napoli nel 1977. Ha vissuto a Berlino occupandosi di storia della Ddr. E’ ricercatore presso l’Istituto Universitario Europeo, studioso di storia contemporanea dell’Europa, storia dei consumi e storia del Meridione Italiano. All’attività di storico affianca quella di autore radiofonico e scrittore. È autore di documentari radiofonici per Radio 3 Rai, di inchieste e documentazione per il cinema, di articoli e brevi saggi di carattere storico. Per Radio 3 ha realizzato anche, con Lea Nocera, La valigia di cartone, 50 anni di emigrazione italiana in Germania ed è in corso dal 20 al 24 dicembre su Radio 3 alle 23.30 Natale di sangue, la ricostruzione della strage del rapido 904 avvenuta il 23 dicembre di 26 anni fa, con il linguaggio della testimonianza diretta. Anselmo ha scritto un saggio per Avendo trovato l’America – scritture di viaggio tra Sicilia e Nuovo mondo di Sabatino Basso e Santo Garofalo, racconti curati da Santo Lombino e recentemente presentati a Marineo. Inoltre ha pubblicato con Maurizio Bracci Questa corte condanna -.Spartacus il processo al clan dei Casalesi, un testo che riassumendo le 3.500 pagine della sentenza di condanna di primo grado alla cosca casalese, ha cercato di rompere il muro di silenzio innalzato intorno al processo famoso grazie anche a Gomorra di Umberto Saviano. Un reportage di prima mano su come la cosca organizza i propri affari, con inchieste, intercettazioni, confessioni, carriere criminali, agguati, carneficine, scontri a fuoco e strategie di dominio. .
Questa corte condanna - Spartacus il processo al clan dei Casalesi di Marcello Anselmo e Maurizio Bracci
Ancora del Mediterraneo – Napoli - 2008 – pagg. 388 euro 15

giovedì 23 dicembre 2010

L'ANTICA CITTA' DI MAKELLA SCOPERTA SULLA MONTAGNOLA DI MARINEO


di
Francesca Spatafora
Nei mesi di giugno e luglio 2001, con finanziamento del Patto Territoriale Alto Belice-Corleonese, la Sezione Archeologica della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo ha condotto la quarta campagna di scavi alla Montagnola di Marineo, seguita alle prime indagini sistematiche finanziate dall’Assessorato Regionale BB.CC.AA e avviate a partire dal 1991 sotto la direzione della scrivente e con la collaborazione di una folta equipe di archeologi, addetti alle diverse aree di scavo e di architetti che hanno curato i rilievi delle strutture riportate alla luce. Le recenti ricerche si sono rivelate di estrema importanza sotto il profilo storico-archeologico, soprattutto perché hanno offerto nuovi e decisivi elementi per la possibile identificazione del sito contribuendo in maniera significativa a dirimere una delle tante questioni all’attenzione degli studiosi di topografia storica della Sicilia antica.L’anonimo centro abitato, oggetto di interesse e di ricerche a partire dalla fine dell’Ottocento è stato infatti identificato con l’antica Makella, città nota attraverso il racconto di alcuni storici greci e legata da amicizia con l’elima Entella, come testimonia l’iscrizione sul V decreto entellino inciso su una tavoletta di bronzo. L’identificazione si è resa possibile grazie al ritrovamento sul pavimento di un ambiente soprastante una grande cisterna intonacata con copertura a volta, di una serie di tegole che recano, incise prima della cottura, l’iscrizione con il nome della città: doveva trattarsi quindi di una partita di materiali destinati probabilmente alla copertura di un edificio a carattere pubblico proprio di quella città sulla cui localizzazione erano state finora proposte alcune ipotesi rivelatesi adesso infondate e che volevano l’antica Makella situata ora nei pressi di Camporeale, ora sul Monte d’Oro di Montelepre, ora tra Salemi e Gibellina. Secondo il passo di Diodoro Siculo, tra il 263 ed il 262 a.C., Makella venne assediata dai Romani, poco prima del passaggio di Segesta al fianco dei Romani stessi, mentre Polibio racconta che nel 260 a.C. i Romani, sbaragliata la flotta cartaginese a Milazzo e liberata Segesta, si impadroniscono con la forza di Makella, mentre Amilcare si trova a Palermo. Anche in relazione agli avvenimenti della Seconda Guerra punica la città viene nominata da Tito Livio che annovera Makella tre le città ribellatesi ai Romani nel 211 a.C. L’importanza dell’antico insediamento, già sottolineata dalle fonti di età greca e romana, era del resto risultata già evidente attraverso le ricerche effettuate in questi ultimi anni e che avevano portato alla scoperta di un esteso centro abitato vissuto a partire dall’VIII – VII sec. a.C. fino ad età medievale. La città fu particolarmente florida in età tardo-arcaica (fino VI – inizi V sec. a.C. periodo a cui può farsi risalire un santuarietto recentemente scoperto presso le mura, in parte riportate alla luce e caratterizzato dalla deposizione di armature bronzee, elmi e schinieri e di abbondante ceramica indigena a decorazione geometrica dipinta. Altrettanto vitale appare il centro abitato in età ellenistica, fase in cui l’antica Makella entrò a far parte dei territori dell’epicrazia punica come del resto, a partire dal IV sec. a.C, tutta la Sicilia occidentale, assoggettata politicamente ed economicamente al potere cartaginese. L’importanza della città di Makella viene tra l’altro per l’epoca suggerita dal famoso elogium Duilii, una iscrizione alla base di una colonna rostrata rinvenuta nel Foro Romano in cui vengono ricordate le gesta del console C. Duilio durante la Prima Guerra Punica ed in cui Makella viene ricordata con il suo nome e non tra i novem castra non meglio specificatamente connotati. Tra l’altro, già esaminando la documentazione delle prime due campagne di scavo condotte nella zona delle fortificazioni sud-orientali, era stato possibile notare come l’evidenza archeologica suggerisse un abbandono o comunque una evidente fase di distruzione della linea difensiva, certamente entro la prima metà del III sec.a.C., lasciando ipotizzare una relazione o con un eventuale attacco di Pirro, durante la sua marcia da Agrigento verso i territori dell’eparchia cartaginese, o con i drammatici avvenimenti della Prima Guerra Punica: oggi sappiamo che quei consistenti livelli di distruzione sono quasi certamente da connettere all’assalto dei Romani che nel 260 a.C., dopo aver liberato Segesta, presero con la forza la città di Makella.
Con la conquista da parte dei Romani inizia per la città un periodo di lenta decadenza, anche se un centro abitato abbastanza attivo è documentato ancora per la piena età bizantina e, successivamente, per quella normanna, momento a cui sembrano risalire alcune strutture a carattere abitativo recentemente riportate alla luce. La possibilità di identificazione del sito apre adesso nuovi orizzonti alla ricerca archeologica nell’insediamento ma anche in tutta l’area circostante dove, ancor più consapevolmente, potrà adesso proseguire la ricerca così proficuamente avviata.
Francesca Spatafora
Direttore parco archeologico di Imera

lunedì 20 dicembre 2010

COSTANTINOPOLI BISANZIO ISTAMBUL ZAVERGOROD !

