martedì 28 giugno 2011

SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI


Santi Pietro e Paolo Apostoli
m. 67 d.C.


Il 29 di giugno la Chiesa commemora la solennità liturgica degli Apostoli:

PIETRO
Pietro, scelto da Cristo a fondamento dell'edificio ecclesiale, clavigero del regno dei cieli (Mt 16,13-19), pastore del gregge santo (Gv 21,15-17), confermatore dei fratelli (Lc 22,32), è nella sua persona e nei suoi successori il segno visibile dell'unità e della comunione nella fede e nella carità. Gli apostoli Pietro e Paolo sigillarono con il martirio a Roma, verso l'anno 67, la loro testimonianza al Maestro.

PAOLO
Paolo, cooptato nel collegio apostolico dal Cristo stesso sulla via di Damasco, strumento eletto per portare il suo nome davanti ai popoli, è il più grande missionario di tutti tempi, l'avvocato dei pagani, l'apostolo delle genti, colui che insieme a Pietro far risuonare il messaggio evangelico nel mondo mediterraneo. Gli apostoli Pietro e Paolo sigillarono con il martirio a Roma, verso l'anno 67, la loro testimonianza al Maestro

Chi avesse letto il percorso degli archeologhi cristiani alla ricerca delle ossa di Pietro non pùo non aver subito un emozione fortissima. “Queste sono le ossa di Pietro “ era scritto nella cassetta trovata proprio sotto l’altare in vaticano dove si ritiene avesse subito il martirio. Basta andare alle paoline e con pochi spiccioli uno può rivivere una sensazione che nessun film americano potrà mai darti. Divenuto primo fra i pari non tutti furono d'accordo e questo è purtroppo il più grosso ostacolo fra noi e i fratelli ortodossi ancora oggi.

Di  Paolo se non fosse per la sua sterminata sapienza diffiderei sempre. Basta ricordare i primi cristiani quando allarmati e scettici dissero : Alt questo è quel Saulo… e Pietro con parole e lettere a dire che cambiare , grazie a Dio si può.
Una volta mi misi ad inseguire i luoghi paolini fuori della terra santa. Dalla colonna di Cipro dove Paolo e Barnaba furono legati, a Filippi nella cella di Paolo , in Grecia dove pronunziò il bellissimo discorso “al Dio ignoto” sull’aeropago” a decine di piccoli luoghi sino a San Paolo fuori le mura nella maestosa basilica, dove gli arabi intorno al mille sparsero per terra le sue ossa profanando la sua tomba e Roma stessa.
Spero un giorno anch’io di essere fulminato sulla via di Damasco e ricredermi totalmente su San Paolo.
A Marineo  ricordiamo San Pietro con il rito delle chiavi.
Ma questa è un'altra storia e dovete farvela raccontare da Franco Vitale.  

LA CHIESA DEL SILENZIO

Beati 25 Martiri Greco-Cattolici Ucraini

Mykola Konrad
Sacerdote, Strusiv, Ucraina, 16 maggio 1876 – Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941
Mykola Konrad nacque il 16 maggio 1876 nel villaggio ucraino di Strusiv, nella regione di Ternopil. Compì i suoi studi teologici e filosofici a Roma. Nel 1899 ricevette l’ordinazione presbiterale, quale sacerdote diocesano dell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini, e conseguì il dottorato. Iniziò allora ad insegnare nelle scuole superiori di Berezhany e Terebovlia, finchè nel 1930 il metropolita André Sheptytsky non lo invitò ad insegnare all’Accademia teologica di Lviv. In seguito il vescovo affidò alle sue cure pastorali la parrocchia del villaggio di Stradch.

Volodymyr Pryjma
laico,padre,di famiglia ,Stradch, Ucraina, 17 luglio 1906 - Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941
Unico laico tra i nuovi beati martiri ucraini, Volodymyr Pryjma nacque il 17 luglio 1906 nel villaggio di Stradch, nella regione ucraina di Yavoriv. Padre di famiglia, dopo aver ottenuto un diploma in una scuola di canto patrocinata dal metropolita Sheptytsky, divenne cantore e poi direttore del coro della parrocchia di Stradch, ove era appunto parroco Mykola Konrad.
Il 26 giugno 1941 i due si recarono in visita ad un parrocchiano gravemente malato, che aveva richiesto gli ultimi racramenti. Erano ormai di ritorno quando, di passaggio nel vicino bosco di Birok, furono torturati senza pietà e messi a morte da alcuni agenti del NKVD.
Mykola Konrad e Volodymyr Pryjma fu rono beatificati da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 23 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.

Papa Giovanni Paolo II durante il suo lungo pontificato haricordato ai cattolici di tutto il mondo come la fede cristiana siasempre stata alimenta nel corso dei secoli dal sangue dei martiri,che come diceva Sant’Agostino si è sempre rivelato“seme di nuovi cristiani”. Questa realtà haraggiunto nel corso del XX secolo una dimensione veramenteuniversale, in quanto in ogni angolo del pianeta almeno qualchecristiano è stato ucciso in odio al suo credere in GesùCristo. In Russia con la rivoluzione bolscevica cadde il vecchio imperozarista e nacque l’Unione Sovietica governata da un regimecomunista. In un clima di profonda ostilità verso la religioneuna schiera innumerevole di cristiani fu chiamata a testimoniare sinoall’effusione del sangue la fede cristiana. Per quanto riguardala Chiesa Ortodossa Russa, maggioritaria nel paese, a partire del2000 sono state celebrate le canonizzazioni di oltre un migliaio dimartiri di quel periodo, capeggiati dall’ultimo zar Nicola II edalla sua famiglia. Giovanni Paolo II volle onorare la passionedell’ortodossia russa includendo la granduchessa SantaElisabetta Fedorovna nel grande mosaico della cappella vaticanaRedemptoris Mater.
Anche da parte catolica non sono comunque mancati i martiri in talefrangente storico ed il Sommo Pontefice suddetto, durante la suavisita apostolica in Ucraina, nazione nata dalla dissoluzionedell’Unione Sovietica, volle beatificare in data 27 giugno 2001una schiera di 25 martiri della Chiesa greco-cattolica ucraina, lacosiddetta “Chiesa del silenzio”, eroici testimoni dellafedeltà a Dio in un’epoca di persecuzione per la fede daparte del comunismo. La denominazione ufficiale del gruppo inoccasione del rito di beatificazione fu “Mykolay Charneckyj e 24compagni” e era composto di 8 Vescovi, 6 sacerdoti diocesani, 7sacerdoti religiosi, 3 suore ed un solo laico. Il nuovo MartyrologiumRomanum commemora ciascuno di essi in date diverse, nei rispettivianniversari della loro morte. Tra di essi non mancano anche dei preticoniugati e padri di famiglia, come da tradizione nelle ChieseOrientali, anche cattoliche. Il primo di essi in ordine di decesso,Leonid Fedorov, era in realtà di nazionalità russa enon ucraina, ma la sua causa di beatificazione, iniziata per prima,fu poi aggregata a questo gruppo in quanto a quel tempo anchel’odierna Russia dipendeva dal metropolita con sede a Lvivnell’odierna Ucraina.
Sempre nella medesima occasione Giovanni Paolo II beatificòanche il vescovo Teodoro Romza ed il sacerdote Omeljan Kovc,anch’essi martiri greco-cattolici, senza però includerlinell’elenco del gruppo suddetto.
La Chiesa Cattolica ha inoltre iniziato altre cause relative amartiri del regime comunista nell’ex Unione Sovietica: il gruppoucraino “Pietro Mekelyta e 47 compagni”, del quale fannoparte anche il sacerdote Anatolii Hurhula e sua moglie Irina Durbak,ed i russi “Eduard Profitlich e 15 compagni”.
Ecco l’elenco dei 25 martiri greco-cattolici ucraini beatificatida Giovanni Paolo II nel 2001:

Mykolay Charneckyj, Vescovo, 2 aprile
Hryhorij Khomysyn, Vescovo, 28 dicembre
Josafat Kocylovskyj, Vescovo, 17 novembre
Symeon Lukac, Vescovo, 22 agosto
Vasyl Velyckovskyj, Vescovo, 30 giugno
Ivan Slezyuk, Vescovo, 2 dicembre
Mykyta Budka, Vescovo, 28 settembre
Hryhorij Lakota, Vescovo, 5 novembre
Leonid Fedorov, Sacerdote, 7 marzo
Mykola Konrad, Sacerdote, 26 giugno
Andrij Iscak, Sacerdote, 26 giugno
Roman Lysko, Sacerdote, 14 ottobre
Mykola Cehelskyj, Sacerdote, 25 maggio
Petro Verhun, Sacerdote, 7 febbraio
Oleksa Zaryckyj, Sacerdote, 30 ottobre
Klymentij Septyckyj, Sacerdote, 1 maggio
Severijan Baranyk, Sacerdote, 28 giugno
Jakym Senkivskyj, Sacerdote, 28 giugno
Zynovij Kovalyk, Sacerdote, 30 giugno
Vitalij Volodymyr Bajrak, Sacerdote, 16 maggio
Ivan Ziatyk, Sacerdote, 17 maggio
Tarsykia (Olha) Mackiv, Suora, 18 luglio
Olympia (Olha) Bidà, Suora, 28 gennaio
Laurentia (Leukadia) Harasymiv, Suora, 26 agosto
Volodymyr Pryjma, Laico, 26 giugno

