Prima
di andare a vedere le foto di JAN Sebik bisogna prepararsi bene. E’ come quando
vai a vedere un film sull’olocausto. Ti sembrano film di fatascienza … Pensare
che degli esseri umani possano commettere simili atrocità ti pare incredibile.
Se poi pensate che esistono alcuni che differenziano le vittime di qualsiasi atrocità,
siamo alle porte del manicomio. Ho incontrato la fotografia ceca negli anni
settanta quando ogni boemo teneva in casa un libro di fotografie come noi
teniamo la bibbia o il Vangelo. Erano veri maestri e sapevano cogliere spunti e
angoli meravigliosi dove tu ti riconoscevi e conoscevi ciò che vedevi. Ora se
lo scopo era gratificare questo fotografo che almeno da 30 anni gira il mondo
in cerca di atrocità lo scopo è stato raggiunto. Si va dalle varie carestie
(Sudan, Etiopia, Somnalia), alle guerre in Angola, Kosovo e Palestina Sierra Leone,
Afgahanistan , Iraq, Ukraina. Abituati a reportage che ti mostrano Cattedrali,
panorami, monumenti fai fatica ad “ammirare” corpi squartati, bambini mutilati,
donne violate, masse di affamati, vittime di bombe e bombardamenti. Credo che a
Jan Sibik non ne sia sfuggito uno ! Persino l’epidemia di AIDS in Ucraina
diventa soggetto di mostra.
Gli spazi dedicati all'Ukraina |
Si sono alternati il Sovrano Ordine di Malta, l’Ambasciatore
della Repubblica Ceca in Vaticano (scusi perché usa l’inglese visto che gli
inglesi stanno per uscire dalla Comunità Europea ?) l’addetto Culturale
(freschissima mamma) e a “latere” il Console Giorgio Franco Aletti cui evidentemente il tema non è piaciuto molto.
Ora porsi la domanda cosa pensasse Jan Sebik mentre fotografava il frutto della
cattiveria dell’uomo non mi è stato possibile saperlo. Forse dovrò andare a
Istambul per incontrarlo seguendo la prossima tappa della mostra . …
Ai
miei amici indigeni che ci tempestano di foto autoincensandosi suggerisco di
verificare quanto sopra sulla fotografia ceca. E da li partire per fare un
corso…
C’è
tempo fino al 10 maggio per visitare la mostra nei locali del Consolato. Il
titolo ci suona familiare. “Il diavolo dentro di noi”. Che parafrasando
somiglia al nostro “Il diavolo è pagato per fare il suo sporco lavoro”.
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