Il racconto della Domenica
ISTAMBUL
Non so se siete mai stati a Istambul. Una volta si chiamava Bisanzio e prima ancora Costantinopoli. Dovreste andarci prima o poi. Anzi sbrigatevi perché non so se riuscirete a vedere ancora il ponte di Galata sul Corno d’Oro. Credo che sia sempre esistito e che nulla sia cambiato nel corso dei secoli. Io debbo vederlo assolutamente tutte le volte che sono a Istambul, e ci sono dei periodi che mi invento un viaggio di lavoro in Turchia per poter andare su quel ponte. Non confondetevi con Venezia e il Ponte dei Sospiri, con il Ponte Carlo a Praga, o il Ponte Vecchio a Firenze e cosi via. Qui non si tratta di sospiri, arte o cuori infranti. Ora questo ponte è di ferro ma una volta era di legno, ora ne hanno costruito uno nuovo i francesi lì accanto e temo che il vecchio ponte non lo rivedrò più. Su questo ponte sono passate quasi tutte le reliquie della cristianità: dalla Sindone al ginocchio di San Giovanni Battista, da San Ciro a … e cosi via. Ovviamente anche le reliquie musulmane alcune delle quali si trovano lì sopra al Topkapi, vicine alle nostre, come il mantello di Maometto, i suoi capelli, e altre ancora. Ma questo anche se mi procura emozione, fa parte delle tante cose che ogni giorno vediamo da turisti. Su questo ponte transitavano almeno tre gruppi di partecipanti ai diversi concili in diverse epoche. Unisce praticamente Kadikoy a Topkapi per usare due luoghi fra i più noti. La mattina mi alzo di buon ora e lascio il mio albergo a Pera e scendo giù in riva al Corno d’Oro passando vicino a Galata. L’aria sa di umidità rancida, c’è una nebbia che avvolge tutto, simile alla nostra è sospesa e si vede che non è “stabile”, loro la chiamano come da noi ”terrena”, forse perché si muove sfiorando il terreno come fosse fumo. Arrivo sul ponte e anziché passarci sopra come fanno tutti i turisti, scendo per una scaletta che mi porterà sotto il ponte, dove si trovano fra destra e manca un centinaio di bar, caffè, ristorantini e negozietti. L’odore non è certamente appetitoso. Mi siedo e mi offrono immediatamente un the. Cai, Tamam? Teskur. Tre parole: The? Sta bene, Grazie. Da questo momento e per circa un’ora berrò almeno cinque the fortissimi, poi inizia una sfilata interminabile di gente. Russi che chiamano Istambul ancora Zavegorod, bulgari, persiani, curdi, armeni, ebrei, indiani, albanesi di lingua turca, ciprioti, venditori di acqua, di the, di cocomeri a fette, macedoni, greci sopravvissuti a Smirne, del Pireo, di Salonicco, preti musulmani e monache francesi, tedeschi che sembrano ottomani, italiani di Genova e Venezia che forse non sono mai stati in Italia, venditori di pane, di panini con il pesce, venditori di aspirine e cose inutili. Donne con il facchino con la sella e donne con il velo e l’ombrello, polacchi a centinaia e slavi di ogni dove, siriani, irakeni. Tutti comunicano fra loro in qualche modo. L’uomo più semplice parla tre lingue. Uno attacca bottone con me chiamandomi padrone, un altro vuole scambiare qualcosa. Alla fine sono uno di loro e fra partite a dama e the arrivo a mezzogiorno. Un americano fotografa la qualsiasi me compreso e passa nell’indifferenza generale. Qualcuno sente il richiamo del muezzin e si allontana verso la moschea altri continuano il loro infinito cammino di mercanti. Poi alla fine risalgo la scaletta a metà ponte e finisco nel più straordinario bagno di folla. Un’ora di incontri indescrivibili. Sembra che tutti i popoli e razze del mondo si siano dati appuntamento sul ponte di Galata. Lascio il ponte e arrivo all’ingresso della grande moschea Sultan Ahmet. Sembra che tutta quella gente si sia trasferita dentro la moschea. Conoscendo un po’ il rituale passo per la porta principale solitamente riservata ai musulmani. Abluzioni, piedi e mani sino all’avambraccio lavate nelle fontanelle, viso sino alla nuca e scarpe depositate. Un saluto al Dio comune e poi esco verso Aghia Triada - Santa Trinità. Incenso che sembra nebbia, cantilena ortodossa, musica di rito bizantino fedeli in piedi e officiante dietro il cancello dell’altare maggiore. Sì, sono veramente gli stessi che ho incontrato sul ponte: greci di Macedonia, di Smirne, di Cipro, di Alessandria, di Atene, bulgari e tantissimi russi. Mi offrono il pezzetto di pane ospitale e fraterno. Aghia Triada è il Vaticano ortodosso. Ci sono venuto altre volte cercando tracce di San Ciro, ma l’unica cosa che ho ottenuto sin ora è che loro lo conoscono come i santi anargiri e che le sue ossa sostarono in santa Maria in Chora. Impossibile ottenere di più in un fine settimana. Poco dopo esco. Davanti la sinagoga non c’è nessuno e la porta è chiusa. Qualche scritta sui marciapiedi uno sgabello vuoto, la porta chiusa. Un vecchio alzando gli occhi mi fa capire che oggi non c’è nessuno. Proseguo verso la chiesa protestante di San Giorgio. Chi pensava a quei tempi al nostro San Giorgio di Marineo. Un cartello in inglese mi avvisa su orari e giorni dedicati al culto. Meglio, perché le chiese protestanti sono spoglie. Continuando sono passato almeno davanti tre chiese ortodosse. Due le conosco bene ma la terza mi incute timore. E’ Santa Sophia. Ovvero la Divina Intelligenza dove per oltre 1.000 anni la nostra religione è cresciuta e si è fortificata. Non esiste altro luogo al mondo dove … basti pensare che il sultano Maometto IV nel quindicesimo secolo avendo preso Costantinopoli colpì violentemente un suo soldato che stava staccando una parte del pavimento in mosaico gridandogli più o meno: vai a saccheggiare la città ma non toccare Santa Sophia. Arrivo finalmente a Sant’Antonio una chiesa fra il moderno e l’indefinibile. Piena di filippini, ganesi, ugandesi, portoricani. Un prete tedesco dice la messa in inglese e francese. Confessionali dedicati alle varie lingue. Penso che difficilmente oggi andrò a messa. Esco sconsolato e proseguendo nella stessa strada passo davanti alla chiesetta di Santa Maria dei Genovesi. Da fuori sembra più un collegio che una chiesa. Dopo vent’anni che vado a Istambul a sentire messa in tutte le lingue finalmente ho trovato il posto giusto. “ Bèh sono a casa” mi dico. Una predica breve con accento toscano, a me tocca passare per le offerte. Finalmente sereno prendo la strada dell’ufficio. Addio Galata vecchio ponte che riuscivi a tenere assieme tutta quella gente senza chiedere passaporto, religione o razza. Torno a casa. Cosciente che un altro pezzo di mondo sta sparendo.