lunedì 27 giugno 2011

LA EX INFIORATA

Non son tutti fiori quelli che luccicano

Dopo l’esperienza dello scorso anno avrei dovuto imparare che certi eventi religiosi non si toccano. Mi sono attirato tante antipatie ma ricordandomi della teoria ”non far capire al tuo nemico che sei rimasto male, sorridi e salutalo, sii superiore” sono andato in giro raccogliendo sorrisi acidi e saluti stentati.  E’stato interessante osservare i preparativi. Scatoloni e sacchi di materiale a non finire, gessi usati come sinopie per guidare gli artisti. Abbozzi e dime a non finire. Alla fine molti sono veri artisti. Legno trucciolare colorato in rosso, blu, verde e cosi via, tanta sabbia, caffè smesso a tonnellate, segatura di tutti i colori, persino alluminio macinato, grano, avena e qui mi fermo. E i fiori? Si c’erano anche quelli. I bracconieri dei petali non si sono arresi. Se girate per i campi attorno a Marineo e dintorni non troverete un fiore appeso allo stelo. Braccati e recisi senza pietà. Conservati al fresco e in frigo, nei freezer e nei garage più umidi.  Dobbiamo trovare un altro nome a questa manifestazione vista la quasi scomparsa dei fiori. Alla gente piace dall’inizio alla fine. La doppia pagina del Giornale di Sicilia ha portato molta gente da fuori. Me ne sono accorto dalla mancanza di belle donne. Simpatiche vecchie coppie girano seguendo il percorso. Una di queste si siede accanto a me e mi chiede dove poter comprare il famoso pane di Marineo. Abitano a Palermo ma sono originari di Caltanissetta o meglio di Mussumeli. Come per il presepe vivente nessuno si è occupato del “ritorno’. L’unico è Namio che dimostra carattere fermo e attitudine commerciale. I panettieri che avrebbero potuto a spese  loro allestire un gazebo per vendere pane erano troppo preoccupati a fare prove di grida a tutte le ore e nelle ore di riposo. Salvo la faccia dicendo “guardi tornando a Palermo sulla strada ci sono almeno dieci panetterie…”
Namio e Muratore fanno il pieno, la torrefazione chiude perché … Quando le creazioni cominciano a prendere forma decido di andare a dormire. Mi sveglio grazie alle cortesie di Claudio Pesco che mi ha inviato i soliti dieci tammurinari sotto casa che dopo gli allenamenti alle 9 in punto suonano la carica. Apro la posta e trovo 9 messaggi indirizzati al gestore di altro blog con tutte le foto della infiorata. La sua preoccupazione e quella che si sappia subito il suo titolo di studio e il fatto che queste foto siano state fatte alle sette del mattino… Non capisco perché le indirizza a me se sono intestate ad altro blog. Mi immetto nel Corso dei Mille per ammirare i lavori e mi imbatto in cumuli di immondizia.  Marineo, capitale quasi nazionale della indifferenziata non può farci questo scherzo. Tutto il percorso disseminato di cartacce, cartoni di fiori, rifiuti, sacchi neri, plastiche che la gente man mano ha aggiunto. Incrocio il parroco: Onofrio è uno schifo! Chiama qualcuno! Scusi ma proprio io non posso. Mi esoneri da questo. E’ lei che è fotografato nel giornale con la nostra massima autorità. Si, continua il parroco, ma non mi risponde. Alla fine si trova un interlocutore. E’ quel solito gruppetto che è dappertutto e che ci salva la faccia. In un’ora spariscono le indifferenziate. Se per caso vai a curiosare, noti che i nostri volontari hanno quasi ben sistemato i resti ma i resti erano davvero tanti. Una quantità enorme di gialli abbandonati di lato ad un enorme calice giallo fatto in onore della congregazione del SS. Sacramento, nero a non finire accanto all’immagine di Padre Trentacosti, oleandri di tutti i colori non mancano in nessuna parte e sembrano aiuole lungo il corso. La gente (turisti compresi) era già lì di buon’ora e noi iniziamo a precisare che i lavori sono finiti appena adesso e quindi la squadra rifiuti aveva appena iniziato.  Bella serata. Non per me. Guardato a vista ogni volta che passo  si aggiustano abbigliamento e altro come per nascondersi. Addirittura una mamma trattiene la figlia dal salutarmi per astio e questo mentre il marito mi saluta. Una signora mi sorride informandosi della mia salute mentre il marito si dichiara ipocrita. Alloro, non la pianta, mi invita ad entrare e mi allontano ringraziando prima che venga contagiato. Incontro una coppia di artisti da cui aspettavo critiche feroci ed invece hanno solo espressioni delicate, sincere.  Il parroco è dappertutto. Come faccia lo sa solo lui. Da tre giorni predica ad un popolo di dura cervice trovando sempre parole nuove. Ha preteso un “quadro” su San Giorgio. Ogni tanto ritorna a galla questo problema. Perché non ci dice apertamente che San Ciro è vecchio e decaduto.Si  inizi a cambiare il nome alla Congregazione aggiungendo quello di San Giorgio più giovane e attuale.



Ps Non posso fare a meno di omaggiare il motore di tutto questo. Questo ragazzo, musicista eccellente, pregiato grafico, pacato nei giudici, afono perché non l’ho mai sentito gridare, organizzatore eccellente, infaticabile, non svia un passo dal suo programma, dirige la sua congregazione come si deve ad una congregazione religiosa e non ad un circolo di “padri padroni”. Bravo Claudio Pesco. Ora ti prego, caro Pesco, ogni tanto varia il programma. C’è chi pensa che due zampilli in più sono una genialità e non una trovata   Di sisi e sasa siamo stufi, le bande sono usate male meglio in palco con sedie insomma se ti capita leggi il programma dello scorso anno è identico.


domenica 26 giugno 2011

San Josemaria Escrivá de Balaguer Sacerdote, Fondatore dell'Opus Dei 26 giugno

                                                                           OPUS DEI
Festeggiamo la ricorrenza del santo fondatore dell’Opus Dei.
Santificato fra innumerevoli polemiche. Non sappiamo da cosa parte questo astio dei mas-media verso l’Opus Dei e il suo santo fondatore. Se poi aggiungiamo il film sull’Opus Dei,Il Codice da Vinci, arriviamo al massimo dell’insulto. Che l’associazione presti il fianco a male interpretazioni con atteggiamenti troppo settari e qualche volta peggio è risaputo. Pregano sempre in delle cantine che sembrano i “beati Paoli”, hanno atteggiamenti misteriosi, con inchini e silenzi, hanno una rete di collegamenti tipo Associazione Misteriosa, più o meno come la P2 e cose del genere. Fra di loro si nominano personaggi famosi in posti prestigiosi come ad indicare fonti di potere. La scuola è la cosa più seria anche se qualche volta inquietante. Bellissima l’idea del Tutor. C’è un professore che ha un rapporto diretto con tuo figlio aprendo un dialogo personale. Un vero Tutor. Assurda  la separazione fra maschi e femmine, il che aumenta nei ragazzi interessi morbosi . I ragazzi in pratica sono il massimo risultato di genitori incapaci di educare i figli . La parola viziati non è esaustiva.
Poi ci sono una sterminata serie di incontri convegni gruppi e cosi via che raramente raggiungono lo scopo di amalgamare figli e famiglie con il risultato di aumentare le peculiarità di genitori deboli e convinti di avere figli super. Il corpo insegnate è preparatissimo ma timoroso di qualsiasi novità e autorità interna. Le ragazze sono inavvicinabili arroganti e convinte di non aver bisogno di nulla. I maschi sono insicuri e timorosi della qualsiasi, appena lontani dalla scuola o dai genitori. Negli ultimi anni, a seguito degli attacchi subiti molte cose sono cambiate  non sappiamo cosa presupponendo che” la famiglia tipo” che porta i figli nelle loro scuole è tipica ed immutabile.
 
