lunedì 25 novembre 2013

DEDICATO AD UN AMICO CHE STA ANDANDO AD ISTAMBUL



Questo articolo è stato pubblicato sul guglielmo il 20 dicembre 2010 ripreso dal Segno mensile della diocesi ambrosiana. Prende il posto di un lavoro su Galeno che doveva uscire ieri se non fosse che ricevo una telefonata da un amico di Marineo che mi fa parlare con un altro di Marineo in partenza per Istambul. "Dacci qualche informazione su San ciro a Istambul !" . Per prima cosa non sono Wikipedia (strumento utile ma anche infame che fa passare per sapienti anche i mistificatori), poi abbiamo fior di biografi a Marineo che sanno persino che numero di piede avesse San Ciro (oggi maestri mistificatori che ogni giorno svalutano sempre di più i loro lavori ). Quindi mi sono ricordato di questo lavoro semigiovanile e lo ripropongo. Mi scuso con chi aspettava il frutto delle mie ricerche su Galeno ... ma avviso che una parte di questo lavoro somiglia a questa esperienza costantinopolitana. Credo di meritare come ricompensa una "relazione" su come sia cambiata la "mia" Istambul.

lunedì 20 dicembre 2010

COSTANTINOPOLI BISANZIO ISTAMBUL ZAVERGOROD !