Giovedì mattina scendendo dal Passetto verso il Crocifisso, nel giorno del grande mercato ad un tratto sento: Iavas, Iavas, Piano piano, più avanti un altro “ Ellate Kirios, ellate kiorios, un altro ancora Deime prossime, Selam . selam” e cosi via. Senza parlare di dialetti … Allora mi rendo conto che per miracolo tutto quello che c’era sopra e sotto il ponte di Galata si è salvato.

domenica 19 dicembre 2010

UN IDEA REGALO - MARINEIDE DI IOAN VIBORG

IDEA REGALO - REGALA  UN LIBRO. SI LEGGE PIACEVOLMENTE
Una risata vi seppellirà. Parola di Viborg
Pubblicato da Navarra Editore Marineide raccoglie due racconti lunghi: Omicidio sotto la rocca e Il Sultano Rhomen Al Fasud, Epopea dell’ispettore Marineo dal bronzeo viso. In Omicidio sotto la rocca Marineo indaga sull’assassinio di un consulente finanziario, mentre nel secondo episodio, Il sultano Rhomen Al Fasud, indaga sulle frequenti vincite al “gratta e vinci” nel suo paese oltre che sulla scomparsa di un diamante del sultano, illustre ospite per pochi giorni del capoluogo siciliano. Con dialoghi serrati, quasi pronti per una sceneggiatura - chissà, non si può mai dire – gli episodi sono stati scritti da Ioan Viborg, nom de plume dietro cui l’autore si trincera. Per prudenza, per pudore o non sappiamo che altro. Ma in paese il gioco è presto scoperto: anagrammando Ioan Viborg viene fuori Igor Bivona.I suoi gialli - è uscito quest’estate anche Pax et bonum in cui si indaga su una donna che viene trovata assassinata mentre l’ispettore sta godendosi un po’di ferie forzate - sono narrativamente ben costruiti, anche se rubacchiando da Camilleri. Ma si sa, i mediocri copiano, i bravi rubano. Il commissario Montalbano però non strappa risate, avviato ormai a un pensoso declino, mentre lo scontroso ispettore Marineo in certi punti dei racconti fa quasi sganasciare. Ironia, sarcasmo, humor sono il filo conduttore di tutti gli episodi. L’autore si prende in giro, non è sussiegoso, non ha pretese, non aspira a premi letterari, gli basta quello prestigioso di Bancarella … di calia e semenza. Il vorace ispettore è capace di gustarsi appieno un Concerto brandeburghese di Bach come un panino con milza accompagnato da un altro con panelle e cazzilli e completato da una quaglia. Gli piacciono le donne ma non se ne fa travolgere. Ha però un caratteraccio e se gli girano gli zebedei manda mentalmente a quel paese anche il suo capo, il commissario Guccione. “La scrittura priva di tempi morti ed inutili lungaggini, non lascia tregua, tanto da trovare in ogni riga un’emozione e in ogni pagina un’avventura” è il commento tra gli altri, volutamente esagerati, di Carmine Munafò (altro nom de plume?) nella quarta di copertina. Condividiamo.
Saba della Francesca
Ioan Viborg Marineide - Omicidio sotto la rocca - Il Sultano Rhomen Al Fasud
Navarra Editore - pagg. 138 - euro 10
Ioan Viborg Marineide - Pax et bonum
Navarra Editore - pagg. 111 - euro 10

venerdì 17 dicembre 2010

FEDERICO II E MARINEO


                          MARINEO  MUSULMANA

Se da Palermo andate a Marineo appena dopo aver attraversato l’Oreto prima dell’ospedale sulla vostra destra guardando in alto noterete una grossa piccionaia con centinaia di piccioni e colombe bianchissimi. Questo ci rimanda allo storico Amari che nella sua Biblioteca ci documenta che i normanni inseguirono i musulmani fin sotto i “mulini di Marineo” mentre gli arabi sconfitti a Misilmeri inviarono la notizia della disfatta al sultano a Palermo tramite i piccioni viaggiatori. Non sappiamo se sia un caso ma la presenza dei piccioni ancor oggi a due passi della residenza della Favara è più che casuale. La notte prima della battaglia i normanni sparsero la voce che vicino Risalaimi ci fossero i diavoli e quindi non era consigliabile avvicinarsi al luogo, soprattutto di notte. Sembra che il ponte fosse stato costruito in una notte e per tenere lontani curiosi e musulmani si inventò la leggenda dei diavoli, per coprire i rumori che avrebbero attirato i sospetti di chiunque. Questo ponte permise ai normanni uno spostamento strategico di truppe da cui venne la vittoria. I nostri mulini vantano una lunga storia anche se poco documentata, le cui testimonianze sono ancora esistenti pur se risalenti a periodi più recenti. Circa una ventina di strutture insistevano nel nostro territorio grazie soprattutto all’ Eleuterio le cui acque erano la fonte energetica principale, grazie anche allo stretto che aumentava la potenza delle sue acque e quindi deviandove alimentava un discreto numero di impianti di molitura. Si sta cercando ancora il sito di Al Kasan (dall’arabo Kasr : castello, Cairo, cassaro,casba, ecc.). Moltissimi siti di desinenza araba sono rimasti, come è noto, nel territorio . Ricordiamo soprattutto Favara, da cui favaredda, favarotta, Favara e cosi via.Abbondante d’acqua, sorgente, ricca d’acqua. I nonni ricorderanno che quando si ponevano per la prima volta le fognature o quando si scavava un pozzo  si sentiva gridare : u saracinu, u saracinu. Che stava a significare che era stata trovata una tomba musulmana, spesso di un guerriero.  




INCONTRI CON L'AUTORE HAMEL

CONTINUA IL CICLO DI INCONTRI VOLUTO DALL'ASSESSORE ALLA CULTURA.

RIPRESENTIANO L'INTERVISTA CONCESSACI DALL'AUTORE, PRESENTATO DA G. PERRONE

DOMENICA 19 DICEMBRE ORE 18 AL CASTELLO

 


RIDIMENSIONATO IL MITO DI FEDERICO II
Stupor Mundi, Puer Apuliae, Papenkaiser, Amir
Federico II? Saccheggiò il regno per finanziare le sue lotte imperiali.
Guglielmo il Malo e Guglielmo il Buono? Non è proprio così.
Più che cultura musulmana parlerei di quella bizantina
Cefalà Diana Centro Islamico ? Per metterci cosa ?
Costanza Altavilla ? Permise a Enrico VI di massacrare l’élite normanna
intervista a Pasquale Hamel