Avvincente e romantica è la storia di questo santo sacerdote a noi contemporaneo. Nato a Barbastro, in Spagna, il 9 gennaio 1902 in una famiglia profondamente religiosa, all’età di 13 anni si trasferisce a Logroño. Qui avrebbe dovuto lavorare nell’impresa del padre, ma la sua vita ebbe una svolta: dopo aver visto sulla neve le orme dei piedi nudi di un carmelitano scalzo, intuì che Dio voleva qualcosa da lui, pensò che avrebbe potuto scoprirlo più facilmente se si fosse fatto sacerdote. il 28 marzo del 1925 fu ordinato sacerdote e, dopo aver fatto il parroco in campagna e poi a Saragozza si trasferì a Madrid. L’arcivescovo, persuaso dalla grande generosità di Josè Maria,  nel 1927 acconsente che questi si trasferisca a Madrid per esercitare il lavoro sacerdotale tra la gente. Escrivà ripaga la fiducia del suo vescovo producendosi in una febbrile attività di apostolato. Il giovane sacerdote  si distingue per la sua grande capacità di saper frequentare con la stessa naturalezza i ricchi e i povei. Si dedica con grande amore ai disperati e ai malati incurabili, che segue quotidianamente negli ospedali della capitale spagnola.  “Il 2 ottobre 1928, festa dei santi angeli custodi – ricordò una volta mons. Escrivà – il Signore volle che venisse alla luce l’Opus Dei, una mobilitazione di cristiani disposti a sacrificarsi con gioia per gli altri, a rendere divini tutti i cammini umani della terra, santificando ogni lavoro retto, ogni lavoro onesto, ogni occupazione terrena”.  Da quel momento don José si dedica anima e corpo al compito dell’Opus Dei: far sì che uomini e donne di tutti gli ambienti sociali si impegnino a seguire Cristo, amare il prossimo e cercare la santità nella vita quotidiana. Nel 1933 apre un’accademia universitaria, convinto che scienza e cultura rappresentino un punto nevralgico per l’evangelizzazione dell’intera società. Nel 1934 pubblica con il titolo di “Consideraciones espirituales”, la prima edizione di Cammino, un libro di spiritualità, del quale sono stati pubblicate oltre cinque milioni di copie, con 372 edizioni in 44 lingue. Evidentemente a Roma giungono i clamori e la solidità del lavoro apostolico svolto in Spagna da Escrivà. Così nel 1946, il sacerdote di Barbastro si trasferisce nel centro del Cattolicesimo. Qui conferma la bontà della sua attività e, producendosi in un’impressionante attività dottrinale, assicurando  all’Opera una credibilità e un rispetto internazionali.
Josémaria Escrivà aveva una fede enorme nel suo Angelo Custode, che gli ha reso immensi servizi, tra cui quello di salvargli la vita. Notiamo che la fondazione dell’Opus Dei ha avuto luogo il 2 ottobre 1928, festa dei Santi Angeli Custodi. Josémaria vi ha visto una manifestazione della divina Provvidenza.
Lui stesso, trovandosi in strada, durante la guerra civile spagnola, è aggredito da uno sconosciuto, in pieno giorno, alle tre del pomeriggio. Preso alla gola, egli è liberato da un ragazzo, altrettanto sconosciuto, che gli mormora in un orecchio “asinello, asinello”. Solo Dio ed il suo confessore conoscono questo modo che egli aveva di designare se stesso nella sua preghiera. Il fondatore attribuì questo attacco ad un’azione diabolica, e la difesa al suo Angelo Custode.
Quando entrava in una stanza, si spostava in modo impercettibile per lasciar passare dapprima il suo Angelo Custode, e salutava sempre anche l’Angelo Custode delle persone che incontrava. Ricevendo un giorno un vescovo suo amico, accompagnato dal suo segretario, gli chiese: “Indovinate chi ho salutato per primo”. L’arcivescovo rispose: “Me”. “No. Ho salutato dapprima il personaggio”. “Ma, riprese il prelato, tra il mio segretario ed io, il personaggio sono io”. San Josémaria rispose: “No, il personaggio è il vostro Angelo Custode”.
Trovandosi in una estrema povertà, e non avendo i mezzi per far riparare il suo orologio, Josémaria si affidò al suo Angelo custode per risvegliarlo all’ora. Egli si è sempre mostrato puntuale, ed era come se giungesse a toccare Josémaria sul fianco. Questi lo chiamava di colpo “il mio piccolo orologiaio”.
Egli aveva l’abitudine di consacrare il martedì a pregare il suo Angelo Custode, e tutti gli altri Angeli Custodi. Parlando un giorno della piccola Teresa, egli diceva: “Ella ha ottenuto che il mio Angelo Custode mi insegni oggi a fare una preghiera d’infanzia”.
Ai membri dell’Opus Dei diceva: “Tutti noi abbiamo bisogno di una compagnia: la compagnia del cielo  e quella della terra. Onorate i santi angeli! La memoria degli angeli custodi è anche una festa dell’umiltà, perché in un’amorosa umiltà queste potenze celesti compiono la volontà di Dio e soltanto un’umiltà “infantile” cioè davvero semplice permette agli uomini di affidarsi ad essi”. Il santo era devotissimo ai tre santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. Riguardo all’arcangelo “Medicina di Dio” egli scrisse: “Ridi perché ti dico che hai “vocazione matrimoniale”? – Ebbene, l’hai: proprio così, vocazione. Raccomandati a san Raffaele, che ti guidi, come guidò Tobia, casto sino alla fine del cammino”. (Cammino n° 27). Ed ancora: “Come ridevi, schiettamente, quando ti consigliai di porre i tuoi verdi anni sotto la protezione di san Raffaele! Perché ti conduca, come il giovane Tobia, a un matrimonio santo, con una moglie buona, bella e ricca – gli dissi scherzando. E poi, come sei rimasto pensoso, quando aggiunsi il consiglio di metterti anche sotto il patrocinio dell’apostolo adolescente, Giovanni: semmai il Signore ti chiedesse di più“ (Cammino 360); ed infine: “Quella trepidazione del tuo spirito, la tentazione che ti avvolge, è come una benda sugli occhi della tua anima. Sei al buio. Non ostinarti a camminare da solo, perché, da solo, cadrai. – Va dal tuo Direttore – dal tuo superiore – ed egli farà sì che tu avverta quelle parole dell’arcangelo Raffaele a Tobia: “Forti animo esto, in proximo est ut a Deo cureris” – Coraggio, Dio presto ti guarirà. – Sii  obbediente, e cadranno le squame, cadrà la benda dai tuoi occhi, e Dio ti colmerà di grazia e di pace” (Cammino n° 715).
Escrivà morirà a Roma il 26 giugno 1975, pianto da oltre 60mila fedeli dell’Opus Dei, distribuiti in 80 nazioni. Il suo corpo riposa a Roma, tumulato all’interno di una cripta della chiesa di S. Maria della ede centrale della Prelatura dell’Opus dei. Papa Giovanni Paolo II lo dichiara beato alla presenza di 300mila fedeli e lo canonizza il 6 ottobre 2002: “Scelto dal Signore – disse papa Wojtila – per annunciare la chiamata universale alla santità e per indicare che la vita di tutti i giorni, le attività comuni, sono cammino di santificazione. Si potrebbe dire che egli fu il santo dell’ordinario”!

sabato 25 giugno 2011

LA STORIA DELLA FESTIVITà DEL CORPUS DOMINI



La festività del Corpus Domini ha una origine più recente di quanto sembri. La solennità cattolica del Corpus Domini (Corpo del Signore) chiude il ciclo delle feste del dopo Pasqua e vuole celebrare il mistero dell'Eucaristia ed è stata istituita grazie ad una suora che nel 1246 per prima volle celebrare il mistero dell'Eucaristia in una festa slegata dal clima di mestizia e lutto della Settimana Santa. Il suo vescovo approvò l'idea e la celebrazione dell'Eucaristia divenne una festa per tutto il compartimento di Liegi, dove il convento della suora si trovava.
In realtà la festa posa le sue radici nell’ambiente fervoroso della Gallia belgica - che San Francesco chiamava amica Corporis Domini - e in particolare grazie alle rivelazioni della Beata Giuliana di Retìne. Nel 1208 la beata Giuliana, priora nel Monastero di Monte Cornelio presso Liegi, vide durante un'estasi il disco lunare risplendente di luce candida, deformato però da un lato da una linea rimasta in ombra, da Dio intese che quella visione significava la Chiesa del suo tempo che ancora mancava di una solennità in onore del SS. Sacramento. Il direttore spirituale della beata, il Canonico di Liegi Giovanni di Lausanne, ottenuto il giudizio favorevole di parecchi teologi in merito alla suddetta visione, presentò al vescovo la richiesta di introdurre nella diocesi una festa in onore del Corpus Domini.

La richiesta fu accolta nel 1246 e venne fissata la data del giovedì dopo l'ottava della Trinità. Più tardi, nel 1262 salì al soglio pontificio, col nome di Urbano IV, l'antico arcidiacono di Liegi e confidente della beata Giuliana, Giacomo Pantaleone. Ed è a Bolsena, proprio nel Viterbese, la terra dove è stata aperta la causa suddetta che in giugno, per tradizione si tiene la festa del Corpus Domini a ricordo di un particolare miracolo eucaristico avvenuto nel 1263, che conosciamo sin dai primi anni della nostra formazione cristiana. Infatti, ci è raccontato che un prete boemo, in pellegrinaggio verso Roma, si fermò a dir messa a Bolsena ed al momento dell'Eucarestia, nello spezzare l'ostia consacrata, fu pervaso dal dubbio che essa contenesse veramente il corpo di Cristo. A fugare i suoi dubbi, dall'ostia uscirono allora alcune gocce di sangue che macchiarono il bianco corporale di lino liturgico (attualmente conservato nel Duomo di Orvieto) e alcune pietre dell'altare tuttora custodite in preziose teche presso la basilica di Santa Cristina.

