Il cardinale ha scelto per la sua tomba un
versetto del salmo 119: “Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio
cammino”. Giustamente perché questa frase lo rappresenta meglio di tutte.
Invitava instancabilmente i suoi fedeli a leggere e meditare la Bibbia, faceva riscoprire
la lectio divina. Già come un
semplice gesuita studiava attentamente le Sacre Scritture, tanto più da
arcivescovo di Milano e poi a Gerusalemme da cardinale “emerito”. Ma non si
trattava di uno studio accademico. Carlo Maria Martini cercava la Verità e l’ha vissuta profondamente.
A Milano l’ha cercata insieme ai non credenti, ai rappresentanti di altre
religioni. Anche se i giornali hanno riportato l’ultima sua intervista nella
quale avrebbe voluto una Chiesa meno “stanca”, “che libera la brace dalle
ceneri”, il suo moto era “fede, fiducia e coraggio” e invitava ogni credente a
domandarsi: “Tu, che cosa puoi fare per la Chiesa?” Si domandava sinceramente: “Il nostro
patrimonio culturale che dobbiamo conservare è ancora in grado di servire
l’evangelizzazione e gli uomini? Oppure intrappolano le nostre forze in modo da
paralizzarci quando un bisogno ci schiaccia?” Ma le domande più urgenti e più
difficili ci ha lasciato cardinal Martini con la sua malattia e la sua morte.
Come Giovanni Paolo II è stato colpito dalla malattia di Parkinson e come lui
non ha mai nascosto i tormenti legati ad essa, anzi li affrontava con coraggio.
Ha però chiesto che non si applicasse a lui l’accanimento terapeutico. I
giornali scrivevano che ha “rifiutato le cure” e già si facevano i paragoni con
i casi di Eluana Englaro o Piergiorgio Welby. E bene riportare le parole del
responsabile del Centro per la malattia di Parkinson di Milano, dott. Pezzoli,
che ha curato Carlo Maria Martini per diedi anni: “Il cardinale non era più in
grado di deglutire nulla ed è stato sottoposto a terapia parenterale idratante.
Ma non ha voluto nessun accanimento terapeutico: né la peg, il tubicino per
l’alimentazione artificiale che viene inserito nell’addome, né il sondino
naso-gastrico. E’ rimasto lucido fino alle ultime ore”. La sua malattia lo
portava verso la morte imminente, l’essere nutrito artificialmente non lo
guarirebbe, allungherebbe solo la sua agonia. Non è stato aiutato a morire. In
questi casi bisogna stare attenti alla confusione di termini. Non nutrire
artificialmente qualcuno che è vitale, ma in coma, non è la stessa cosa come
smettere di mangiare perché sto per morire. Cercare la verità anche in questo
campo significa rispettare pienamente il testamento di Carlo Maria Martini.
La sua scomparsa ha fatto riflettere molti
sulle sue parole, sul suo esempio e le decine di migliaia di persone che gli
hanno reso l’ultimo omaggio lo dimostrano. C’erano giovani, anziani, credenti e
non, turisti, milanesi semplici insieme alle autorità. Durante il suo funerale è stata ricordata
un’altra massima che il cardinale amava dire: “Per amore di verità, abbracciare
le difficoltà”. Carlo Maria Martini l’ha fatto fino in fondo.
Ruzena Ruzickova
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