Lo storico Pasquale Hamel verrà Domenica a Marineo per presentare il suo ultimo saggio L’invenzione del Regno – dalla conquista normanna alla fondazione del Regnum Siciliae. In attesa di questo incontro  Il Guglielmo  ha avuto con lo studioso del mondo arabo e dell’Islam la  conversazione che riportiamo.
   Professore, il suo recente libro L’invenzione del regno, che analizza quasi cento anni di storia siciliana è centrato sulla figura di Ruggero II, nonno di Federico II. Si sa che la dinastia degli Altavilla subì il fascino della cultura islamica. E Ruggero?  
   Il volume fa la storia della conquista normanna e del suo consolidamento. Protagonisti ne sono sia Ruggero I, il cosiddetto gran conte che il figlio, Ruggero II, primo re di Sicilia. Più che della cultura islamica, direi, che i Normanni, in primo luogo Ruggero II, furono affascinati dalla cultura orientale, soprattutto quella bizantina. L’immagine di Ruggero era quella di un sovrano orientale..
   Il sovrano si rese garante di una convivenza pacifica con gli arabi ?
   Ruggero II, ma anche il padre, furono molto fermi contro le richieste delle gerarchie ecclesiastiche e di molti cavalieri normanni di procedere ad una conversione forzata degli islamici. Lo fecero per ragioni economiche in primo luogo, ma anche per ragioni che potremmo definire di realismo politico.
   Ruggero II è considerato un monarca moderno. In che senso?
   A Ruggero si deve una certa visione del potere avanzata. La sua attenzione alla cultura, la  sua dimensione non localistica, la organizzazione del regno, la codificazione che dava certezza di diritto, la realizzazione di un sistema amministrativo capace di offrire regole uniche in tutto il regno, sono segni evidenti di grande modernità”.
   Lo storico Francesco Renda ha ridimensionato il mito di Federico II. perché, secondo lui, ha distrutto il regno di Sicilia.. Anche lei è così severo con il monarca passato alla storia come Stupor mundi ?
   Sono costretto a fare qualche precisazione. Renda è un buono storico moderno che ci ha regalato lavori fondamentali soprattutto sulla Sicilia borbonica, per tutti, il volume sulla cacciata dei Gesuiti dalla Sicilia. Non è tuttavia un medievista. Debbo dirle che non è con Renda che devo essere d’accordo nel giudizio negativo su Federico II, bensì è lui che è d’accordo con me. Sono stato infatti io, ne pretendo la primogenitura in Sicilia, che ho messo in chiaro il rapporto fra Federico e la Sicilia. Ricordo che, lo stesso Renda, un giorno mi telefonò per dirmi che avevo ragione nel giudizio su Federico. Ma andiamo a Federico. Primo, la Sicilia, il più ricco regno dell’occidente mediterraneo, fu saccheggiata dall’imperatore svevo per finanziare le sue lotte imperiali; secondo, la Sicilia, da centro di un regno ricco e florido, con gli svevi e Federico, si ridusse ad essere periferia dell’impero; terzo, Federico alterò in modo drammatico la composizione demografica dell’isola liquidando gli ultimi Arabi attraverso quella che potremmo definire “pulizia etnica”
   La storia viene continuamente rivisitata. E’ possibile che Guglielmo I il Malo e Guglielmo II il Buono non fossero padre e figlio?
   Ma no, questo fa parte del gossip. Se storia ebbe Margherita di Navarra, il riferimento è a Riccardo Palmer, questa fu molto dopo la nascita di Guglielmo II. A proposito della rivisitazione storica. Anche qui un mito, quello del cattivo sovrano e del buon sovrano. Guglielmo I non fu affatto un cattivo sovrano, egli proseguì la politica del padre Ruggero per riportare a ragione i riottosi feudatari. Guglielmo II non fu quel buon sovrano che il mito ci tramanda. Oltre a dissanguare le finanze regie, avendo favorito il matrimonio fra la zia Costanza ed Enrico VI, fu responsabile della fine del regno normanno.
   Andiamo alle cose più vicine a noi. Come lei ben sa nel nostro territorio sono dislocate le terme arabo-normanne di Cefalà Diana. Tralasciamo la fruibilità del luogo recentemente restaurato. Vorremmo sapere, per quanto possibile, se si è accertata definitivamente l’origine arabo-normanna delle terme.
   Sicuramente, nel luogo indicato, si trovava già una terme bizantina.
   Di questi tempi è possibile un uso specifico degli ambienti con la creazione di una biblioteca arabo-normanna, di un centro di cultura islamica, un museo che possa raccogliere e concentrare tutto ciò che riguarda questo periodo storico? Non mancano certo i luoghi a Palermo ma farlo in questo luogo sposterebbe interesse nel territorio.
   Ma esiste una tale mole di reperti arabi che giustifichino tale creazione ? Entro subito a gamba tesa. Dalle domande che lei mi ha posto emerge un riferimento costante al mondo islamico come se la Sicilia fosse, o fosse stata, un presidio avanzato e consolidato di quel mondo. La voglio sorprendere con una affermazione paradossale: la Sicilia islamica non esiste. Mi spiego. Gli Arabi sbarcarono in Sicilia nell’827 d.c. e ne completarono la conquista oltre un secolo dopo. Un periodo caratterizzato da una feroce resistenza dei nativi contro l’invasore. Un periodo segnato da stragi e violenze inimmaginabili. Gli Arabi ebbero appena il tempo di insediarsi che, prima la crociata bizantina di Maniace, poi l’arrivo dei Normanni nel 1061, posero in crisi il loro dominio. Mi dica se un periodo così breve può essere tale da lasciare un’impronta solida. Il discorso, a mio modo di vedere, è altro. Si sono scambiate molte impronte bizantine o, in genere, orientali, per arabe e quelle poche vestigia originali sono state esaltate oltre il necessario. Piuttosto, lo dico con piena responsabilità, sarebbe opportuno che si tornasse a riflettere sulla cultura bizantina in Sicilia, sul peso ch’essa ebbe non solo dalla sconfitta degli Ostrogoti all’827, ma anche durante la dominazione islamica, visto che, nonostante tutto, la Sicilia orientale e molte aree di quella occidentale restarono greche.  
   La storia di Marineo è difficile da ricostruire. Scarne notizie (…inseguirono gli arabi fin sotto i mulini di Marineo),  e qualche altra debole testimonianza. Non è che Lei può aggiungere qualche altro piccolo tassello ?
   Onestamente, non mi sono occupato di  Marineo, ma potrebbe essere l’occasione per farlo.
   Sta pensando a qualche altro studio da pubblicare? Ce lo dica in anticipo…
   Lavoro al secondo volume della storia della presenza normanna il Sicilia, si chiamerà “la fine del regno” dal 1154 al 1193. Un periodo drammatico che da Guglielmo I arriva a Tancredi e Guglielmo III con il massacro dell’elite normanna da parte di Enrico VI con la correità dell’imperatrice Costanza.
   Infine una curiosità. La sua è una famiglia di origine nordica e i suoi antenati sono stati diplomatici. Questa carriera non l’ha mai interessato?
   Certo che mi interessava moltissimo. Immagini che dopo filosofia ho fatto giurisprudenza per seguire un corso di studi più coerente con questa vocazione. Ragioni di famiglia mi hanno intercettato lasciandomi un po’ l’amaro in bocca.

Mariolina Sardo

PASQUALE HAMEL   www.pasqualehamel.it
L'invenzione del Regno - Dalla conquista normanna alla fondazione del Regnum Siciliae 1O61-1154 
Nuova Ipsa 
Euro 14