Venuto a conoscenza dell'accaduto Papa Urbano IV istituì ufficialmente la festa del Corpus Domini estendendola dalla circoscrizione di Liegi a tutta la cristianità. La data della sua celebrazione fu fissata nel giovedì seguente la prima domenica dopo la Pentecoste (60 giorni dopo Pasqua). Così, l'11 Agosto 1264 il Papa promulgò la Bolla "Transiturus" che istituiva per tutta la cristianità la Festa del Corpus Domini dalla città che fino allora era stata infestata dai Patarini neganti il Sacramerito dell'Eucaristia. Già qualche settimana prima di promulgare questo importante atto - il 19 Giugno - lo stesso Pontefice aveva preso parte, assieme a numerosissimi Cardinali e prelati venuti da ogni luogo e ad una moltitudine di fedeli, ad una solenne processione con la quale il sacro lino macchiato del sangue di Cristo era stato recato per le vie della città. Da allora, ogni anno in Orvieto, la domenica successiva alla festività del Corpus Domini, il Corporale del Miracolo di Bolsena, racchiuso in un prezioso reliquiario, viene portato processionalmente per le strade cittadine seguendo il percorso che tocca tutti i quartieri e tutti i luoghi più significativi della città.

In seguito la popolarità della festa crebbe grazie al Concilio di Trento, si diffusero le processioni eucaristiche e il culto del Santissimo Sacramento al di fuori della Messa. Se nella Solennità del Giovedì Santo la Chiesa guarda all'Istituzione dell'Eucaristia, scrutando il mistero di Cristo che ci amò sino alla fine donando se stesso in cibo e sigillando il nuovo Patto nel suo Sangue, nel giorno del Corpus Domini l'attenzione si sposta sull'intima relazione esistente fra Eucaristia e Chiesa, fra il Corpo del Signore e il suo Corpo Mistico. Le processioni e le adorazioni prolungate celebrate in questa solennità, manifestano pubblicamente la fede del popolo cristiano in questo Sacramento. In esso la Chiesa trova la sorgente del suo esistere e della sua comunione con Cristo, Presente nell'Eucaristia in Corpo Sangue anima e Divinità.

ANNA MARIA FU STRANGOLATA ?

Dal terreno sbucava un braccio proteso verso l’alto. I tre ragazzi che giocavano lì, appena lo videro corsero fino a casa ad avvisare i genitori che alquanto scettici si recarono nel luogo e temendo la “giustizia” si preoccuparono di circoscrivere il fatto. Fu tutto inutile e cosi si riesumò il corpo che ad un primo esame diede risultati sconcertanti. Corpo di giovane donna di circa 30-35 anni, alta 1,60 capelli castani chiari anche se staccati dalla testa, avanzato stato di decomposizione, testa quasi staccata dal corpo, cerchio attorno al collo che supponeva strangolamento, occhi fuori dalle orbite, lingua fuori dalla bocca. Infine incinta di sei mesi.
Sotterrata e non sepolta frettolosamente.
Cosi fu rinvenuto il corpo di Anna Maria del Gesù il 10 Agosto del 1849.
Era morta il 4 agosto del 1849 all’età di 28 anni. Erano le ore 19.45 mentre la campanella suonava l’Ave Maria.
Accompagnato da alcuni barcaioli nella notte, attraversato il fiume Reno, giunsero alla cascina dei Roncaglia a Mandriole. Era con lui il fedele Leggero. Maria Giuseppe la teneva fra le braccia, la portò al primo piano e la stese su un rozzo canapè. Il canapè è rimasto dove era allora vuoto triste e misero. Alla parete è appesa una pagina della rievocazione del Corriere della sera che riproduce la triste scena. Ho dato diecimila lire al fattore affinché mi facesse visitare la stanza. Avevo già visto una diecina fra cippi, lapidi e capanni. Un doveroso pellegrinaggio.
Si eseguì l’autopsia di Anna Maria. Tutti i segni sottolineavano un frettoloso strangolamento.
Il corpo fu dissotterrato e grazie alla disponibilità del parroco di Mandriole se ne raccolsero i resti e sepolti nella chiesetta in luogo camuffato. Fu celebrata una messa.
Maria Giuseppe aveva intuito anche nella disperazione.Sapeva che anche un minimo ritardo lo avrebbero catturato. Anna Maria aveva chiesto un bicchiere d’acqua e subito dopo spirò fra le braccia del marito disperato. Nel dolore si era tradito rivelando a tutti chi fosse realmente. Si disperava, inveiva e così tutti gli astanti lo riconobbero. Si raccomandò affinché le spoglie della sua Anna Maria venissero protette e conservate perché sarebbe ritornato!
Amici fidati lo guidarono sino a Sant’Alberto, ripassò il Reno e sparì.
La polizia, il prefetto furono solerti. Seguirono le voci emisero decreti. Ci volle del tempo ma fu dura smantellare le dicerie. Fu Maria Giuseppe a strangolarla ? O furono i contadini pensando che nella sua borsa ci fossero valori. I contadini, messo il corpo su un carroccio, nascosto dal fieno per paura della polizia, arrivarono vicino una fossa dove lo gettarono. Gli avevano legato una corda al collo affinché non cadesse, poi la testa penzoloni, il rigor mortis, insomma la posizione del cadavere creò quei presupposti che portarono alla teoria dello strangolamento.
Poi Maria Giuseppe venne a ritirarne il corpo come aveva promesso accompagnato dai figli.
Ora se percorrete la Romea da Ravenna a Venezia a dieci chilometri da Ravenna si trova Mandriole, piccola località dentro il grande cerchio che le memorie care a tutti gli Italiani.
Maria Giuseppe Garibaldi avrebbe voluto le spoglie della sua sposa, Anna Maria del Gesù Ribeiro detta Anita in Garibaldi, a Caprera ,ma lo Stato la volle a Roma in Campidoglio.
Quando Maria Giuseppe Garibaldi passò da Marineo Anita era morta da 12 anni.
Onofrio Sanicola

giovedì 23 giugno 2011

PIETRO DA PRAGA, OVVERO IL MIRACOLO DI BOLSENA, OVVERO IL CORPUS DOMINI

Il prezioso religuario di Orvieto
Il sacerdote boemo Pietro da Praga (oggi Rep.Ceca) dubitava sulla verità della transustanziazione, cioè sulla mutazione del pane e del vino nel corpo e sangue di Cristo. Un giorno dell’anno 1263, mentre celebrava la Messa presso la tomba di santa Cristina di Bolsena, vide delle gocce di sangue stillare dall’ostia consacrata; esse si posarono sul Corporale e sul pavimento. Il sacerdote andò subito da papa Urbano IV, il quale si trovava ad Orvieto. Verificato il miracolo, l’anno successivo il Pontefice istituì la festa del Corpus Domini. Nella città fu innalzato perciò un tempio sul luogo più alto (1290), al quale si aggiunse la cappella del Corporale (1350) e la Cappella Nuova (1408).
Il Duomo venne disegnato da Arnolfo di Cambio in forme tardo romaniche. I lavori proseguirono in stile gotico da Lorenzo Maitani. A seguito di questo miracolo, nel 1264, con la Bolla "Transiturus de hoc mundo", Urbano IV decretò che la festa del Corpo del Signore fosse celebrata ogni anno in tutto il mondo cristiano e venne edificato il Duomo di Orvieto, dove è conservato il reliquiario che contiene l'ostia. Quell'Ostia che teneva tra le mani era diventata carne da cui stillava miracolosamente abbondante sangue. Fu eseguito fra il 1337-1338 da Ugolino di Vieri su commissione del vescovo Beltramo Monaldeschi; è d'argento, smaltato e bulinato, alto 1.39 metri e largo 0.63 metri e costò 1274 fiorini. Ha la forma della facciata del Duomo; sugli scomparti della fronte sono riprodotti, forse su disegno di Ambrogio Lorenzetti, i fatti della Vita della Vergine e la Storia del Miracolo di Bolsena: Annunciazione, Presepio, Epifania, Presentazione al Tempio, Fuga in Egitto, Disputa dei Dottori, Battesimo di Gesù, Gesù tentato, il Miracolo di Bolsena, Urbano IV ascolta il prete boemo, il papa ordina al vescovo di recarsi a Bolsena, il vescovo prende il Corporale, lo porta ad Orvieto, Urbano Iv gli va incontro, lo stesso mostra al popolo il Corporale, istituisce la festa del Corpus Domini, Ingresso di Gesù a Gerusalemme, Cenacolo, la Lavanda dei piedi.
Nella parte posteriore sono rappresentate, invece le scene della vita di Gesù: Orazione nell'orto, Cattura di Gesù, Gesù davanti ad Anna, Gesù davanti a Caifa, davanti a Pilato, davanti ad Erode, di nuovo davanti a Pilato, Pilato si lava le mani, Salita al Calvario, Crocifissione, Deposizione e Resurrezione. Dalla cappella si accede, attraverso una porta sulla destra, alla Sagrestia finita nel 1365 da Vannuccio di Lucio e Lippo di Cristiano. Qui sono conservati un crocefisso attribuito a Nicolò di Nuto ed un armadio ligneo a formelle quadrate di Guglielmo da Venezia (1372-88).

