A proposito di Santuzzi
Sfogliando album contenenti santini o visitandone
esposizioni – eccellente quella che in questi giorni si svolge al Castello
Beccadelli – viene la tentazione di considerare le santuzze una testimonianza “ingenua” di una presunta fede
elementare propria degli “uomini semplici”, del popolo. Ma se vogliamo tentare
una lettura antropologica di quelle immaginette occorre ripercorrere gli
itinerari della pietà e della devozione popolare e tentare di comprendere le
strutture profonde che sottintendevano il rapporto tra “terreno” e
“trascendentale” del popolo.
Occorre partire dal ruolo sociale e culturale
attibuito ai Santi dalla Chiesa e dal popolo: la prima li considerava servi di
Dio, campioni di fede, modello di comportamento cristiano, straordinari esempi
di virtù morali e spirituali, intercessori tra “il cielo” e “la terra”, Dio e
il suo popolo; il secondo invece considerava il santo una “presenza” viva,
concreta, vicina ai bisogni immediati di ciascuno, sensibile alle preghiere ed alle
richieste personali, pronto a concedere conforto e guarigione dell’anima ma
ancor più del corpo, dispensatore di grazie e miracoli. Si poteva arrivare a
considerare il santo, più potente di Dio onnipotente.
Il Santo invocato dai ceti popolari dunque non aveva
funzione di tramite o di intercessione ma era funzionale al superamento delle
tante contingenze della vita, all’allontanamento da pericoli e paure, alla
guarigione dalle malattie e perfino alla propiziazione di eventi positivi –
primo tra tutti il raccolto nei campi frutto del lavoro di un intero anno.
Attraverso i le rappresentazioni stampate dei Santi
– le santine in particolare – il sentire popolare faceva “suo” il Santo ed anzi
ne selezionava quello più confacente ai suoi bisogni.
Avere dunque immagini sacre in casa ed ancor più
tenere addosso le immaginette dei Santi, conferiva a queste una funzione magico-protettiva:
l’efficacia di questa funzione si trasferiva dal Santo alla sua immagine
stampata, la stessa immagine veniva così sacralizzata.
Molto di frequente alle immagini dei Santi possedute
ed alla loro “chiamata in causa” si affiancavano delle orazioni e delle
preghiere particolari, funzionali alla richiesta di “aiuto”. E sempre con
l’utilizzo di immagini devozionali si “ringraziavano” i Santi per le grazie
concesse: era il caso degli ex-voto.
I comportamenti popolari erano in buona fede: i popolani agivano nella intima convinzione di interpretare in modo corretto il Cristianesimo e non pensavano minimamenti di recare offese a Dio. Si sentivano a pieno titolo “veri cristiani” e nella maggior parte dei casi lo erano.
Ma il bisogno di avere qualcuno “potente” vicino, di
poterlo sentire padre, fratello, amico, confidente, costituiva attrazione
recante sicurezza, tranquillità, speranza.
E quale modo migliore di avere vicino un Santo che
quello di tenerlo in casa o di averlo “addosso”? Non sorridiamo di ciò:
pensiamo a quanti di noi portano con sé in viaggio le immagini dei Santi cari,
le tengono sull’automobile, nei cassetti e sulle pareti di casa o in piccole
miniature appese al collo.
Il fatto è che la Chiesa cattolica già a partire dal
1300 aveva individuato una strategia mediatica efficacissima per divulgare il
messaggio di Gesù Cristo e per evangelizzare le comunità composte per la
totalità da persone analfabete: raggiungere queste moltitudini attraverso le
predicazioni, le sacre rappresentazioni e le immagini devozionali. La “parola”
dei predicatori raccontava efficacemente il messaggio cristiano; le sacre
rappresentazioni facevano rivivere le vicende della Morte e Passione di Gesù o
del martirio dei Santi – La Dimustranza ad esempio – caricando i messaggi
inviati di forte potere emozionale; le immagini sacre – miniature, dipinti,
stampe, santini – raggiungevano gli occhi della gente ed entravano di
prepotenza nella loro mente e nel loro cuore.
I santiti addirittura venivano presi in consegna
“personalmente”, tenuti con se in una intimità rassicurante, sentiti come mezzo
efficace per realizzare la fede Cristiana.
Rassicurati peraltro dal fatto che la Chiesa stessa aveva
riconosciuto e consentito l’utilizzo delle immagini sacre per facilitare la
comprensione del messaggio cristiano ed avvicinare i credenti a Dio: lo aveva
proclamato perfino in un Concilio.
Franco Vitali
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