giovedì 7 aprile 2016

CRONACA DI UNA (META) RIVOLUZIONARIA CUBISTA




La rivoluzione la puoi riassumere nella tensione tra quello che sei e l’immagine che vorresti avere di te stesso. L’immagine, non la sostanza.La punta del pennello si appoggia sul tratto che delinea la coscia di una donna. Ridefinisce quella linea, infrangendo quello che una volta era un nudo femminile e che ora è una figura astratta. Il realismo del ritratto in pittura viene superato in quel preciso istante. Per sempre. È notte fonda e Georges Braque lavora chino sopra la tavolozza. È alla seconda bottiglia di Borgogna e sta dando corpo a quello che la storia ha ribattezzato come movimento cubista. La sua mano è mossa dalla convinzione profonda che le persone nel mondo possono vedere una stessa cosa in maniera diversa. E che la cosa stessa in fondo non è mai la stessa cosa.

Rileggo.
Funziona.
E poi?
Sono le dodici e trenta di una domenica di metà dicembre. Mi restano ventiquattro ore per dare corpo al racconto sulla rivoluzione. Sono giorni che ci rimugino sopra, che riscrivo, che faccio ricerche, che riparto da capo, dopo essermi impantanato dietro idee assurde e rivoluzioni scritte male. Alla fine ho scelto di raccontare la rivoluzione cubista, dal punto di vista di Georges Braque, il pittore francese che insieme a Picasso ha disegnato le prime opere del movimento cubista. Non ho più molto tempo. La scadenza tassativa per la consegna del lavoro è fissata per domani alle ore tredici. Ho già mancato le prime due consegne preliminari: questo è l’ultimo momento possibile per vedere figurare il mio racconto nella raccolta “A 24 ore dalla Rivoluzione”. Mi infilo il cappotto e fumo una sigaretta in piedi sul balcone. Tanti racconti sono nati qui, altre storie personali si sono spente sopra questo metro quadrato da cui osservo il cortile. Una ragazza trascina una valigia le cui ruote producono un frastuono che si propaga in tutto il cortile. Procede a passo spedito, forse verso un treno in partenza, mentre un uomo seguito da un bambino sta portando in braccio uno scatolone, probabilmente un televisore, magari uno schermo 3D. Chissà se l’uomo e il bambino sanno che il concetto di immagine in 3D è nato con Picasso e Braque più di un secolo fa. Ma, soprattutto, questa cosa gli interesserà? Mi chiedo come si possa scrivere di rivoluzione in un’epoca assuefatta al concetto, ancor prima che alla parola, Rivoluzione. Mi domando come si possa restituire sostanza a un’idea che si è esaurita, come un fusto da cui esce solo schiuma, perché la birra è già stata servita tutta da un bel pezzo. In un mondo che spinge sempre più in là le colonne d’Ercole della trasformazione, senza rivoluzionarsi; o che si rivoluziona in continuazione, senza trasformarsi; in un mondo dove tutto cambia per non cambiare, ha ancora senso parlare di rivoluzione?
L’amore.
Di tutte le caratteristiche più importanti per un rivoluzionario, Ernesto Che Guevara indicava nell’amore la qualità imprescindibile. È l’amore a guidare il tratto di Georges Braque, un pittore con un amore ostinato per un’idea.  Braque sta pulendo i suoi pennelli dalla vernice e ripensa a tutte le volte che si è sentito diverso, emarginato, perché vedeva il mondo diversamente dagli altri bambini, poi dagli altri ragazzi e infine dagli altri uomini. Ripensa a quando da piccolo ammirava la perfetta calma di un lago, con le anatre che lo attraversavano lasciando una flebile scia sull’orizzonte dell’acqua. Un giorno si era lasciato sfuggire una frase sulla sublime perfezione dell’acqua cheta. Gli altri bambini lo avevano preso in giro - come solo i bambini sanno stigmatizzare la diversità - e avevano passato il resto del pomeriggio a tirare sassi nello stagno e alle anatre, per creare confusione e rendere frastagliata la linea dell’acqua. Il piccolo Braque aveva amato ancora di più il lago in subbuglio e aveva iniziato a chiedersi come si potesse rappresentarlo in entrambi i suoi stati, quieto e irrequieto, all’interno di un’unica immagine. Nella sua mente le diverse percezioni del lago si intervallano, si susseguono, si confondono, si alternano, s’intrecciano e si fondono in un visionario montaggio cinematografico. Braque appoggia i pennelli puliti sulla sua tavolozza e getta uno sguardo verso il quadro. Pensa agli uomini del futuro che magari anche grazie a questo dipinto riusciranno a percepire, accettare e rispettare il concetto di diversità.
La chiave gira quattro volte nella serratura. È lei. È tornata con la spesa. Mi precipito ad aiutarla, mosso dal senso di colpa per averla fatta andare da sola, perché dovevo scrivere. La scrittura, ormai, è come un’amante tollerata nella nostra relazione. Ruba le mie migliori energie creative, i miei rari momenti di freschezza extra-lavorativa; quando non scrivo mi rende assente, spesso m’innervosisce, quasi sempre mi porta via da lei. Forse un’altra donna sarebbe meno invasiva nella nostra relazione. Inizio a sistemare la spesa nel frigorifero e nella dispensa. Oggi c’è una luce intensa che rende la cucina luminosa e piena. Mi viene voglia di cucinare qualcosa per stasera. Mi viene voglia di abbandonare per sempre il racconto, la scrittura, e lasciarmi trascinare dalla vita e dai semplici piaceri come un risotto alla mantovana o un brasato, accompagnati da una bottiglia di Barolo, o al limite un Refosco. Impallidisco all’idea che ci sia stato qualcuno in grado di scrivere migliaia di pagine nel corso di una sola esistenza e di resistere a tutta la bellezza dei piaceri con cui il mondo ti solletica ogni secondo. Chissà come diavolo ha fatto Georges Simenon a scrivere tutti quei libri in una sola vita? Sono quasi le tredici. Tempo di andare a pranzo. 

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