IL VITELLO D'ORO

AI PIEDI DEL MONTE SINAI !
Vi ricordate il film i 10 comandamenti ? Si quel momento in cui Mosè era li a spiegare perché la sua gente era di “dura cervice”? Quando alla fine ebbe credito per l’ennesima volta e ricevette nuovamente le tavole della legge che prontamente scagliò sopra il suo popolo ? Ecco alla fine della serata sembravamo tutti ai piedi del “grande monte” .Mancava solo il vitello d’oro . Aspettavo da un momento all’altro che Mosè … Musica martellante , balli sfrenati, canti sacri e profani.Casti e sinuosi . Ballerine aggraziate e non , autoincensazioni di spettacoli ancora da rappresentare (porta sfiga ragazzi ), applausi su cose non fatte, testimonianze su ipotetici miracoli c’era di tutto. Sull’avarizia il parroco-presentatore-conduttore non è stato molto convincente come altre volte. Va bene solo l’uso del denaro come mezzo ? Che significa maestro ? L’avarizia questa sconosciuta a Marineo ! Siamo molto perplessi su questa formula rubata a “quelli della notte” , scopiazzata da chi sino a ieri era out, trasgressivo . Un grande pentolone con dentro un minestrone di melassa. Le più grandi iniziano a staccarsi da gesti adolescenziali ma lo zoccolo duro delle crocerossine resta. A queste giovani da “esercito della salvezza” mancava solo la lap dance . La Olivieri ha raccontato il suo incontro con Dio e il suo ragazzo come un martirio anzicchè come una gioia , cosa significa Mejugorie: è una chiamata ! un neologismo ? è un linguaggio da calciatori, della Scarpulla non siamo riusciti a capire nulla tranne il suo grande desiderio di partecipare a qualche crociata, la riservatezza di Valeria ci ha commosso, la Battaglia ,coraggiosa ad affrontare simili prove sa che un artista non si presta ad incassare prima di andare in scena complimenti e applausi. Anche se vediamo sempre le stesse ballerine nelle stesse mosse nelle stesse scenografie rimane di positivo la capacità di fare gruppo e aggregarle. Lo fanno tutti con gioia e questo ci pare un grandissimo risultato. Buona l’idea di pensionare alcune “anta” perché uno spettacolo non è la “mensa dei poveri” ma una espressione totale di capacità.

mercoledì 22 giugno 2011

L'UTOPIA


Ho girato per tutta la mattina. Avrò preso oltre dieci caffè. Mi sono infilato in tutti i bar e pasticcerie dove di solito risiedono i politici. Niente! Ho invocato Santu Nofriu, ho persino eseguito riti pagani. Ho pregato il parroco di fornirmi alcuni versetti “satanici” ! Insomma il giorno della loro festa patronale i politici non si trovano! Non uno! Parto dall’alto. Il sindaco, che di solito spende lo stipendio offrendo caffè a tutti al solito bar in piazza, non si è visto. Insieme al suo assessore preferito mi dicono che li hanno intravisti alle sei del mattino e da lì in poi spariti. Mi sono appostato in piazza all’angolo della fontanella sperando che passassero i due “mori” e cercando di riconoscerli dietro gli occhiali d’ordinanza (quasi tutti gli assessori portano occhiali nerissimi alla “Fini”), ma niente di niente. Sono andato ad appostarmi alla Balata per bloccare il vicesindaco mentre sconsolato andava al suo vero ufficio a Palermo: terribile! O era dietro la statua di San Ciro alla curva, o aveva preso la trazzera di Santa Cristina come mi dicono usa fare. L’unico che mi è sembrato riconoscere è stato l’assessore allo sport, camuffato da extracomunitario, mentre impastava calce e cemento per il nuovo campo di cricket di cui mi dicono che i marinesi siano appassionatissimi a tal punto da distruggere appositamente quello di calcio. Il nuovo assessore ai Servizi sociali e all’Istruzione è in licenza matrimoniale e sta ripassando la formula matrimoniale di rito perché confonde sempre il nome della sposa con quello della prossima suocera. Cerco gli ex. I politici senza carica. Peggio di andar di notte. Ne intravedo uno e non sfuggo a due suoi baci quasi bocca a bocca. Subito mi rimprovera perché ogni tanto lo inserisco in qualche “scritto” e si allontana con questa frase: “Ricordati che io sono un uomo di cultura prestato alla politica. Rispettami.” Non so a questo punto se pregare la cultura affinché se lo tengano o implorare la politica di trasferirlo definitivamente a Palermo. Mi accorgo che ha un cartellino appeso al petto: sono il padre della giunta Ribaudo. Rinunzio e annullo la mia richiesta. Ad un tratto vengo strattonato alle spalle. E’ Cirus Rinaldi! Mi aspetto un ceffone, un calcio e una serie di parole irripetibili. L’unica frase che riesco a recepire è: sei contento pirla! Impossibile capire cosa vuol dire. Uno del bar mi dice due parole e allora la mia mente vola verso Sant’Onofrio anzi verso Santo Nuccio … agostiniano pilusu. Ho tentato in tutti i modi di festeggiare con i politici San Tommaso Moro inutilmente. Poi alla fine mi sono rassegnato. Mi è rimasta solo una domanda: come mai papa Pio XI ha scelto Tommaso Moro come patrono dei politici? Cosa ha mai visto nei politici, una pur minima rassomiglianza o similitudine? Allora rimettiamo in discussione la infallibilità del Papa?
No, ci sono, ecco ho trovato. E’ l’Utopia ! Si la sola merce in cui i politici abbondano!

OGGI FESTA PATRONALE DEI POLITICI



                SAN TOMMASO MORO, PROTETTORE DELLA “CASTA”
Tommaso Moro è il nome italiano con cui è ricordato Thomas More (7 febbraio 1478 - 6 luglio 1535), avvocato, scrittore e uomo politico inglese. More ha coniato il termine «utopia», indicando un'immaginaria isola dotata di una società ideale, di cui descrisse il sistema politico nella sua opera più famosa, «L'Utopia», del 1516. È ricordato soprattutto per il suo rifiuto alla rivendicazione di Enrico VIII di farsi capo supremo della Chiesa d'Inghilterra, una decisione che mise fine alla sua carriera politica conducendolo alla pena capitale con l'accusa di tradimento. Nel 1935, è proclamato santo da Papa Pio XI; dal 1980 è commemorato anche nel calendario dei santi della chiesa anglicana (il 6 luglio), assieme all'amico John Fisher, vescovo di Rochester, decapitato quindici giorni prima di Moro. Nel 2000 San Tommaso Moro venne dichiarato patrono degli statisti e dei politici da Papa Giovanni Paolo II. 6 luglio: A Londra in Inghilterra, passione di san Tommaso More, la cui memoria si celebra il 22 giugno insieme a quella di san Giovanni Fisher.

Dicono che tutti gli uccelli di Chelsea (all’epoca sobborgo rurale di Londra) scendano a sfamarsi nel suo tranquillo giardino. Un indice della sua fama di uomo sereno e accogliente. Thomas More (questo il nome inglese), figlio di magistrato, è via via avvocato famoso, amministratore di giustizia nella City, membro del Parlamento. Dalla moglie Jane Colt ha avuto tre figlie e un figlio; alla sua morte, si risposa con Alice Middleton.
Ha imparato a Oxford l’amore per i classici antichi e lo condivide con Erasmo da Rotterdam, spesso ospite in casa sua. Scrive la vita dell’umanista italiano Giovanni Pico della Mirandola; ma sarà più famoso il suo dialogo Utopia, col disegno di una società ideale, governata dalla giustizia e dalla libertà. E’ un umanista che porta il cilicio, che studia i Padri della Chiesa e vive la fede con fermezza e gioia. Quando Lutero inizia la sua lotta contro Roma, il re Enrico VIII d’Inghilterra scrive un trattato in difesa della dottrina cattolica sui sacramenti, ricevendo lodi da papa Leone X e accuse da Lutero. A queste risponde Tommaso Moro, che Enrico stima per la cultura e l’integrità. Spesso lo consulta, gli affida missioni importanti all’estero. E nel 1529 lo nomina Lord Cancelliere, al vertice dell’ordinamento giudiziario. Un posto altissimo, ma pericoloso.
Siamo infatti alla famosa crisi: Enrico ripudia Caterina d’Aragona (moglie e poi vedova di suo fratello Arturo), sposa Anna Bolena, e giunge poi a staccare da Roma la Chiesa inglese, di cui si proclama unico capo. Per Tommaso Moro, la fedeltà esige la sincerità assoluta col re: anche a costo di irritarlo, pur di non mentirgli. E così si comporta. La fede gli vieta di accettare quel divorzio e la supremazia del re nelle cose di fede. Lo pensa, lo dice, perde il posto e si lascia condannare a morte senza piegarsi. Incoraggia i familiari che lo visitano nella prigione della Torre di Londra e scrive cose bellissime in latino a un amico italiano che vive a Londra, il mercante lucchese Antonio Bonvisi: "Amico mio, più di ogni altro fedelissimo e dilettissimo... Cristo conservi sana la tua famiglia". Bonvisi gli manda in prigione cibi, vini e un abito nuovo per il giorno dell’esecuzione (ma non glielo lasceranno indossare). Davanti al patibolo, è cordiale anche col boia che dovrà decapitarlo: "Su, amico, fatti animo; ma guarda che ho il collo piuttosto corto", e gli regala una moneta d’oro. Poi, venuto il momento, dice alcune parole. "Poche", gli hanno raccomandato: e poche sono. Tommaso Moro invita a pregare per Enrico VIII, e dichiarò che “moriva da suddito fedele al re, ma innanzitutto a Dio".
Quindici giorni prima, per le stesse ragioni, è stato decapitato il suo amico John Fisher, vescovo di Rochester, che sarà canonizzato insieme a lui da Pio XI nel 1931. Ora la Chiesa li ricorda entrambi nello stesso giorno.