Non so se siete mai stati a Istambul. Una volta si chiamava Bisanzio e prima ancora Costantinopoli. Dovreste andarci prima o poi. Anzi sbrigatevi perché non so se riuscirete a vedere ancora il ponte di Galata sul Corno d’Oro. Credo che sia sempre esistito e che nulla sia cambiato nel corso dei secoli. Io debbo vederlo assolutamente tutte le volte che sono a Istambul, e ci sono dei periodi che mi invento un viaggio di lavoro in Turchia per poter andare su quel ponte. Non confondetevi con Venezia e il Ponte dei Sospiri, con il Ponte Carlo a Praga, o il Ponte Vecchio a Firenze e cosi via. Qui non si tratta di sospiri, arte o cuori infranti. Ora questo ponte è di ferro ma una volta era di legno, ora ne hanno costruito uno nuovo i francesi lì accanto e temo che il vecchio ponte non lo rivedrò più. Su questo ponte sono passate quasi tutte le reliquie della cristianità: dalla Sindone al ginocchio di San Giovanni Battista, da San Ciro a … e cosi via. Ovviamente anche le reliquie musulmane alcune delle quali si trovano lì sopra al Topkapi, vicine alle nostre, come il mantello di Maometto, i suoi capelli, e altre ancora. Ma questo anche se mi procura emozione, fa parte delle tante cose che ogni giorno vediamo da turisti. Su questo ponte transitavano almeno tre gruppi di partecipanti ai diversi concili in diverse epoche. Unisce praticamente Kadikoy a Topkapi per usare due luoghi fra i più noti. La mattina mi alzo di buon ora e lascio il mio albergo a Pera e scendo giù in riva al Corno d’Oro passando vicino a Galata. L’aria sa di umidità rancida, c’è una nebbia che avvolge tutto, simile alla nostra è sospesa e si vede che non è “stabile”, loro la chiamano come da noi ”terrena”, forse perché si muove sfiorando il terreno come fosse fumo. Arrivo sul ponte e anziché passarci sopra come fanno tutti i turisti, scendo per una scaletta che mi porterà sotto il ponte, dove si trovano fra destra e manca un centinaio di bar, caffè, ristorantini e negozietti. L’odore non è certamente appetitoso. Mi siedo e mi offrono immediatamente un the. Cai, Tamam? Teskur. Tre parole: The? Sta bene, Grazie. Da questo momento e per circa un’ora berrò almeno cinque the fortissimi, poi inizia una sfilata interminabile di gente. Russi che chiamano Istambul ancora Zavegorod, bulgari, persiani, curdi, armeni, ebrei, indiani, albanesi di lingua turca, ciprioti, venditori di acqua, di the, di cocomeri a fette, macedoni, greci sopravvissuti a Smirne, del Pireo, di Salonicco, preti musulmani e monache francesi, tedeschi che sembrano ottomani, italiani di Genova e Venezia che forse non sono mai stati in Italia, venditori di pane, di panini con il pesce, venditori di aspirine e cose inutili. Donne con il facchino con la sella e donne con il velo e l’ombrello, polacchi a centinaia e slavi di ogni dove, siriani, irakeni. Tutti comunicano fra loro in qualche modo. L’uomo più semplice parla tre lingue. Uno attacca bottone con me chiamandomi padrone, un altro vuole scambiare qualcosa. Alla fine sono uno di loro e fra partite a dama e the arrivo a mezzogiorno. Un americano fotografa la qualsiasi me compreso e passa nell’indifferenza generale. Qualcuno sente il richiamo del muezzin e si allontana verso la moschea altri continuano il loro infinito cammino di mercanti. Poi alla fine risalgo la scaletta a metà ponte e finisco nel più straordinario bagno di folla. Un’ora di incontri indescrivibili. Sembra che tutti i popoli e razze del mondo si siano dati appuntamento sul ponte di Galata. Lascio il ponte e arrivo all’ingresso della grande moschea Sultan Ahmet. Sembra che tutta quella gente si sia trasferita dentro la moschea. Conoscendo un po’ il rituale passo per la porta principale solitamente riservata ai musulmani. Abluzioni, piedi e mani sino all’avambraccio lavate nelle fontanelle, viso sino alla nuca e scarpe depositate. Un saluto al Dio comune e poi esco verso Aghia Triada - Santa Trinità. Incenso che sembra nebbia, cantilena ortodossa, musica di rito bizantino fedeli in piedi e officiante dietro il cancello dell’altare maggiore. Sì, sono veramente gli stessi che ho incontrato sul ponte: greci di Macedonia, di Smirne, di Cipro, di Alessandria, di Atene, bulgari e tantissimi russi. Mi offrono il pezzetto di pane ospitale e fraterno. Aghia Triada è il Vaticano ortodosso. Ci sono venuto altre volte cercando tracce di San Ciro, ma l’unica cosa che ho ottenuto sin ora è che loro lo conoscono come i santi anargiri e che le sue ossa sostarono in santa Maria in Chora. Impossibile ottenere di più in un fine settimana. Poco dopo esco. Davanti la sinagoga non c’è nessuno e la porta è chiusa. Qualche scritta sui marciapiedi uno sgabello vuoto, la porta chiusa. Un vecchio alzando gli occhi mi fa capire che oggi non c’è nessuno. Proseguo verso la chiesa protestante di San Giorgio. Chi pensava a quei tempi al nostro San Giorgio di Marineo. Un cartello in inglese mi avvisa su orari e giorni dedicati al culto. Meglio, perché le chiese protestanti sono spoglie. Continuando sono passato almeno davanti tre chiese ortodosse. Due le conosco bene ma la terza mi incute timore. E’ Santa Sophia. Ovvero la Divina Intelligenza dove per oltre 1.000 anni la nostra religione è cresciuta e si è fortificata. Non esiste altro luogo al mondo dove … basti pensare che il sultano Maometto IV nel quindicesimo secolo avendo preso Costantinopoli colpì violentemente un suo soldato che stava staccando una parte del pavimento in mosaico gridandogli più o meno: vai a saccheggiare la città ma non toccare Santa Sophia. Arrivo finalmente a Sant’Antonio una chiesa fra il moderno e l’indefinibile. Piena di filippini, ganesi, ugandesi, portoricani. Un prete tedesco dice la messa in inglese e francese. Confessionali dedicati alle varie lingue. Penso che difficilmente oggi andrò a messa. Esco sconsolato e proseguendo nella stessa strada passo davanti alla chiesetta di Santa Maria dei Genovesi. Da fuori sembra più un collegio che una chiesa. Dopo vent’anni che vado a Istambul a sentire messa in tutte le lingue finalmente ho trovato il posto giusto. “ Bèh sono a casa” mi dico. Una predica breve con accento toscano, a me tocca passare per le offerte. Finalmente sereno prendo la strada dell’ufficio. Addio Galata vecchio ponte che riuscivi a tenere assieme tutta quella gente senza chiedere passaporto, religione o razza. Torno a casa. Cosciente che un altro pezzo di mondo sta sparendo.

Giovedì mattina scendendo dal Passetto verso il Crocifisso, nel giorno del grande mercato ad un tratto sento: Iavas, Iavas, Piano piano, più avanti un altro “ Ellate Kirios, ellate kiorios, un altro ancora Deime prossime, Selam . selam” e cosi via. Senza parlare di dialetti … Allora mi rendo conto che per miracolo tutto quello che c’era sopra e sotto il ponte di Galata si è salvato.

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