giovedì 16 dicembre 2010

SULLE TRACCE DI SAN CIRO

ESPOSTI A VENARIA REALE I RESTI DELL’ANTICA CANOPO
 di Ciro Spataro e Maria C.Calderone
Alle porte di Torino, nelle scuderie Juvarriane della reggia di Venaria Reale si è tenuta la mostra internazionale “Egitto – Tesori sommersi”, nella quale sono stati esposti oltre 500 reperti archeologici provenienti da Alessandria, Heracleion e Canopo, antichissime città che nei primi secoli dell’era cristiana sprofondarono sei metri sotto il livello del Mediterraneo.Con il supporto di una sofisticata tecnologia geofisica, l’equipe guidata dal famoso archeologo Franck Goddio ha riscoperto i loro resti, rivelando, attraverso i reperti 15 secoli di storia dal 700 a. C. all’800 d.C. È stata così redatta una pubblicazione (Egitto. Tesori sommersi – Allemandi editore), curata proprio da Franck Goddio, che non solo ha svelato un grande tesoro archeologico al mondo intero, ma ci ha consentito anche di fare luce sia sull’antica Canopo, città dove avvenne il martirio di San Ciro, che su quella di Heracleion che nei tempi moderni, ha preso il nome, certamente evocativo, di Abukir (Abba Ciro) così come veniva chiamato il santo martire dai cristiani dell’epoca. “Lo studio, ha affermato Franck Goddio, ha consentito di determinare i confini della regione di Canopo attualmente sotto le acque, di localizzare i principali oggetti archeologici e di tracciare il corso dell’antico ramo occidentale del Nilo”. La scrupolosa ricerca di Goddio mette in evidenza come Alessandria fosse collocata a Canopo per mezzo di un canale. “Canopo divenne così un sobborgo della capitale particolarmente vivace, con allegre feste popolari e luogo di villeggiatura per i residenti della capitale e per i pellegrini speranzosi di cure che talora venivano da lontano solo per dormire nel santuario dedicato a Serapide. Canopo fu anche un centro di scienza, vi abitò Claudio Tolomeo, il grande geografo e famoso astronomo. Un altro tipo di folla venne da Alessandria a Canopo, alla fine del IV secolo d. C.. Dopo aver distrutto il grande Serapeo di Alessandria nel 391 d. C. i cristiani, incoraggiati da Teofilo, vescovo di Alessandria, distrussero i santuari di Canopo fino alle fondamenta. Vicino alle rovine dei templi pagani fu costruito un influente monastero chiamato Metanoia (Pentimento), e una cappella dei martiri dette ospitalità ai corpi dei Santi Ciro e Giovanni. Pellegrini provenienti da tutto il mondo antico vi arrivarono nella speranza di una cura. Sofronio di Gerusalemme, che visse in quella zona, scrisse un penetrante elogio di questi Santuari. Egli così descrisse il grande monastero dei Santi Martiri: “che grande meraviglia è questo santuario, il quale e dominante in modo sorprendente e riempie tutti d’ammirazione! Poiché, posto sulle rive del mare, non è in alto, né costruito su solido terreno, ma è situato tra le sabbie e le onde di cui riceve i forti attacchi e di cui seda gli assalti come mediatore. Esso svetta a una grande altezza, sollevando la sua cima al cielo, oggetto di desiderio dei marinai” ( Sofronio, Laudes in SS. Cyrum et Ioannes. 29). Purtroppo terremoti e maremoti hanno colpito la regione di Canopo diverse volte. Secondo Sofronio, patriarca di Gerusalemme, sembra che, nella seconda metà del VI secolo d. C., gli abitanti di Canopo fossero a conoscenza di rovine situate sotto il mare al largo della cappella dei martiri. È così tra il VII sec. e la seconda metà dell’VIII secolo d.C., Canopo fu sommersa. In tal senso l’archeologo Goddio evidenzia che “si sa da tempo che le rovine di Canopo dovevano trovarsi nell’odierna penisola di Abukir. Questa localizzazione era fondata sulla distanza che, stando a Strabone, separava Alessandria da Canopo e anche per l’apparente sopravvivenza nel toponimo arabo di Abukir (Abu Qir) San Ciro, le cui reliquie, stando alla tradizione cristiana erano conservate a Canopo”. L’equipe degli archeologi ha lavorato con immagini elettroniche dell’area attraverso il sonar a scansione laterale che hanno permesso di individuare settori che non sono stati completamente coperti. Così nella baia di Abukir i risultati delle immagini mostrano che Canopo ed Heracleion furono colpiti da fenomeni geologici e da cataclismi nei diversi periodi. Le ricerche, iniziate nel 1996 nella baia di Abukir hanno permesso di determinare la posizione dei principali resti archeologici. Tra i frammenti di statue ritrovate spicca una notevole testa di marmo del Dio Serapide, risalente al periodo tolemaico. Era l’immagine della principale divinità del Serapeo di Canopo. Un confronto dei testi antichi, unito ad alcune osservazioni archeologiche, suggerisce che un edificio cristiano costruito accanto a un grande santuario faraonico potrebbe corrispondere alle fondamenta del “martyrion” di San Ciro e San Giovanni di Edessa. Secondo Tirannio Rufino, il “martyrion” era costruito vicino al Serapeo: “ infatti, nel sepolcro di Serapide, quando gli edifici profani sono stati distrutti, da un lato è costruito un “martyrion” dall’altro una chiesa (Storia ecclesiastica, 2,26 /27). Le dimensioni del “temenos” di pietra, cioè il muro di cinta del tempio dimostrano che questo monumento fu davvero un grande santuario lungo 103 metri e composto di grandi blocchi di calcare. Questa scoperta è di fondamentale importanza non solo per tutti i marinesi, ma anche per tutti coloro che, nei vari secoli, hanno creduto nella realtà storica del grande taumaturgo alessandrino
Ciro Spataro
Maria C.Calderone

mercoledì 15 dicembre 2010

NOSTOS ! CHE TORNINO A CASA I BENI ARTISTICI DI MARINEO - APPELLO

AL DOTTOR NUCCIO BENANTI
ASSESSORE ALLA CULTURA
DEL COMUNE DI MARINEO
Quando scrissi a Sua Eccellenza l’Ambasciatore Sergio Romano lamentandomi che il vaso di Eufronio fosse ancora al Metropolitan Museo di New York non mi capacitavo che un capolavoro simile avrebbe fatto la fine che ha fatto. Gli americani lo sapevano e questo era uno dei motivi per cui tentennavano. Non volevano restituircelo perché da noi sarebbe stato dimenticato. Mi rispose con mezza pagina dal Corriere della Sera fornendomi la cronistoria del vaso. Lui che era il vero artefice del ritorno a casa del cratere a figure rosse su fondo nero , dove Eufronio era maestro. Ora combattere per il ritorno a casa dei nostri capolavori è sempre valido salvo che poi non vengano seppelliti nei magazzini dei musei. Ecco quindi il nostro appello al nostro Assessore alla Cultura , al Sindaco e a quanti sono coinvolti affinché si intervenga concretamente prima con una richiesta ufficiale poi seguendo l’iter . Che i beni appartenenti al territorio di Marineo ritornino a casa e precisamente al Castello Beccadelli dove già parte di questi materiali trova posto. Stiamo parlando degli affreschi di Tommaso de Vigilia, degli affreschi del Parco Vecchio , il Pendente di vetro policromo fenicio già esposto a Venezia alla mostra sui fenici e a tutti gli altri materiali giacenti nei vari magazzini e pinacoteche . Si tratta di un trasferimento indolore in quanto esiste già il luogo attrezzato, la custodia è garantita ma soprattutto oltre al materiale già esistente , al museo di cultura contadino o della memoria gli affreschi del De Vigilia da Risalaimi e tutto il restante materiale arricchirebbe non solo il Museo ma anche l’offerta culturale della intera Valle eleuterina. Chiediamo che il nostro Assessore si faccia subito carico di una richiesta così importante. Inutile elencarle i materiali in quanto nel nostro dipartimento culturale ,nella biblioteca e il suo responsabile, anche per questo preposto, conoscono bene i materiali quindi usiamo questi reparti che lo stato ha onestamente mantenuto anche per tale obiettivo. Che non ci si astenga per questioni di principio o regolamenti. Basta guardare ai casi più importanti e recenti dai Bronzi di Riace a quelli di Morgantina Aidone su cui non è passata nemmeno una settimana. Ci auguriamo che l’Assessore faccia immediatamente sua questa richiesta, che il personale superi ostacoli burocratici e di principio per iniziare un iter veloce verso questi risultati.,che i politici aderiscano per avere più forza . Ci auguriamo, infine che i cittadini vengano tenuti al corrente .

