sabato 23 marzo 2019

CARAVAGGIO 9


Riprendiamo la ricerca effettuata da 5.11.2017ll'equipe guidata dal Dottor Vinceti sulla ricerca dei resti mortali del Caravaggio , cosi come fece con quelli del Leopardi  del Boiardo ecc.
PER CHI VOLESSE "APPROFONDIRE VI DIAMO LE DATE DELLE PRECEDENTI USCITE
1-24.10.2017  2- 27.10.2017  3-  28.10.2017  4- 1.11.2017  5-   5.11.2017.  6- 11.11.2017   6 - 11.11.2017   7- 22.11.2017  8- 2.5.2018
CARAVAGGIO 9

Vi è anche una minuta che fu trovata da Danis Mahon e O. Green presso l’Archivio di Stato di Napoli, mentre la lettera originale con l’inventario non è mai stata rintracciata. Per motivi di semplificazione riporto solo la traduzione in italiano: Magnifico Sgre. Mi è stato riferito che a Porto Ercole è morto Michel angelo da Caravaggio, Pittore, e che in vostro potere sono rimasti tutti i suoi beni, particolarmente quelli che figurano nell'inventario che acc­ompagna questa, per averne fatto confisca sotto il pretesto che apparte­nesse all'ordine di san Giovanni e che spettasse al priore di Capua, il quale ha dichiarato di non avervi nessun diritto non essendo il defunto cavaliere di Malta, e così incarico voi, appena ricevuta questa, di inviar­mi i suddetti beni con la prima possibilità di Feluca che si offrisse, e in modo particolare il quadro di san Giovanni Battista, e se per caso qual­cuno per qualsiasi motivo lo avesse rimosso da quei beni, cercate in ogni modo che sia trovato e ricattato per inviarlo nelle migliori condizioni con le restanti proprietà, per consegnarle qui a chi ne avesse diritto ed ese­guito tutto ciò senza replica, avvisandomi dell'arrivo di questa. Nostro Scrittoio. Napoli, li 19 agosto 1610. (Cfr., Otis H. Green, Denis Mahon: “Caravaggio’s death: A New Document” in The Burlington magazine, giugno 1951, vol. 93, n. 57).
È doveroso segnalare a questo punto qualche elemento di contrad­dizione evidente dal confronto della lettera del Gentile spedita il 29 lu­glio, con questa inviata dal viceré il 19 agosto. In ambedue si dice che il priore di Capua, quale massimo rappresentante dell'Ordine di Malta nel Regno di Napoli, rivendica le "robbe" del Merisi perché credeva che il pittore fosse morto come Cavaliere gerosolimitano, o fingendo di ignorare che invece il pittore era stato espulso dall'Or­dine, come ben sapeva la marchesa di Caravaggio, la quale pertanto giudicava la richiesta del priore una follia. Anche l'intervento del vice­ré, tutto orientato ad inserirsi nella disputa per ricavarne il massimo profitto, è riportato dalla lettera del Gentile con molta chiarezza.
Vediamo quindi quale sarebbe l'elemento di contraddizione: nelle let­tere di Deodato Gentile compaiono testimonianze inoppugnabili che i beni del Merisi, e quindi i suoi quadri, a Napoli vengono consegnati alla marchesa di Caravaggio e poi sequestrati da ministri regi. Altra prova certa della presenza dei dipinti a Napoli ci viene offerta da una copia del San Giovanni Battista che il viceré fa eseguire, mentre infine una nuova testimonianza è quella notizia della lettera nella quale si dichiara che i dipinti erano destinati al cardinale Scipione Borghese. Nella lettera che il viceré spedisce all'uditore dei presidi di Toscana si sostiene che i beni del Merisi, tra cui un dipinto raffigurante San Gio­vanni Battista, sarebbero stati sequestrati a Porto Ercole! Ciò contrasta con le informazioni del Gentile. Se queste informazioni invece sono esatte, e non abbiamo motivo di dubitarne, come mai il conte di Lemos crede che i beni del Caravaggio e il "St. Juan Bautista" si trovino a Porto Ercole?  È possibile che ancora nessuno lo abbia informato di una vicenda in cui erano stati chiamati in causa mini­stri regi? Ebbene, gli eventi possono essere andati proprio così, risentendo della confusione e della imprecisione delle informazioni che si determinarono alla morte del Merisi; ricordiamo a tal proposito che il Borghese aveva avuto notizia che il pittore era morto addirittura a Procida! E’ probabi­le, dunque, che i fatti si siano svolti in questo modo: l'uditore dei Presi­di di Toscana raccolse le ultime parole del pittore ormai in preda alla febbre e forse al delirio. Il Caravaggio dovette raccontare della feluca, delle sue "robbe" e dei dipinti, dei quali forse ricordò appena un tema iconografico a lui molto caro: quello di San Giovanni Battista.
Un racconto convulso, impreciso, fatto da un uomo senza più speranza di vedere apparire quella felluca alla quale aveva affidato tutti i suoi beni, le sue speranze, il sogno di riabilitarsi agli occhi di quella città dalla quale un giorno era dovuto scappare. L'uditore dei Presidi di Toscana o altri imprecisi informatori dovette­ro riferire al viceré verosimilmente un racconto inesatto, frutto delle allucinazioni di un febbricitante moribondo che dava per esistenti quei beni che, invece, non c'erano più. Né va sottovalutata la possibilità che il viceré abbia invece interpretato in modo errato o abbia intenzional­mente alterato notizie precise. Anzi, a giudicare dal comportamento non proprio esemplare del conte di Lemos e da come andarono le cose, non è del tutto azzardato avanzare l'ipotesi che questi si sia fatto avanti quale esponente del potere sotto la cui giurisdizione erano i Presidi, spinto dall’ interesse personale di venire in possesso dei dipinti lasciati dal Merisi.
