venerdì 23 dicembre 2016

RESTA QUI CON NOI



IL RACCONTO DI NATALE
RESTA QUI CON NOI
 Questo articolo merita una premessa. L’ho scritto oltre ventianni or sono dopo aver fatto un giro lunghissimo visitando i maggiori santuari europei (Mejugorie, Lourdes, Fatima, Loreto, Siracusa, ecc.) e scrivendone sul Segno (settimanale della Diocesi di Milano). Ricordo che appena usci l’articolo il mio Parroco (Don Pasquale Rigamonti , buon anima) mi abbraccio commosso dicendomi: “…ma quello era Gesù… !”. Mi commossi anch’io. Quando lo pubblicai sul Guglielmo un amico mi disse: ma alla fine chi era quel tuo fratello ? Aggiungendo era il tizio è vero, facendomi nome e cognome …
Mi alzo di buon mattino anche se sono stanco, come tutti quelli che in questi giorni prefestivi hanno mille cose da fare. Fischietto anche. Il cielo è chiarissimo e dal mio balcone si vedono le Prealpi bergamasche e il bianco della neve fa sembrare la città pulitissima. Mi sento orgoglioso di vivere a Milano e di colpo sono spariti sporcizia e disordine, caos di traffico, gente che corre affannosamente, ingorghi, urla, strombazzamenti e code. Mi vesto e prendo il caffè in terrazzo in mezzo alla neve nella tazza delle grandi occasioni. Beh, bisogna provare certe sensazioni. E come il pittore che finita la sua opera cancella e ripulisce il suo quadro: alla fine ti sembra senza difetti. Cosi a guardarla Milano è veramente perfetta. Scendo e subito incontro il signor Andrea che a fatica cerca di alzare la serranda del suo negozio. Mi sento in forma e con una spinta è su e il signor Andrea mi saluta ringraziandomi. All’angolo di via Boschovick incontro la vecchia fioraia che cerca di attraversare e a vederla immobile sul ciglio della strada mi sembra una statua. In un attimo sono da lei. Calmo le macchine che arrivano e, presa sottobraccio la fioraia, l’accompagno all’altro lato mentre il barista all’angolo mi chiede se ho cambiato morosa. Sto per proseguire e vedo lo stesso barista che armeggia con interruttori e spine per cercare un guasto al suo impianto elettrico. In due si fa prima e cosi dopo cinque minuti posso proseguire per la mia strada salutando il barista che per ringraziarmi mi offre un altro caffè. Ogni tanto incontro qualcuno che mi saluta e vuole scambiare gli auguri. Qualcuno scivola, un altro spala la neve, un altro butta sale. Saverio davanti alla sua pizzeria è alle prese con una gomma bucata. Di lì a poco la gomma è cambiata e lui prosegue mentre io cerco di lavarmi le mani con la neve. Arrivo finalmente alla mia macchina parcheggiata per strada nell’unico posto che sono riuscito a trovare l’altra sera. Incomincio a togliere la neve da sopra, ai lati, dalle gomme, dai vetri. Infine riesco ad entrare e metto in moto subito. Faccio per partire e guardando il retrovisore noto nel sedile posteriore un fagotto, quasi un saccone. Per un momento rifletto su cosa ho lasciato incoscientemente sulla macchina per tutta la notte. Ma ad un tratto il saccone si muove lentamente e una mano spunta da sotto. Poi una seconda, poi si sente un sospirone ed io sbianco per timore ed incredulità. Esco dalla macchina, guardo il tipo, il colore, la targa e il solito graffio sul lato destro. Rientro e il mio ospite intanto si è seduto e sta cercando di sistemarsi un po’. “Buon giorno…” Dico coraggiosamente. “Buon Natale…” mi risponde conciliante. Mi spiega che non era facile trovare “alloggio” la notte quando nevica tanto e all’improvviso, e siccome la macchina era aperta gli sembrava un invito. ”Poi sa… ho visto la foto…bella famiglia, complimenti. Mi sono detto che uno come lei non avrebbe rifiutato ospitalità”. Anch’io mi sentirei rassicurato nel vedere bambini che sorridono in braccio a genitori felici. Non aveva sporcato più di tanto e raccolte le sue cose velocemente ci troviamo al bar a fare nuovamente colazione. ”Stavo andando da Fratel’ Ettore, ma ieri avevo esagerato e mi vergognavo un po’… e poi ancora un metro e sarei crollato… per fortuna lei ha lasciato la macchina aperta…”. Una volta li chiamavano barboni, ora li chiamano in tanti modi, io per istinto l’ho chiamato fratello. Lui mi ha sorriso ed ha accettato l’invito a cena