mercoledì 9 marzo 2011

GARIBALDI SCRITTORE POPOLARE


L’Eroe dei due mondi romanziere per necessità:
c’era da tenere vivo il mito e da campare la numerosa famiglia

I romanzi di Garibaldi, scritti negli ultimi vent’anni della sua esistenza, più delle  agiografie ufficiali, costituiscono ancora oggi le testimonianze più vere della sua straordinaria vicenda e del suo pensiero. L’eroe del Risorgimento ne scrisse ben quattro, malgrado fosse tormentato dall’artrite alle mani. Stesi in un italiano incerto - ma con grande passione civile e varietà di lessico dovuta alle diverse parlate con cui fu a contatto - raccontarono la  sua vita e le sue imprese allo scopo di mantenere vivo il mito e anche, come da lui stesso ammesso, “per ritrarne un onesto lucro dal mio lavoro”. Nonostante gli giungessero spesso graditi doni dai suo ammiratori stranieri il Generale era sempre  piuttosto indebitato. Le pagine garibaldine, scritte con un traballante impianto narrativo, sono state definite “brutte” dallo storiografico e accademico Mario Insenghi, che in Garibaldi fu ferito (Donzelli editore) non ne fa un ritratto agiografico o trionfalistico ma lo restituisce alla natura di uomo dalle mille contraddizioni, tormentato da scelte in certi momenti più grandi di lui.  Nel suo primo romanzo Clelia o il governo dei preti scritto nel 1869, un polpettone tutto centrato sulla denuncia degli spregiudicati costumi  sessuali di preti e suore, il mangiapreti Garibaldi sfogò il suo odio ossessivo per la Chiesa cattolica “gramigna contagiosa dell’umanità” e nei suoi furori anticlericali definì Pio IX “quel metro cubo di letame” L’Eroe dei due mondi si servì dell’invenzione letteraria come un’arma in più e non meno affilata per battersi contro la Chiesa. Nel 1870 è la volta del romanzo storico Cantoni il volontario con protagonista un romagnolo, Achille Cantoni “volontario non soldato” che gli aveva salvato la vita  presso Velletri.  L’amore puro e appassionato di Ida e Cantoni, la lotta tra il buono (il volontario) e il cattivo (l’infame prete) la stoccata contro i regnanti -  tutti -  fino alla vittoria del male per tradimento e alla morte sacrificale di Ida e Cantoni sull’altare di quella patria che lentamente stava nascendo, sono gli ingredienti non ben amalgamati della storia. Ma c’è dentro tutta la passione del Nizzardo, il seduttore delle folle, che ha il merito di aver infiammato la gioventù dell’epoca, spinta da un ideale di libertà, coinvolgendola in una sfida con la morte. Con I Mille del 1874 Garibaldi si proponeva di “combattere moralmente per la ragione e la giustizia, non potendolo materialmente” nel desiderio di “accennare a quanti morirono gloriosamente per l’Italia”. Alle Memorie, iniziate nel 1849, si dedicò a lungo intervenendo più volte negli anni successivi sul testo, convinto di racchiuderne una summa di fatti e riflessioni che servissero “all’educazione politica e civile degli italiani” chiamati a partecipare al completamento della vicenda risorgimentale. Dopo mille traversie l’Italia era nata ma tenerla unita era un’impresa non facile che, dopo centocinqant’anni, ci vede ancora oggi impegnati.

Mariolina Sardo

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