Culture
Sanicola, puparo “eretico” di Marineo,
ricorda Nino Mancuso
04 settembre 2013 - 10:14 - Cultura & Arte
di Antonino Cangemi -
La
settimana scorsa ci ha lasciato Nino Mancuso, uno degli ultimi pupari
palermitani. A novembre avrebbe compiuto settantanove anni. La sua morte
ha suscitato tristezza e commozione in tutti gli appassionati della
cultura popolare siciliana (e sono tanti, più di quanto si creda) e in
chi con tenacia perpetua l’arte dei pupi.
Ho incontrato Onofrio Sanicola,
puparo “eretico” di Marineo noto per avere esportato l’opera dei pupi a
Milano innovandola con tecniche ed espedienti iconoclasti, per ricordare
il vecchio puparo scomparso.
Signor Sanicola, quando ha conosciuto Nino Mancuso?
“Quando la seconda guerra mondiale
stava per concludersi ci trovavamo sfollati a Marineo. Eravamo ragazzi.
Si faceva teatro, in quegli anni difficili, nella via Triolo. I Mancuso
regalavano un salutare divertimento e provvidenziali momenti d’evasione
con i pupi, con le storie di Orlando e Rinaldo”.
Una famiglia di pupari quella dei Mancuso, come nelle regole della tradizione ?
“Sì, famiglia numerosa i Mancuso.
Tutti avevano aiutato il cavaliere Mancuso, il padre, soprattutto Nino.
Stefano era un’autentica forza della natura, il più veloce e potente nel
rappresentare le battaglie. Pino era eccelso nel costruire i pupi,
aveva le mani d’oro, era capace di costruire un pupo finemente
arabescato in un paio di giorni”.
E Nino, si intuiva già allora, malgrado la giovane età, il suo talento?
“Nino era l’artista, il più
talentuoso di tutti anche se ragazzino. Conosceva come pochi la storia
dei paladini di Francia e, generoso, divulgava il suo sapere. Sono stato
ore e ore ad ascoltarlo, pendevo dalle sue labbra. Non si perdeva in
discussioni inutili, aspettava di capire quanto ne sapevi per poi
dialogare. Dopo che ci frequentammo un po’ mi regalò un’edizione
popolare dei paladini di Francia. Per me fu un dono indimenticabile,
anche per il significato che assumeva: venivo accettato, riconosciuto in
quel mondo fantastico dei pupari”.
Per lei quindi Nino Mancuso fu come un maestro?
“Un vero maestro. Ho appreso l’arte
da lui, tanto più che io non ero figlio di puparo. Nino muoveva i paggi
in modo impeccabile, prestava a loro la sua voce dal timbro forte e
incalzante benché ancora non matura, ma anche delicata, da adattare alle
figure femminili, e mi “rimproverava” se non usavo la cadenza dei
pupi”.
Aveva una tecnica particolare Nino Mancuso?
Era bravissimo. Quando doveva
entrare in scena un secondo pupo non fermava mai il primo, li faceva
parlare e muovere in contemporanea. Amava le scene cortesi e gli
brillavano gli occhi quando recitava: “Una dama non si colpisce nemmeno
con un fiore…”. Era un’anima ricca di sensibilità. Come ogni artista.
Lei però, signor Sanicola, è
stato un allievo un po’ discolo: ha violato la tradizione, ha fatto
emigrare i paladini a Milano e qualche volta persino in America, ha
fatto diventare pupi Alberto da Giussano, Federico II e altri personaggi
storici estranei al ciclo carolingio, ha rappresentato la passione di
Gesù e utilizzato scenografie innovative. Nino Mancuso gli ha perdonato
questi “tradimenti”?
“Mancuso ha accettato le mie
innovazioni. Il teatro dell’opera volgeva al tramonto e per farlo
accettare a un pubblico diverso da quello di un tempo occorreva
rivisitarlo. Io l’ho fatto. Ho avuto coraggio. Ma mi è stato ripagato
dal successo di critica e di cassa”.
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