di Antonino Cangemi -
La settimana scorsa ci ha lasciato Nino Mancuso, uno degli ultimi pupari palermitani. A novembre avrebbe compiuto settantanove anni. La sua morte ha suscitato tristezza e commozione in tutti gli appassionati della cultura popolare siciliana (e sono tanti, più di quanto si creda) e in chi con tenacia perpetua l’arte dei pupi.
Ho incontrato Onofrio Sanicola, puparo “eretico” di Marineo noto per avere esportato l’opera dei pupi a Milano innovandola con tecniche ed espedienti iconoclasti, per ricordare il vecchio puparo scomparso.
Signor Sanicola, quando ha conosciuto Nino Mancuso?
“Quando la seconda guerra mondiale stava per concludersi ci trovavamo sfollati a Marineo. Eravamo ragazzi. Si faceva teatro, in quegli anni difficili, nella via Triolo. I Mancuso regalavano un salutare divertimento e provvidenziali momenti d’evasione con i pupi, con le storie di Orlando e Rinaldo”.
Una famiglia di pupari quella dei Mancuso, come nelle regole della tradizione ?
“Sì, famiglia numerosa i Mancuso. Tutti avevano aiutato il cavaliere Mancuso, il padre, soprattutto Nino. Stefano era un’autentica forza della natura, il più veloce e potente nel rappresentare le battaglie. Pino era eccelso nel costruire i pupi, aveva le mani d’oro, era capace di costruire un pupo finemente arabescato in un paio di giorni”.
E Nino, si intuiva già allora, malgrado la giovane età, il suo talento?
“Nino era l’artista, il più talentuoso di tutti anche se ragazzino. Conosceva come pochi la storia dei paladini di Francia e, generoso, divulgava il suo sapere. Sono stato ore e ore ad ascoltarlo, pendevo dalle sue labbra. Non si perdeva in discussioni inutili, aspettava di capire quanto ne sapevi per poi dialogare. Dopo che ci frequentammo un po’ mi regalò un’edizione popolare dei paladini di Francia. Per me fu un dono indimenticabile, anche per il significato che assumeva: venivo accettato, riconosciuto in quel mondo fantastico dei pupari”.
Per lei quindi Nino Mancuso fu come un maestro?
“Un vero maestro. Ho appreso l’arte da lui, tanto più che io non ero figlio di puparo. Nino muoveva i paggi in modo impeccabile, prestava a loro la sua voce dal timbro forte e incalzante benché ancora non matura, ma anche delicata, da adattare alle figure femminili, e mi “rimproverava” se non usavo la cadenza dei pupi”.
Aveva una tecnica particolare Nino Mancuso?
Era bravissimo. Quando doveva entrare in scena un secondo pupo non fermava mai il primo, li faceva parlare e muovere in contemporanea. Amava le scene cortesi e gli brillavano gli occhi quando recitava: “Una dama non si colpisce nemmeno con un fiore…”. Era un’anima ricca di sensibilità. Come ogni artista.
Lei però, signor Sanicola, è stato un allievo un po’ discolo: ha violato la tradizione, ha fatto emigrare i paladini a Milano e qualche volta persino in America, ha fatto diventare pupi Alberto da Giussano, Federico II e altri personaggi storici estranei al ciclo carolingio, ha rappresentato la passione di Gesù e utilizzato scenografie innovative. Nino Mancuso gli ha perdonato questi “tradimenti”?
“Mancuso ha accettato le mie innovazioni. Il teatro dell’opera volgeva al tramonto e per farlo accettare a un pubblico diverso da quello di un tempo occorreva rivisitarlo. Io l’ho fatto. Ho avuto coraggio. Ma mi è stato ripagato dal successo di critica e di cassa”.