È evidente, confrontando le date delle lettere, che il conte di Lemos inviò la lettera all' uditore dei Presidi quando ancora non era stato in­formato che i dipinti, dopo il sequestro del priore di Capua, si trovavano presso ministri regi. Tanto meno aveva ricevuto le rivendicazioni di Scipione Borghese, come giustamente aveva suggerito il Gentile (ma igno­riamo se il Borghese abbia mai scritto questa lettera!). Naturalmente su tutta la vicenda si dovette fare chiarezza quando, alla richiesta del Le­mos, l'uditore dovette spiegare gli equivoci e riferire che a Porto Ercole lo sfortunato Merisi aveva lasciato solo la sua vita! Resta da riferire dell'altro protagonista della lettera del Lemos, e cioè del priore di Capua fra' Vincenzo Carafa (Priore dell’Ordine di Malta nella sede a Capua). Costui, a rigor di logica, non aveva diritto a niente, ma la determinazione con la quale si inserì nella vicenda ere­ditaria potrebbe avergli fruttato un premio superiore alle sue stesse aspettative, se è vero che riuscì ad entrare in possesso della Maddalena.   
                La ricerca documentaria realizzata dal Pacelli era di estrema importanza per due ragioni: la prima concerneva la data della prima lettera riguardante la morte del Caravaggio che Scipione Borghese ricevette da un certo Lanfranco e che porta la data del 24 luglio. Data la lentezza con cui circolavano le informazioni, in assenza di una data certa della morte del pittore lombardo è verosimile supporre che il Lanfranco fosse venuto a conoscenza della morte del Merisi (pur trascurando l’errato luogo del decesso) il 24 di luglio o probabilmente  qualche giorno prima di scrivere la missiva al potente cardinale romano. L’informazione avuta da Lanfranco sulla morte di Michelangelo era esatta ed è presumibile che la fonte originaria dovette partire dalla località dove effettivamente morì: Porto Ercole. Fra Porto Ercole e Napoli corre una distanza di più di 350 kilometri e a quei tempi, sia che la missiva fosse giunta via mare, sia che fosse arrivata via terra, passavano almeno 4 o 5 giorni; a tale computo andava inoltre aggiunto il tempo incorrente fra la notizia ricevuta e la sua comunicazione al destinatario finale. Se la notizia fosse arrivata via mare tramite la felluca, che settimanalmente copriva quella distanza, non essendo a conoscenza dei giorni di partenza della imbarcazione medesima e affidandoci solo ad un calcolo temporale empirico, possiamo asserire che la felluca compiva tutto il tragitto in circa quattro giorni. Sulla base di queste considerazioni si può supporre che la morte del pittore vada collocata in una data antecedente a quella del 18 luglio, data che, dopo il ritrovamento nel 2001 di un foglietto riportante in tale giorno la morte del pittore, è stata da quasi tutti accettata come veritiera. La seconda ragione, per dare il giusto valore alla ricerca del Pacelli, è inerente al luogo di morte del pittore, Porto Ercole, e ci permette di comprendere le differenze intercorrenti fra la lettere del nunzio apostolico a Napoli, Deodato Gentile e il viceré di Napoli, conte di Lemos. Vi sono poi altri interessanti spunti riguardanti l’accesa polemica per il possesso dei quadri del pittore intercorsa fra la protettrice del Caravaggio, la Marchesa Costanza Sforza Colonna, il priore dei cavalieri di Malta di stanza a Capua, il prelato fiduciario del Scipione e lo stesso viceré di Napoli. Così come risulta degno di nota quel passo della prima lettera inviata dal Gentile al Borghese in cui esprime scetticismo e forti dubbi che i quadri che il Caravaggio portava con sé fossero solo tre. Quanti erano veramente questi quadri? Sarà difficile poter dare a questo quesito una risposta definitiva. E se i quadri fossero stati di più dei tre riportati dagli storici, gli altri che fine avranno fatto e quali pareti di privati e riservati collezionisti abbelliscono sfoderando la loro fulgente bellezza? Dubbi ed enigmi che avvolgono la vita del pittore e la infiammano di ulteriore fascino e attrazione. Man mano che procedevamo nella nostra avventura storico-documentale per dare luce e chiarezza agli ultimi giorni di vita del Merisi, ci trovavamo sempre di più immersi in un ginepraio di ombre e penombre che non ci permettevano di ricostruire con fedeltà e fondatezza oggettiva lo scorcio finale della presenza su questa terra del nostro Michelangelo.  

Nessun commento:

Posta un commento