domenica 12 dicembre 2010

TSUNAMI ALLA SOVARITA

Non si può confondere la tremenda abbuffata con l’arte. Tutto ha funzionato a meraviglia. La gente in tiro a scambiarsi bacilli e bacini,  impressioni, commenti salaci e giudizi salomonici  e sfilare davanti al meglio della nostra produzione artistica. Il meglio di quanto produce Marineo nell’arte pittorica prevalentemente. L’organizzazione è perfetta. Gli autori impalati davanti i propri quadri circondati dai promotori (mamme, nonne, zie, fratelli, cugini, padri) raccolgono complimenti gratuiti, dovuti . Le nonne e le zie sono fra le più esagitate. “Non solo la zia ma sono anche madrina” , “ Sin da bambino dipingeva sul tavolo usando budini e cioccolata”, “L’ho visto già in sala parto che era predestinato”. Che bello avere parenti così! Ti senti compagno di scuola di Mercurio, Apollo, Fidia, Prassitele. Puoi giudicare Raffaello e il Mantegna da…collega. Giro fra i tavoli attratto da artisti bravissimi senza che ci venga segnalato dai parenti sponsor. Fra i nudi, bellissima la donna sul divano di Giusy Corrao, una coperta sulla seconda gamba avrebbe ottenuto il primo premio. La sua sensualità supera il nudo della ragazza di colore di altro artista. Simpatico il giovane Taormina con la sua rivisitazione dell’atmosfera bohemien. Bravo! Ci si aspetta molto da te. Enzo Puleo e  StefanoBalestreri, maestri di sgorbie asce e scalpelli creano pezzi  da appartamento in materiale diverso. Ottime le foto di Salvino Sclafani e i colori di Nino Lopinto. Dicono un gran bene delle foto di Sandro Pulizzotto sul Libano e il Giappone. L’impatto con i colori di Nino e Daniele Greco freschi  e soddisfatti della gita americana, è forte.  Una bellissima testa di giovane donna, serena in volto, reclinata, rilassata dopo una passione d’amore, meritava il primo premio. Premio che a parer mio va ad Anna Maria Molino per forme di violino. Eccellente lavoro. Complimenti. Mi fanno notare che fra gli autori è esposto un lavoro di Leo  Pasqua, parroco della nostra comunità, ma non lo trovo. Le indicazioni e i riferimenti sono contraddittori, le battute non sempre azzeccate. Non conosco le sue opere e per me è un’opera prima. Infine la trovo al posto giusto e non vicino la giovane di colore che impertinenti mi avevano segnalato. E’ difficile dare un giudizio. E’ lui che alla fine mi deve dare il pass per il paradiso! Sembra un paesaggio lombardo, con abeti e faggi, attraversato da una radura dove è chiaro e ben definito il presente in primo piano, mentre il futuro è vuoto  indecifrabile e forse confuso. Infine le  opere di Nicolò Lo Giudice, Manuela Seicaru, Francesco Crispiniano  Mimmo Papa, Rosamaria Parrino, Maria Luisa Lippa, Pina Castronovo, Rosanna Cottone, Giuseppe Gargano, Giovanna Amorelli, Anna Asaro, Uberto Benanti, Rosalia Biondolillo, Lella Buttitta, Antonio Calabrese, Samuel Campagna, Salvo Castronovo, Giovanna Cesarini, Giusy Corrao, Lia Gagliano, Giusy Ginevra, Sergio Ilardo, Jopul, Tiziana La Mantia, Luca Lo Piccolo, Aurora Manzella, Giuseppe Mezzatesta, Anna Maria Lomino, Lucilla Benanti, Giuseppe Pantelleria, Mariella Ramondo, Ina Rocco, Marina Scianna, Nancy Sofia. Più che una mostra sembrava una galleria. In questo percorso sono guidato da una bella donna in nero: Rita Rocco a cui  Salvatore Pulizzotto mi ha affidato. Godo della sua compagnia sino a quando il Pulizzotto da il via. Lei sparisce lasciandomi in mano un sacco di illusioni. A questo punto che mi rendo conto che lo tsunami  non è prerogativa dell’Oriente ma anche da noi : l’Eleuterio può fare brutti scherzi. Una massa enorme di ospiti, artisti, parenti, infiltrati, viandanti per caso, autorità, musici si riversano nel salone laterale dove erano state preparate cibarie per 300 persone su 200 ospiti. Ho visto la signora in nero sbiancare travolta, ho visto il Pulizzotto indeciso se chiamare il 113. Ho visto il vecchio Rocco cercare la doppietta come estremo rimedio. Il più calmo era  Giovanni che consolato dal sindaco cercava di spiegargli che queste abbuffate le aveva viste solo ai tempi della Democrazia cristiana. Ad un certo punto Giovanni si consiglia con il suo staff in cucina  se sia il caso di iniziare ad … arrostire gli outsider cioè gli abusivi non invitati. Una bella serata, grazie anche ai musici, guidati da Walter Cangelosi che in una mano aveva gli strumenti nell’altro aveva un forcone preso dalla parete pronto ad usarlo per difendere gironde e clavicembali. Cerco la signora in nero inutilmente. Preoccupatissimo mi informo incautamente con  Franco Virga che elegantemente mi manda “a quel paese…” Chiedo  a Ciro perché è così arrabbiato e mi risponde che alla inaugurazione mentre il sindaco faceva gli auguri non gli hanno permesso di intervenire.
Si respira aria di casa grazie alla cucina di Giovanni, aria colta per la presenza di tantissimi artisti di qualità, ma sopratutto profumo di donna lasciato dalla signora in nero. La ritrovo all’uscita, alla cassa e mi illumino pensando che il biglietto che mi porge sia il suo cellulare. Le mie illusioni svaniscono con lo scirocco forte che spinge. E’ il conto da pagare.
Onofrio sanicola

sabato 11 dicembre 2010

IL RACCONTO DELLA DOMENICA: FRANCIA LOURDES

APPARIZIONI
     Sembra che le apparizioni o manifestazioni soprannaturali siano arrivate a cifre record. Se ne parlava recentemente alla televisione portando testimonianze, che vanno dalla statua sanguinante alle espressioni estatiche. Il più delle volte osservo estraneo rimanendo fra il critico e lo scettico; analizzo severamente la persona che ti sta dicendo di essere stata protagonista di un simile evento, cerco di rimanere indifferente. All’inizio riesco ad ascoltare trasformandomi in giudice silenzioso senza reazioni. Poi mi lascio trascinare e mi immedesimo. Lascio così andare la mia mente e superate remore e critiche mi ritrovo immerso in una situazione in cui io divento protagonista di un evento straordinario.  La cosa certamente avviene in ufficio, non essendo io né pastore né una giovane ragazza di campagna, oppure in casa mentre sto davanti alla televisione. Emozionato, immagino di ripetere gesti e atteggiamenti che molte volte ho letto e che sono usuali in queste occasioni. Tutto funziona sino al momento in cui inizia il dialogo o monologo. A questo punto vengo preso dal panico.  CONTINUA…

SANTO LOMBINO : UNO STUDIOSO CHE SE LI VA A CERCARE

SABATO 11 dicembre 2010 ore 18  Ex Granaio del Castello Beccadelli Marineo .
Incontro organizzato dall' Assessorato alla Cultura del Comune di Marineo