martedì 21 giugno 2011

SAN GIOVANNI BATTISTA eremita e Martire

24 giugno
Giovanni Battista è il santo più raffigurato nell’arte di tutti i secoli; non c’è pala d’altare o quadro di gruppo di santi, da soli o intorno al trono della Vergine Maria, che non sia presente questo santo, rivestito di solito con una pelle d’animale e con in mano un bastone terminante a forma di croce. Senza contare le tante opere pittoriche dei più grandi artisti come Raffaello, Leonardo, ecc. che lo raffigurano bambino, che gioca con il piccolo Gesù, sempre rivestito con la pelle ovina e chiamato affettuosamente “San Giovannino”. E’l’ultimo profeta dell’Antico Testamento e il primo Apostolo di Gesù, perché gli rese testimonianza ancora in vita. È tale la considerazione che la Chiesa gli riserva, che è l’unico santo dopo Maria ad essere ricordato nella liturgia, oltre che nel giorno della sua morte (29 agosto), anche nel giorno della sua nascita terrena (24 giugno).  
Nel Vangelo di s. Luca (1, 5) si dice che era nato in una famiglia sacerdotale, suo padre Zaccaria era della classe di Abia e la madre Elisabetta, discendeva da Aronne. Essi erano osservanti di tutte le leggi del Signore, ma non avevano avuto figli, perché Elisabetta era sterile e ormai anziana. Un giorno, mentre Zaccaria offriva l’incenso nel Tempio, gli comparve l’arcangelo Gabriele che gli disse: “Non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio che chiamerai Giovanni. Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita, poiché sarà grande davanti al Signore” e proseguendo nel descrivere le sue virtù, cioè pieno di Spirito Santo, operatore di conversioni in Israele, precursore del Signore con lo spirito e la forza di Elia. Quando Giovanni nacque, il padre Zaccaria che all’annuncio di Gabriele era diventato muto per la sua incredulità, riacquistò la voce, la nascita avvenne ad Ain Karim a circa sette km ad Ovest di Gerusalemme, città che vanta questa tradizione risalente al secolo VI, con due santuari dedicati alla Visitazione e alla Natività. Della sua infanzia e giovinezza non si sa niente, ma quando ebbe un’età conveniente, Giovanni conscio della sua missione, si ritirò a condurre la dura vita dell’asceta nel deserto. 
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio (28-29 d.C.), iniziò la sua missione lungo il fiume Giordano, con l’annuncio dell’avvento del regno messianico ormai vicino, esortava alla conversione e predicava la penitenza. Da tutta la Giudea, da Gerusalemme e da tutta la regione intorno al Giordano, accorreva ad ascoltarlo tanta gente considerandolo un profeta;  Giovanni  immergeva nelle acque del Giordano coloro che accoglievano la sua parola, cioè dava un Battesimo di pentimento per la remissione dei peccati, da ciò il nome di Battista.  Molti cominciarono a pensare che egli fosse il Messia tanto atteso, ma Giovanni assicurava loro di essere solo il Precursore: “Io vi battezzo con acqua per la conversione, ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non sono degno neanche di sciogliere il legaccio dei sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. E alla delegazione ufficiale, inviatagli dai sommi sacerdoti disse che egli non era affatto il Messia, il quale era già in mezzo a loro, ma essi non lo conoscevano; aggiungendo “Io sono la voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia”. Anche Gesù si presentò al Giordano per essere battezzato e Giovanni quando se lo vide davanti disse: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato dal mondo!” e a Gesù: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?” e Gesù: “Lascia fare per ora, poiché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Allora Giovanni acconsentì e lo battezzò e vide scendere lo Spirito Santo su di Lui come una colomba, mentre una voce diceva: “Questo è il mio Figlio prediletto nel quale mi sono compiaciuto”. La sua missione era compiuta, perché Gesù prese ad iniziare la sua predicazione, aveva formato il gruppo degli apostoli e discepoli ed era seguito da una gran folla; egli aveva predicato proprio per questo, preparare un popolo degno, che accogliesse Gesù e il suo messaggio di Redenzione. Aveva operato senza indietreggiare davanti a niente, neanche davanti al re d’Israele Erode Antipa († 40 d.C.), che aveva preso con sé la bella Erodiade, moglie divorziata da suo fratello; ciò non era possibile secondo la legge ebraica, la “Torà”, perché il matrimonio era stato regolare e fecondo, tanto è vero che era nata una figlia Salomè. Per questo motivo un giudeo osservante e rigoroso come Giovanni, sentiva il dovere di protestare verso il re per la sua condotta. Erode fece arrestare e mettere in carcere Giovanni su istigazione di Erodiade, la quale avrebbe voluto che fosse ucciso, ma Erode Antipa temeva Giovanni, considerandolo uomo giusto e santo, preferiva vigilare su di lui e l’ascoltava volentieri, anche se restava molto turbato. Ad un banchetto  per festeggiare il  compleanno del re partecipò con una conturbante danza anche Salomè, la figlia di Erodiade e quindi nipote di Erode Antipa; la sua esibizione piacque molto al re ed ai commensali, per cui disse alla ragazza: “Chiedimi qualsiasi cosa e io te la darò”; Salomé chiese alla madre consiglio ed Erodiade prese la palla al balzo, e le disse di chiedere la testa del Battista. A tale richiesta fattagli dalla ragazza davanti a tutti, Erode ne rimase rattristato, ma per il giuramento fatto pubblicamente, non volle rifiutare e ordinò alle guardie che gli fosse portata la testa di Giovanni, che era nelle prigioni della reggia. I suoi discepoli  vennero a recuperare il corpo, deponendolo in un sepolcro; l’uccisione suscitò orrore e accrebbe la fama del Battista. Molti testi apocrifi, come anche i libri musulmani, fra i quali il Corano, parlano di lui; dai suoi discepoli si staccarono Andrea e Giovanni apostoli per seguire Gesù.
Il suo culto si diffuse in tutto il mondo conosciuto di allora, sia in Oriente che in Occidente e a partire dalla Palestina si eressero innumerevoli Chiese e Battisteri a lui dedicati. La festa della Natività di S. Giovanni Battista fin dal tempo di s. Agostino (354-430), era celebrata al 24 giugno, per questa data si usò il criterio, essendo la nascita di Gesù fissata al 25 dicembre, quella di Giovanni doveva essere celebrata sei mesi prima, secondo quanto annunciò l’arcangelo Gabriele a Maria. S. Giovanni Battista è patrono di città come Torino, Firenze, Imperia, Ragusa, ecc.
Dopo essere stato sepolto privo del capo a Sebaste in Samaria, dove sorsero due chiese in suo onore, nel 361-362 ai tempi dell’imperatore Giuliano l’Apostata, il suo sepolcro venne profanato dai pagani che bruciarono il corpo disperdendo le ceneri.
Ma a Genova nella cattedrale di S. Lorenzo, si venerano proprio quelle ceneri (?), portate dall’Oriente nel 1098, al tempo delle Crociate, con tutti i dubbi collegati.
Per la testa che si trovava a Costantinopoli, per alcuni invece ad Emesa, purtroppo come per tante reliquie del periodo delle Crociate, dove si faceva a gara a portare in Occidente reliquie sante e importanti, la testa si sdoppiò, una a Roma nel XII secolo e un’altra ad Amiens nel XIII sec. A Roma si custodisce senza la mandibola nella chiesa di S. Silvestro in Capite, mentre la cattedrale di S. Lorenzo di Viterbo, custodirebbe il Sacro Mento. Risparmiamo la descrizione di braccia, dita, denti, diffusi in centinaia di chiese europee. Al di là di queste storture, frutto del desiderio di possedere ad ogni costo una reliquia, ciò testimonia alla fine la grande devozione e popolarità di questo grande profeta.