per la sera. “ Sarà di magro, sa è vigilia…” dico. In ufficio ci si scambia auguri e complimenti. Gira qualche pacchettino con fiocchetti sempre più originali. Qualcuno mi ricorda che la sua famiglia è aumentata e che a Natale un aumento di stipendio non si può rifiutare. Stavo per proporglielo io ma è stato meglio così: non sarebbe stato un gesto sincero altrimenti. Al pomeriggio mi ricordo che la Silvia mi aveva detto dove trovare pane azzimo ed erbe amare. Così tutti tirati a lucido ci troviamo attorno al presepe insieme ad un ospite imprevisto che tutti accettano come fratello. Riesco a portarlo anche alla messa di mezzanotte, che segue con grande attenzione. Poi sparisce nella chiesa piena ed io lo cerco inutilmente con gli occhi. Infine mi rassegno perché ho capito e i miei occhi sono lucidi, la mia gola ha un nodo e la mia coscienza è leggera leggera.
Un urlo tremendo mi sveglia. A fatica apro gli occhi tiro su la tapparella e vedo Milano bianchissima. Grido come un matto contro chi usa simili torture come sveglia. In un attimo sembra che in casa sia entrato un tornado. “Papà in macchina c’è un barbone puzzolente… è uno schifo, tu lasci la macchina sempre aperta…”. Barcollo mi gira la testa… “Oggi cosa è…?” chiedo ansioso…“Il 24 dicembre, la vigilia e tu stai dormendo come un fannullone.” “No non è possibile… ieri sera abbiamo fatto la cena e poi la messa… e poi…” ripeto continuamente. ”Papi cosa hai bevuto ieri sera in cantina ? Oggi è la vigilia il 24, e tu non capisci che dentro la macchina c’è un barbone che puzza di immondizia…” gridano in coro. Mi precipito per le scale chiedendomi se è stato tutto un sogno. Il signor Andrea mi chiede gentilmente di dargli una mano con la serranda ma non capisce che debbo correre alla mia macchina. Urto violentemente una vecchietta che mando quasi per terra mentre voleva attraversare la strada. Il barista mi sgrida dandomi del maleducato. Saverio mi fa cenno di avvicinarmi ma gli sono debitore di almeno un mese di pizze arretrate e passo lontano. Arrivo trafelato in macchina: è vuota ma si sente uno strano odore di marcio. Impreco contro la mia sbadataggine e già in ufficio aggredisco il primo che incontro. Inizia un via vai di telefonate sulla spesa da fare. Branzino, gamberoni, pasta all’ uovo, Cesarini Sforza come aperitivo, vini bianchi di Sicilia, San Daniele, capesante e vol au vent, tartufi e salmone, tartine e infine uva brasiliana e meloni di Algeria. A mezzanotte non andrò a messa. Ho la testa piena di bollicine. Piero, Walter, Giovanni e famiglie andranno, io resto solo a casa davanti al camino a riguardare i regali che ci siamo scambiati prima della cena. Adesso mi viene in mente il sogno. Ripercorro le varie fasi e mi sento ghiacciare le vene, mi metto un mantello e scendo. La neve non è più la stessa, sembra fango e il colore rispecchia sia il mio animo che la mia coscienza. Scivolo e finisco in un mare di fango nero. Mi concio in un modo impresentabile. Mi avvio alla stazione e passo sotto gli archi, cerco quello giusto, entro e mi trovo due tavolate piene di gente. Qualcuno allunga gli occhi e mi scruta. Anche io cerco qualcuno e li guardo uno per uno. Fratel’ Ettore mi si avvicina e chiede chi cerco invitandomi ad entrare. “Ehi tu! Hai perso tuo fratello?” mi grida uno. Era proprio lui, quello del sogno … mi siedo vicino a lui in silenzio. “ Resta qui con noi ! Mettiti in ordine ! Ora ti passo una fetta di panettone. Sai la prima volta ci si sente male, poi ci si abitua. Conosco il prete e ti farò dare una buona cuccetta. Dai, mangia e non piangere, tanto qui o altrove rimani sempre un disgraziato e se lo capisci riesci a sopravvivere” mi sussurra benevolmente. Non sono tornato a casa quella sera e la mattina presto accettai il caffè da quel mio fratello. Lo abbiamo bevuto in due bicchieri di plastica con i piedi sulla neve bianchissima e immacolata.
nota.Fratel Ettore, camilliano, per decenni girava per Milano con la sua sgangherata auto con sopra una statua della Madonna. Gestiva un refettorio-dormitorio sotto gli archi della stazione accogliendo disagiati e disperati.

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