Avete presente quei cimiteri americani, inglesi, polacchi sparsi per l’Italia? Migliaia di croci bianche quasi sempre con un numero al posto del nome. Lui saprebbe dirvi a chi corrisponde quel numero. Oppure un bibliotecario che alla vostra richiesta di un titolo ben preciso non vi risponde, si allontana e mentre lo vedete sparire fra gli scaffali - pensando che o è sordo o non ha capito - lui torna e vi consegna il libro chiesto. Vi sorride senza dirvi niente e capite che era meglio ricevere un insulto. Santo Lombino, premuroso con i figli, attento in famiglia, ha viaggiato più della gente che descrive nei suoi scritti. Da ferroviere, mentre i colleghi passavano la sera al dopolavoro, prende la laurea e finisce a Limbiate. Erano gli anni che andare nei paesi del Nord lasciava il dubbio ai settentrionali che tu fossi “confinato a Limbiate”. Poi la bellissima esperienza di Monreale. Insegnare in un liceo che si trova dentro il complesso Il Guglielmo. Gratificante il rapporto con gli studenti. Un bel gruppo da Mariella a Francesco. Un sodalizio.
“Ora prevalentemente mi occupo di miracoli”. Mission impossible. L’Uomo dei libri impossibili. Raccoglie e rielabora le testimonianze degli emigranti. Michela Basso gli porta il manoscritto di Sabatino Basso. Bisogna ordinarlo, leggerlo, tradurlo, valorizzarlo. “Ho fatto lo stesso lavoro con La spartenza di Tommaso Bordonaro ma viene creduto un falso”. Allora si è dovuto ricorrere all’originale che si trova in America.
E’ il curatore e traduttore della nostra gente. Se non gli portano i diari lui li va a cercare. E’ come mettere insieme i ricordi di tante persone che hanno affidato a pezzi di carta, lettere, i propri ricordi, ripensamenti, gioie, delusioni, sofferenza, esperienze incise sulla pelle, scritte nel cuore.
Santo Lombino ha resuscitato un centinaio di persone altrimenti dimenticate. Li segnala all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo custode di questo tipo di scritti. Chi scrive, anche le pagine più intime, desidera essere letto. Per questo una giuria giudica i manoscritti e ogni anno un premio garantisce la pubblicazione del vincitore. Una cosa meravigliosa che evita che questo patrimonio di scritture autobiografiche vada perduto.
Avendo trovato l’America riunisce due memoriali. Il primo è l’avventuroso viaggio nel 1908. attraverso la cordigliera delle Ande a dorso di mulo, di Sabatino Basso, un commerciante di tessuti, un magliaro, ma anche con grande senso degli affari ,fantastico venditore di fontane di Trevi. Il secondo un rarissimo racconto di un viaggio a ritroso. Il “si torna a casa” affascinante di Santo Garofano che nel 1931 ritorna alla sua San Mauro Castelverde dopo aver fatto fortuna a Chicago con una fiorente azienda produttrice ed esportatrice di prodotti agro-alimentari.
Parliamo a lungo con Santo Lombino di emigrazione, sofferenza, speranze. Mi corregge “sofferenza” con “benessere”, il miraggio del benessere. Ma faranno ancora oggi i diari di viaggio gli emigranti? Il mio dubbio lui lo trasforma in certezza.
Credevo di incontrare il solito “professorino” che gestisce e amministra una parte della cultura della valle dell’Eleuterio e mi trovo uno che vorrei prima come professore e poi come amico. Ha partecipato a decine di operazioni culturali tra cui l’Università Popolare di Bolognetta, curato un’infinità di libri, sino alla prossima Mostra Fotografica 1936 in Etiopia con a latere un convegno sul colonialismo. Dal 6 dicembre partecipa alla trasmissione radiofonica Radio Margherita (tutti i giorni alle ore 11.15 e alle ore 17.15). Ho chiesto di lui a Bolognetta e una giovane signora mi ha risposto: “Abbiamo disdetto Internet. Noi abbiamo Lombino”.
Onofrio Sanicola
con la collaborazione di Mariolina Sardo
Sabatino Basso - Santo Garofano Avendo trovato l’America. Scritture di viaggio tra Sicilia e Nuovo Mondo
a cura di Santo Lombino, con un saggio di Marcello Anselmo, presentazione di Tommaso Romano Fondazione Ignazio Buttitta - Palermo - 2010
SABATO 11 dicembre 2010 ore 18 Castello Beccadelli Marineo .Incontro organizzato dall' Assessorato alla Cultura del Comune di Marineo

giovedì 9 dicembre 2010

LE SEDICI ANGELS DI TIZIANA NANIA

LE SEDICI ANGELS DI TIZIANA NANIA
Dallo Stabat Mater di Vivaldi a Jingle bells rock
Elisa , Claudia , Delia , Romina , Sonia , Sharon , Giorgia , Natalia , Emilia , Maria Clara , Silvia , Aurora , Luisa , Beatrice, Ohara ,Sofia , . Non sono le suffragette ,non sono un nuovo esercito della salvezza. Non sono le partecipanti al prossimo concorso di Miss Italia o Miss Sicilia. Non sono le candidate a presentare il prossimo Premio di Poesia. Spero non siano nemmeno le aspiranti vallette a Striscia la notizia. Sono le ragazze del coro che probabilmente ignorano di avere un’insegnante d’eccezione, con un curriculum di tutto rispetto. Tiziana Nania, oltre a essere Maestro del coro e docente di pianoforte della Fondazione Arnone, è direttore del Coro polifonico della Scuola di Musica Kandinskij di Palermo. La musicista tuttavia non disdegna di far cantar alle sue piccole allieve A Natale puoi, la Befana blues, Jingle bells rock, per finire con Tu scendi dalle stelle. Originaria di Milazzo - dove nuotava nel meraviglioso golfo all’età delle sue allieve di oggi - da quel meraviglioso angolo di Sicilia guardava a destra le Eolie e le raffinerie, a sinistra la rocca micenea di Tindari e il santuario della Madonna nera. Ha viaggiato tantissimo e credo si sia persa qualche volta fra le rive del lago di Annecy chiedendosi se si trovasse in Svizzera o in Francia. Non si può insegnare canto senza cuore, senza amare. Ad un cenno le ragazze sono pronte, ordinate, sedute con trentadue occhi fissi sul loro Maestro. Sono le ragazze - rimanete tali per favore - da sette a dieci anni che sono a Bottega di canto di Tiziana Nania. Colpisce la perfezione dell’inizio: non una fuori tempo, né in ritardo. Con pazienza i toni vengono livellati, sfumati, accentuati. Tutto avviene con gli occhi, un linguaggio che un Maestro deve avere di suo. Credo che i genitori possano essere orgogliosi di queste ragazze. S.O.
Fondazione Arnone - Direttore dei Corsi Pino Taormina - Corso di Canto e pianoforte Tiziana Nania. Organizzazione Generale Marta Rainieri - Tf .0918726931

mercoledì 8 dicembre 2010

FONDERSI CON IL FOGLIO


L’autrice, originaria di Marineo, ha scritto questo racconto, pubblicato dalla Scuola Holden di Torino, nell’ambito di un concorso letterario indetto su Internet

   Mi dico che è il momento giusto e devo sbrigarmi. Certo sarebbe più facile se ci fosse un foglio di carta. Prenderei la penna e le parole non rimarrebbero incastrate in una vena del cervello o nella gola, scenderebbero fino alla mano, sporcherebbero il foglio, ci resterebbero attaccate con tutto quello che si portano dietro. “Allora?’ mi chiede il mio editore accendendosi una sigaretta.
   Devo sbrigarmi. Correre via. Per conservare un briciolo di dignità. Lui, editore di una modesta collana rosa, incalza: “Allora, ti dimetti o preferisci essere licenziata?” Farmi credere che io possa scegliere è l’ultima delle sue canagliate. Un aut aut è il massimo che la sua falsa generosità gli permetta. Un foglio, un foglio subito. Chiudere in poche righe un’esperienza che si sta concludendo così amaramente. A niente è servito studiare, leggere. Mi hanno detto che ogni buon scrittore è soprattutto un grande lettore. Mi sono tuffata su tutto.  Mi sono sorbita  Joice  e la ponderosa Recherche di Proust. E gli scrittori americani. Ho riletto Dostoevskij e Tolstoy perché non  si può scrivere se non si comincia da chi lo ha fatto così bene. Ed Eco con i suoi pendoli e le sue rose. E quel Baricco così intrigante. A casa mia  i libri non sono  allineati per colore o in ordine di altezza, ma divisi per genere, amati, accarezzati.
   Ho migliorato grammatica e sintassi, ma non è  servito a niente. I miei  racconti piacciono sempre meno al direttore. “Troppo banali – si giustifica mellifluo - i tuoi racconti sono linguisticamente ineccepibili… ma banali, prevedibili… le nostre lettrici vogliono storie forti, in cui identificarsi, sognare…”
   Ho capito: bisogna dare alla massaia di Canicattì nuove emozioni, un surrogato dell’alcol che le casalinghe pare consumino in grande quantità. Ho in mente due storie forti come piacciono a lui, roba da far accapponare la pelle… ma sono  storie vissute sulla mia pelle … non ho il coraggio di tirarle fuori.
   Dignitosamente devo andarmene, firmare la mia rinuncia. Raccogliere i cocci del mio sogno prematuramente infranto.  
   Percepisce la mia amarezza: “Dai, se vuoi manda qualche racconto ogni tanto – mi dice con finto interesse allungandosi sulla poltrona, ma la sua testa è già altrove – vedremo di pubblicarlo”.
   Boiate. Raccolgo le mie cose. Sono amareggiata ma non vinta. Un piano ce l’ho: narrerò le mie storie ad un altro editore che riconoscerà il mio talento ed io diventerò   famosa…
Mariolina Sardo