mercoledì 15 giugno 2011

SAN VITO



San Vito fa parte dei 14 Santi Ausiliatori, molto venerati nel Medioevo, la cui intercessione veniva considerata particolarmente efficace nelle malattie o specifiche necessità. Gli altri tredici Ausiliatori sono: Acacio, Barbara, Biagio, Caterina d’Alessandria, Ciriaco, Cristoforo, Dionigi, Egidio, Erasmo, Eustachio, Giorgio, Margherita, Pantaleone.
Il culto per s. Vito è attestato dalla fine del V secolo, ma le notizie sulla sua vita sono poche e scarsamente attendibili. Alcuni antichi testi lo dicono lucano, ma la ‘Passio’ leggendaria del VII secolo, lo dice siciliano; nato secondo la tradizione a Mazara del Vallo in una ricca famiglia, rimasto orfano della madre, fu affidato ad una nutrice Crescenzia e poi al pedagogo Modesto, che essendo cristiani lo convertirono alla loro fede.
Aveva sui sette anni, quando cominciò a fare prodigi e quando nel 303 scoppiò in tutto l’impero romano, la persecuzione di Diocleziano contro i cristiani, Vito era già molto noto nella zona di Mazara.
Il padre non riuscendo a farlo abiurare, si crede che fosse ormai un’adolescente, lo denunziò al preside Valeriano, che ordinò di arrestarlo; che un padre convinto pagano, facesse arrestare un suo figlio o figlia divenuto cristiano, pur sapendo delle torture e morte a cui sarebbe andato incontro, è figura molto comune nei Martirologi dell’età delle persecuzioni, che come si sa, sotto vari titoli furono scritti secoli dopo e con l’enfasi della leggenda eroica.
Il preside Valeriano con minacce e lusinghe, tentò di farlo abiurare, anche con l’aiuto degli accorati appelli del padre, ma senza riuscirci; il ragazzo aveva come sostegno, con il loro esempio di coraggio e fedeltà a Cristo, la nutrice Crescenzia e il maestro Modesto, anche loro arrestati.
Visto l’inutilità dell’arresto, il preside lo rimandò a casa, allora il padre tentò di farlo sedurre da alcune donne compiacenti, ma Vito fu incorruttibile e quando Valeriano stava per farlo arrestare di nuovo, un angelo apparve a Modesto, ordinandogli di partire su una barca con il ragazzo e la nutrice.
Durante il viaggio per mare, un’aquila portò loro acqua e cibo, finché sbarcarono alla foce del Sele sulle coste del Cilento, inoltrandosi poi in Lucania (antico nome della Basilicata, ripristinato anche dal 1932 al 1945).
Vito continuò ad operare miracoli tanto da essere considerato un vero e proprio taumaturgo, testimoniando insieme ai due suoi accompagnatori, la sua fede con la parola e con i prodigi, finché non venne rintracciato dai soldati di Diocleziano, che lo condussero a Roma dall’imperatore, il quale saputo della fama di guaritore del ragazzo, l’aveva fatto cercare per mostrargli il figlio coetaneo di Vito, ammalato di epilessia, malattia che all’epoca era molto impressionante, tale da considerare l’ammalato un indemoniato.
Vito guarì il ragazzo e come ricompensa Diocleziano ordinò di torturarlo, perché si rifiutò di sacrificare agli dei; qui si inserisce la parte leggendaria della ‘Passio’ che poi non è dissimile nella sostanza, da quelle di altri martiri del tempo.
Venne immerso in un calderone di pece bollente, da cui ne uscì illeso; poi lo gettarono fra i leoni che invece di assalirlo, diventarono improvvisamente mansueti e gli leccarono i piedi. Continua la leggenda, che i torturatori non si arresero e appesero Vito, Modesto e Crescenzia ad un cavalletto, ma mentre le loro ossa venivano straziate, la terra cominciò a tremare e gli idoli caddero a terra; lo stesso Diocleziano fuggì spaventato.
Comparvero degli angeli che li liberarono e trasportarono presso il fiume Sele allora in Lucania, oggi dopo le definizioni territoriali successive, scorre in Campania, dove essi ormai sfiniti dalle torture subite, morirono il 15 giugno 303; non si è riusciti a definire bene l’età di Vito quando morì, alcuni studiosi dicono 12 anni, altri 15 e altri 17.
Purtroppo bisogna dire che il martirio in Lucania è l’unica notizia attendibile su s. Vito, mentre per tutto il resto si finisce nella leggenda. Il suo culto si diffuse in tutta la Cristianità, colpiva soprattutto la giovane età del martire e le sue doti taumaturgiche, è invocato contro l’epilessia e la corea, che è una malattia nervosa che dà movimenti incontrollabili, per questo è detta pure “ballo di san Vito”; poi è invocato contro il bisogno eccessivo di sonno e la catalessi, ma anche contro l’insonnia ed i morsi dei cani rabbiosi e l’ossessione demoniaca.
Protegge i muti, i sordi e singolarmente anche i ballerini, per la somiglianza nella gestualità agli epilettici. Per il grande calderone in cui fu immerso, è anche patrono dei calderai, ramai e bottai.
Secondo una versione tedesca della leggenda, nel 756 l’abate Fulrad di Saint-Denis, avrebbe fatto trasportare le reliquie di san Vito nel suo monastero di Parigi; poi nell’836 l’abate Ilduino le avrebbe donate al monastero di Korway nel Weser, che divenne un centro importante nel Medioevo, della devozione del giovane martire.
Durante la guerra dei Trent’anni (1618-48), le reliquie scomparvero da Korwey e raggiunsero nella stessa epoca Praga in Boemia, dove la cattedrale costruita nel X secolo, era dedicata al santo; a lui è consacrata una splendida cappella.
Bisogna dire che delle reliquie di san Vito, è piena l’Europa; circa 150 cittadine, vantano di possedere sue reliquie o frammenti, compreso Mazara del Vallo, che conserva un braccio, un osso della gamba e altri più piccoli.
Nella città ritenuta suo luogo di nascita, san Vito è festeggiato ogni anno con una solenne e tipica processione, che si svolge fra la terza e la quarta domenica d’agosto. Il “fistinu” in onore del santo patrono, ricorda la traslazione delle suddette reliquie, avvenuta nel 1742 ad opera del vescovo Giuseppe Stella.
La processione, indicata come la più mattiniera d’Italia, inizia alle quattro del mattino, con il trasporto della statua d’argento del santo, posta sul Carro trionfale, trainato a braccia dai pescatori, fino alla chiesetta di San Vito a Mare, accompagnato da una suggestiva fiaccolata e da fuochi d’artificio; da questo luogo si crede sia partito con la barca per sfuggire al padre e al preside Valeriano.
Una seconda processione è quella celebre storica-ideale a quadri viventi, è una serie di carri, su cui sono rappresentate da fedeli con gli abiti dell’epoca, scene della sua vita e del suo martirio, chiude la processione il già citato carro trionfale.
“U fistinu” si conclude nell’ultima domenica d’agosto, con un’ultima processione del carro trionfale diretto al porto-canale e da lì il simulacro di s. Vito, viene issato su uno dei pescherecci e seguito da un centinaio di altri pescherecci e barche, giunge fino all’altezza della Chiesetta di S. Vito al Mare, per ritornare infine al porto.
A Roma esiste la chiesa dei santi Vito e Modesto, dove in un affresco oltre il giovanetto, compaiono anche Modesto con il mantello da maestro e Crescenzia in aspetto matronale con il velo.
Nell’area germanica s. Vito è rappresentato come un ragazzo sporgente da un grosso paiolo, con il fuoco acceso sotto.
Il santuario in cui è venerato nell’allora Lucania, oggi nel Comune di Eboli in Campania, denominato S. Vito al Sele, era detto “Alecterius Locus” cioè “luogo del gallo bianco”; nella vicina città di Capaccio, nella chiesa di S. Pietro, è custodita una reliquia del santo, mentre nella frazione Capaccio Scalo, è sorta un’altra chiesa parrocchiale dedicata anch’essa a S. Vito; la diocesi di questi Comuni in cui il culto di S. Vito è così forte, perché qui morì con i suoi compagni di martirio, si chiama tuttora Vallo della Lucania, pur essendo in provincia di Salerno.
Il santo è anche patrono di Recanati e nella sola Italia, ben 11 Comuni portano il suo nome.


Autore:
Antonio Borrelli

martedì 14 giugno 2011

SANTU NOFRIU PILUSU...

