La tentazione (foto di P.T. anni 70) |
Lo "scintillare d'elmi, lo
sfavillare di corazze e lo svolazzare di variopinte piume", quasi ci
turba, disarma, sconvolge per la bellezza e l'energia che da ogni dove
sprigiona l'entusiasmo di attoniti spettatori che gioiscono e languono,
sorridono e piangono seguendo da transenne e balconi l'umano cammino di Ciro
tra le traversie terrene che lo videro per le vie di Alessandria Medico,
Eremita e Martire. Sono secoli che tutto ciò ritorna. Nonostante
problemi, imprevisti e strutturali mancanze di risorse. Gli
arditi paesani perpetuano il ricordo di un Santo lontano nel tempo e pure
mediorientale, la cui vita narrando, eleggono figlio di terra marinese,
fratello di sangue e sudore, compagno di strada sapiente e consolatore, in
poche parole Protettore delle nostre esistenze.
C'è pure dell'altro, c'è il
teatro ed il dramma, vocazione naturale dei marinesi, da sempre impegnati tra
finzione e realtà a rivivere col racconto i segni del passato e presente; da
sempre avvezzi all'interpretazione dell’altrui miseria e ricchezza e ben lieti
dunque di vestire i panni del Santo o dei suoi aguzzini, dell'imperatore o
degli armigeri, e, pur d'esserci, anche dell'ultima comparsa del gioco, ma
presenti e pronti a dire: c'ero anch'io. E sorprende, questa sfida, gli
estranei, coloro che giunti da terre vicine e lontane odono con fremito lo
scalpitio di cavalli, lo schioccare di fruste, i canti e preghiere di fanciulli
a schiera vestiti di raso che inneggiano
alla sapienza, alla gloria, alla santità. Qualità d'altri tempi, e per questo
più attraenti, avvincenti e intriganti, con cui misurarsi fino allo stremo,
vestendo noi stessi i panni di quei personaggi, calandosi dentro, da
apprendisti, da profani, al mestiere di narrare e rappresentare; sicuramente
motivati, convinti che quello che si recita è in fondo la VITA. Ciro l'eroe che
a tono risponde a giudici ed imperatori incarna la nostra segreta aspirazione
di elevare noi stessi alla grandezza di coloro che ci opprimono, di
beffeggiare, quasi, il potere costituito nel nome di una dignità che solo la Fede
diede al nostro Santo. Ambizione che
viene a noi negata diuturnamente nel quotidiano vivere. Per questo l’ardore-
rapimento ci prende quando nelle piazze risuona l’eco declamatorio del
sillabare quei versi, di muoversi in scena inciampando in chi osserva e,
spesso, interviene dicendo la propria, generando le risa o lo stizzito
rimprovero.
Metafora di quella coralità che
nel nostro borgo tutto coinvolge, che fa di ogni segreto nascosto sapere di
tutti, la Dimostranza continua, si perpetua e pare scontato che finché la
Rocca, madre sapiente, riparerà il groviglio di pietra, cemento e varia
umanità, da apocalissi future, rivivremo sempre festanti, plaudenti e
orgogliosi l’antico gioco che ci porta, itineranti, a narrare le glorie terrene di Santu Ciru di Mariné.
Nino Di Sclafani
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