OH BEJ OH BEJ

Oh bej Oh bej !
In questi giorni la Chiesa ambrosiana di Milano festeggia Sant’Ambrogio. Per parlare di Sant’Ambrogio torniamo indietro nel tempo: la nascita si presume nel 339-340 e la morte nel 397 d.C. Quindi nacque circa trent’anni dopo il martirio di San ciro. Anche lui proviene da una famiglia particolare proseguendo la carriera amministrativa del padre. Viene presto chiamato il governatore dell’Italia settentrionale e si fa notare per la sua abilità nel mettere pace fra ariani e cattolici. Nel 374 assiste da prefetto all’elezione del nuovo vescovo di Milano ,per evitare i disordini è da tutto il popolo acclamato vescovo. Soprattutto da un bambino che in mezzo ai tumulti grida “Ambrogio vescovo”. Nel giro di una settimana Ambrogio è battezzato e ordinato vescovo. Il suo stile di vita è ascetico, combatte contro gli ariani (spesso è rappresentato con una frusta nella mano). Anche lui dà i suoi beni ai poveri. Si racconta che ha venduto gli oggetti sacri per poter riscattare i prigionieri. Il suo esempio è determinante per la conversione di Sant’Agostino che lui battezza nel 386.E’ancora visitabile sotto il Duomo il battistero. Ambrogio scrive le opere morali e teologiche e gli inni per la preghiera; introduce il canto durante la liturgia e ancor oggi a Milano durante alcune messe nella famosa basilica di Sant’Ambrogio si possono sentire questi canti antichi. Fino ai nostri giorni nella diocesi di Milano si segue la liturgia ambrosiana che è caratterizzata da alcune piccole variazioni durante la santa messa e dal calendario liturgico diverso: l’avvento inizia una settimana prima e la quaresima qualche giorno più tardi. Le celebrazioni ambrosiane 2010 si svolgono nella omonima basilica nei giorno 6 e 7 dicembre: la liturgia vespertina durante la quale il cardinale Dionigi Tettamanzi rivolgerà alla città e alla diocesi il suo messaggio e il giorno 7 dicembre santa messa pontificale. Il tradizionale mercato chiamato 0h bej Oh bej, rinomato per il suo antiquariato, avveniva per anni nelle vie intorno alla basilica di Sant’Ambrogio. Da un po’ di tempo è stato spostato nel castello Sforzesco. Non è una vera festa come quella di san Ciro a Marineo ma qualcosa dell’atmosfera solenne si respira anche a Milano. Evviva Sant’Ambrogio! R.R.
IL 6 dicembre vigilia della festività di Sant’Ambrogio si ripete il rito delle offerte a Sant’Ambrogio. Antichissima tradizione istituita per ricambiare l’ ospitalità che riservava il Santo a chi giungeva a Milano. Cosi lunedì sei dicembre si rinnova il rito con un “presente “ portato da tutte le regioni italiane. Fa eccezione quest’anno la presenza di una regione straniera :la Boemia che porterà gli occorrenti (Ampolle) per la messa vespertina della vigilia in cristallo di Boemia. La consegna, all’offertorio, è stata affidata ad una famiglia marinese-boema.

martedì 7 dicembre 2010

UNA MACCHINA MANGIA SOLDI

  Un viaggio tra i costi e i privilegi della Casta e uno statuto speciale,   molto speciale…

   Nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio del 2010 per le strade di Palermo sciamano centinaia di motorini con a bordo uomini, donne, ragazzi che sventolano bandiere e intonano cori da stadio. Si festeggia una vittoria alla Champions League? No, la gente esulta perchè ha vinto un posto da precario per altri 3 anni alla Regione e la possibilità che il proprio assegno mensile passi da 600 a 800 euro al mese. Non è un granché ma i 3.500 avventizi hanno conquistato la sala di attesa che consente di mettersi in fila per ottenere un posto fisso nel Palazzo di Bengodi. E Mamma Regione non li abbandonerà più.
L’episodio è riportato nel coraggioso libro inchiesta La zavorra – sprechi e privilegi nello Stato libero di Sicilia che i cronisti parlamentari di Repubblica, Enrico del Mercato ed Emanuele Lauria hanno pubblicato in questi giorni per la casa editrice Laterza.
Già La Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ci aveva fatto fremere di indignazione.  Con questo reportage il travaso di bile del contribuente/lettore è assicurato.
 La Sicilia, con la nascita nel ‘46 dello statuto autonomista, è la prima forma di federalismo. La più avanzata in Italia con competenze esclusive in tema di tasse, personale, urbanistica, e persino di ordine pubblico. Doveva garantire lo sviluppo economico – argomentano gli autori - e si è invece trasformata in un gigantesco meccanismo che ingoia soldi pubblici e li restituisce sotto forma di assunzioni inutili, prebende, sprechi e privilegi, facendosi un baffo della pubblica indignazione.
La Regione siciliana conta 3.500 geometri e ingegneri assunti 23 fa anni per il disbrigo di pratiche di sanatoria che non sono state esaminate. Ha un Parlamento i cui membri guadagnano quanto i senatori della Repubblica, grazie a una legge del 1965, che consente l’allineamento degli stipendi a quelli di Palazzo Madama, oltre a bonus vari. Gli amministrativi possono andare in pensione anticipata con meno di 25 anni, con una cifra fino al 108 per cento dell’ultimo stipendio. I dipendenti a foglio paga della Regione raggiungono la cifra di 20.642 unità. A questi va aggiunto l’esercito dei precari che ogni mese riceve un assegno dalle casse regionali: lavoratori socialmente utili, lavoratori a progetto, forestali, dipendenti dalle Asl. Sommandoli agli impiegati si arriva alla cifra di  144.147. E’ il numero di stipendi che paga ogni mese Mamma Regione, più del doppio della Fiat, la maggiore industria italiana.
Per capirci: in Sicilia vi è un dipendente regionale ogni 239 abitanti, in Lombardia uno ogni 2.500 abitanti. Gli autori snocciolano dati e dati e a noi non resta che sdegno e sdegno. Ancora di più se si pensa alla Casta incollata al proprio cadreghino a Roma, che non dorme la notte pensando “al bene del Paese”.
   Mariolina Sardo
 
 La  zavorra – Sprechi e privilegi nello Stato libero di Sicilia
Enrico del Mercato - Emanuele Lauria – prefazione di Gian Antonio Stella – Laterza - pagg.156 – euro 14