Icona di Sant' Onofrio realizzata a Creta nel 1975 per Onofrio Sanicola
Pafnuzio, monaco in Egitto nel V secolo, desideroso di incontrare gli anacoreti del deserto, per conoscere la loro vita e la loro esperienza eremitica, di cui tanto si parlava in quel tempo e in quella zona, si inoltrò dunque nel deserto alla loro ricerca.
Dopo due tappe fatte in 21 giorni, sfinito si accasciò a terra; vide allora apparire una figura umana di terribile aspetto, ricoperta da capo a piedi solo dai lunghi capelli e da qualche foglia. Questo abbigliamento era solito negli anacoreti, che abituati a star soli e visti solo dagli angeli, alla fine facevano a meno di un indumento difficile a procurarsi o a sostituire lì nel deserto. Inizialmente spaventato, Pafnuzio cercò di scappare, ma la figura umana lo chiamò dicendogli di restare, allora egli capì di aver trovato chi cercava, era un anacoreta. Stabilitasi una fiducia reciproca, cominciarono le confidenze, l’eremita disse di chiamarsi Onofrio e stava nel deserto da 70 anni e di non aver mai più visto anima viva, si nutriva di erbe e si riposava nelle caverne; ma inizialmente non fu così, aveva vissuto in un monastero della Tebaide a Ermopolis, insieme ad un centinaio di monaci.
Ma desideroso di una vita più solitaria sull’esempio di s. Giovanni Battista e del profeta Elia, lasciò il monastero per dedicarsi alla vita eremitica; inoltratosi nella zona desertica con pochi viveri, dopo alcuni giorni incontrò in una grotta un altro eremita, cui chiese di iniziarlo a quella vita così particolare.
L’eremita l’accontentò e poi lo accompagnò in un posto che era un’oasi con palmizi, stette con lui trenta giorni e poi lo lasciò solo, ritornandosene alla sua caverna. Una volta l’anno l’eremita lo raggiungeva per fargli visita e confortarlo, ma in una di queste visite, appena arrivato si inchinò per salutare e si accasciò morendo; pieno di tristezza Onofrio lo seppellì in un luogo vicino al suo ritiro.
Onofrio poi racconta a Pafnuzio di come si adattava al cambio delle stagioni, di come resisteva alle intemperie e di come si sosteneva, un angelo provvedeva quotidianamente al suo nutrimento, lo stesso angelo la domenica gli portava la s. Comunione. Il miracolo dell’angelo fu visto pure da Pafnuzio che Onofrio condusse al suo eremo di Calidiomea, il luogo dei palmizi.  Continuarono le loro conversazioni spirituali finché il santo anacoreta disse: “Dio ti ha inviato qui perché tu dia al mio corpo conveniente sepoltura, poiché sono giunto alla fine della mia vita terrena”. Pafnuzio propose ad Onofrio di prendere il suo posto, ma l’eremita rispose che non era questa la volontà di Dio, egli doveva ritornare in Egitto e raccontare ciò di cui era stato testimone.
Dopo averlo benedetto si inginocchiò in preghiera e morì; Pafnuzio ricopertolo con parte della sua tunica, lo seppellì in un anfratto della roccia. Prima che egli partisse, una frana ridusse in rovina la caverna di Onofrio, abbattendo anche i palmizi, segno della volontà di Dio, che in quel posto nessun altro sarebbe vissuto come eremita.
La ‘Vita’ scritta da Pafnuzio, è nota anche in diverse recensioni orientali, greca, copta, armena, araba; essa ci presenta in effetti un elogio della vita monastica cenobitica e nel contempo, una presentazione dello stato di vita più perfetto: la solitudine nel deserto.
Indipendentemente dalla esistenza storica di Onofrio, la ‘Vita’ greca di Pafnuzio si conclude dicendo che il santo eremita, morì un 11 giugno, comunque s. Onofrio è celebrato il 12 giugno nei sinassari bizantini. Antonio, arcivescovo di Novgorod riferisce che ai suoi tempi (1200) la testa di Onofrio era conservata nella chiesa di S. Acindino.
Il suo culto e il suo ricordo fu esteso in tutti i Paesi dell’Asia Minore e in Egitto, tutti i calendari di queste regioni lo riportano chi al 10, chi all’11, chi al 12 giugno; in arabo è l’Abü Nufar, (l’erbivoro), qualifica che gli si adatta perfettamente.
L’immagine di s. Onofrio anacoreta nudo, ricoperto dei soli capelli, fu oggetto della rappresentazione figurata nell’arte, in tutti i secoli, arricchita dei tanti particolari narrati, il perizoma di foglie, il cammello, il teschio, la croce, l’ostia con il calice, l’angelo.

Il nome Onofrio è di origine egizio e significa ‘che è sempre felice’. In Egitto era un appellativo di Osiride.  


Cartiglio di Nefertiti da cui deriva il nome Onofrio-exlibris


Icona greca del 1700 acquistata in grecia a Monastiraki nel 1973

venerdì 10 giugno 2011

FACCETTA NERA

(parte seconda ed ultima)

Continua il racconto di Giovanni Provenzale testimone della guerra coloniale in Etiopia.
“Vado a dormire tutte le sere ascoltando i canti degli animali, il vento della foresta e
le grida e i canti dei miei compagni che costruivano strade, palazzi, stazioni, ospedali”


“Nel momento che la nostra fatica iniziava a darci buoni frutti, che inviavamo a casa mezzo stipendio al mese ecco che ci trovammo in divisa. Noi credevamo in tutto questo. Abbiamo capito che la guerra porta disastri umani ingiustificabili, ma difendevamo il nostro ‘posto al sole’, le nostre fabbrichette, la nostra giovinezza. I nostri vent’anni si allontanavano precipitosamente. Oggi faccio fatica a capire se esiste un modo diverso di fare la guerra. Forse lei, Sanicola trova una differenza fra la ‘mia guerra’ e quella di oggi in Libia? A noi non piaceva farla ma il mio paese era in guerra!”
Eravamo in un posto dove la natura era meravigliosa il clima ottimo, la dislocazione perfetta. Case con tutti i confort. Si costruivano strade, palazzi, città, ferrovie acquedotti. Il genio italiano era sfruttato al massimo livello. “Ai locali non abbiamo tolto nulla anzi – ha ribadito Giovanni Provenzale - sterminate estensioni di terra abbandonate e bonificate. Immagini questi ventenni marinesi che scoprono altipiani infiniti e vedere che la terra ti dà il grano due volte l’anno. Un miracolo: restavamo a bocca aperta. Altro che Cannavata, Rossella e Bifarera!” Tutti i rapporti con i locali erano secondo le consuetudini del tempo. Rare le esagerazioni. Per i ventenni era una meraviglia. Ragazze bellissime. Quanti hanno portato moglie e figli in Italia? “La mia Africa… - ha continuato a richiamare alla memoria - certo c’era una differenza fra gli indigeni e noi. Queste differenze erano universali. Poi sarebbe arrivato il socialismo, la parità e cosi via. Non scordi che Mussolini arrivato in Africa abolì la schiavitù. Lei vorrebbe processarmi per le leggi che sarebbero arrivate dopo?”
“No, ma oltre le leggi ci sono situazioni umanitarie già dettate all’inizio del  mondo…”
“Cioè lei vuol farmi credere che Graziani e i tedeschi di via Rasella dovevano porgere l’altra guancia?”
“Si…” ho risposto temendo il peggio.
“Mi citi un solo popolo al mondo da che tempo è tempo che abbia messo fiori nei suoi  cannoni…” Ma gli uomini non amano più la guerra… “E neanch’io”.
Nel bel mezzo della guerra gli inglesi fanno questo ragionamento: tenere 20.000 prigionieri costa ogni giorno, rimpatriarli costa solo una volta. Così il fratello Giuseppe finì in Rodesia mentre Vincenzo e Giovanni furono imbarcati nei piroscafi Saturnia e Vulcania per una “crociera” di oltre 40 giorni facendo il periplo dell’Africa.
‘Tornammo a casa a mani e tasche vuote. Qualcuno tentò di attivare un’imprenditorietà locale, chi cercò ed ottenne posti statali e para statali. I tedeschi si ritirarono dall’Italia lasciando entrare gli americani. Da noi non c’è stato il fenomeno dei partigiani. L’unico che ricordo mori a Milano anche se marinese.  Si chiamava  Carmelo Clemente, amico di Nenni, grande sindacalista che sposò una parrucchiera parigina. Tentammo di dedicargli una via a Marineo ma alcuni si opposero. Di costui a Marineo non ne ho mai sentito parlare. So che a Milano era importante”.
Di  ebrei a Marineo non ne esistevano, tranne uno che si chiamava Ascoli.
Mussolini passò una sola volta da Marineo promettendo acqua a gente che si lavava poco e che non poteva bere a sufficienza. “Poi tutti diventarono antifascisti, smisero la camicia nera e sputarono sul loro passato. Dei nostri 40 milioni di fascisti si persero le tracce! Anche noi scordammo il fascismo perché superato ma non possiamo rinnegare i nostri vent’anni da leoni, vissuti nella mia Africa”.
Fra qualche giorno il  fratello Vincenzo avrebbe compiuto 100 anni. L’altro, Giuseppe, era del 1908: portavano fortuna perché erano nati tutti e tre in anni bisestili. Hanno amato l’Abissinia, l’Etiopia di oggi, là sono cresciuti, là hanno scoperto l’amore e il sesso, là hanno lavorato duro cambiando il volto di un paese antichissimo ma fermo da millenni.
“Noi eravamo fieri di tutto questo. Era venuto il tempo di godere tutto questo. Era la belle epoque marinese. Le nostre amicizie infantili là si sono consolidate. Pensi al sodalizio di Ciro Fragale, genio irripetibile e Salvatore Realmuto, falegname maestri d’ascia di famiglia: hanno passeggiato tutte le sere a Palermo in via Liberta per oltre cinquant’anni parlando della ‘loro Africa’. Non hanno saltato una sera”.
Il vapore Vulcania li precedeva e si sentivano sicuri perché in caso di mine sarebbe stato colpito per primo e loro potevano scamparla.
“Il Saturnia ci riportava a casa. Eravamo arrivati secondi dove contava solo arrivare primi. E quindi in faccia avevamo quella delusione di tutti i secondi. I soli felici erano i nostri genitori, le nostre mamme che si vedevano tornare a casa i figli vivi, noi dentro piangevamo leggendoci negli occhi non la sconfitta ma l’orgoglio dei ventenni di un gruppo di marinesi che tornavano da una ‘missione impossibile’ ”
Giovanni Provenzale ai suoi  fratelli, a tutti questi ventenni dedica i suoi  ricordi, i ricordi con cui va a dormire tutte le sere ascoltando i canti degli animali, il vento delle foreste e le grida e  i canti dei compagni che costruivano strade, palazzi, stazioni, ospedali .

Faccetta nera, bell’abissina …
Caro balilla ti ho portato un fiore…

 Onofrio Sanicola


PS . Trascrivere questa testimonianza in due pagine è riduttivo e offensivo. Spero qualcuno più bravo colga l’occasione per fare meglio perché questa generazione di “ventenni” e questi tre fratelli meritano di più. I nostri storici locali troppo impegnati in altre storie cercano solo una verità tralasciando l’altra, non meno interessante riva del fiume.