Riprendiamo la ricerca effettuata da 5.11.2017ll'equipe guidata dal Dottor Vinceti sulla ricerca dei resti mortali del Caravaggio , cosi come fece con quelli del Leopardi del Boiardo ecc.
PER CHI VOLESSE "APPROFONDIRE VI DIAMO LE DATE DELLE PRECEDENTI USCITE
1-24.10.2017 2- 27.10.2017 3- 28.10.2017 4- 1.11.2017 5- 5.11.2017. 6- 11.11.2017 6 - 11.11.2017 7- 22.11.2017 8- 2.5.2018
CARAVAGGIO 9
Vi è anche una minuta che fu trovata da Danis
Mahon e O. Green presso l’Archivio di Stato di Napoli, mentre la lettera
originale con l’inventario non è mai stata rintracciata. Per motivi di
semplificazione riporto solo la traduzione in italiano: Magnifico Sgre. Mi è
stato riferito che a Porto Ercole è morto Michel angelo da Caravaggio, Pittore,
e che in vostro potere sono rimasti tutti i suoi beni, particolarmente quelli
che figurano nell'inventario che accompagna questa, per averne fatto confisca
sotto il pretesto che appartenesse all'ordine di san Giovanni e che spettasse
al priore di Capua, il quale ha dichiarato di non avervi nessun diritto non
essendo il defunto cavaliere di Malta, e così incarico voi, appena ricevuta
questa, di inviarmi i suddetti beni con la prima possibilità di Feluca che si
offrisse, e in modo particolare il quadro di san Giovanni Battista, e se per
caso qualcuno per qualsiasi motivo lo avesse rimosso da quei beni, cercate in
ogni modo che sia trovato e ricattato per inviarlo nelle migliori condizioni
con le restanti proprietà, per consegnarle qui a chi ne avesse diritto ed eseguito
tutto ciò senza replica, avvisandomi dell'arrivo di questa. Nostro Scrittoio.
Napoli, li 19 agosto 1610. (Cfr., Otis H. Green, Denis Mahon:
“Caravaggio’s death: A New Document” in The
Burlington magazine, giugno 1951, vol. 93, n. 57).
È doveroso segnalare a questo punto qualche
elemento di contraddizione evidente dal confronto della lettera del Gentile
spedita il 29 luglio, con questa inviata dal viceré il 19 agosto. In ambedue
si dice che il priore di Capua, quale massimo rappresentante dell'Ordine di
Malta nel Regno di Napoli, rivendica le "robbe" del Merisi perché
credeva che il pittore fosse morto come Cavaliere gerosolimitano, o fingendo di
ignorare che invece il pittore era stato espulso dall'Ordine, come ben sapeva
la marchesa di Caravaggio, la quale pertanto giudicava la richiesta del priore
una follia. Anche l'intervento del viceré, tutto orientato ad inserirsi nella
disputa per ricavarne il massimo profitto, è riportato dalla lettera del
Gentile con molta chiarezza.
Vediamo quindi quale sarebbe l'elemento di
contraddizione: nelle lettere di Deodato Gentile compaiono testimonianze
inoppugnabili che i beni del Merisi, e quindi i suoi quadri, a Napoli vengono
consegnati alla marchesa di Caravaggio e poi sequestrati da ministri regi.
Altra prova certa della presenza dei dipinti a Napoli ci viene offerta da una
copia del San Giovanni Battista che il viceré fa eseguire, mentre infine una
nuova testimonianza è quella notizia della lettera nella quale si dichiara che
i dipinti erano destinati al cardinale Scipione Borghese. Nella lettera che il
viceré spedisce all'uditore dei presidi di Toscana si sostiene che i beni del
Merisi, tra cui un dipinto raffigurante San Giovanni Battista, sarebbero stati
sequestrati a Porto Ercole! Ciò contrasta con le informazioni del Gentile. Se
queste informazioni invece sono esatte, e non abbiamo motivo di dubitarne, come
mai il conte di Lemos crede che i beni del Caravaggio e il "St. Juan
Bautista" si trovino a Porto Ercole? È possibile che ancora nessuno lo abbia
informato di una vicenda in cui erano stati chiamati in causa ministri regi? Ebbene,
gli eventi possono essere andati proprio così, risentendo della confusione e
della imprecisione delle informazioni che si determinarono alla morte del
Merisi; ricordiamo a tal proposito che il Borghese aveva avuto notizia che il
pittore era morto addirittura a Procida! E’ probabile, dunque, che i fatti si
siano svolti in questo modo: l'uditore dei Presidi di Toscana raccolse le
ultime parole del pittore ormai in preda alla febbre e forse al delirio. Il
Caravaggio dovette raccontare della feluca, delle sue "robbe" e dei
dipinti, dei quali forse ricordò appena un tema iconografico a lui molto caro:
quello di San Giovanni Battista.
Un racconto convulso, impreciso, fatto da
un uomo senza più speranza di vedere apparire quella felluca alla quale aveva
affidato tutti i suoi beni, le sue speranze, il sogno di riabilitarsi agli
occhi di quella città dalla quale un giorno era dovuto scappare. L'uditore dei
Presidi di Toscana o altri imprecisi informatori dovettero riferire al viceré
verosimilmente un racconto inesatto, frutto delle allucinazioni di un
febbricitante moribondo che dava per esistenti quei beni che, invece, non
c'erano più. Né va sottovalutata la possibilità che il viceré abbia invece
interpretato in modo errato o abbia intenzionalmente alterato notizie precise.
Anzi, a giudicare dal comportamento non proprio esemplare del conte di Lemos e
da come andarono le cose, non è del tutto azzardato avanzare l'ipotesi che
questi si sia fatto avanti quale esponente del potere sotto la cui giurisdizione
erano i Presidi, spinto dall’ interesse personale di venire in possesso dei
dipinti lasciati dal Merisi.
È evidente, confrontando le date delle
lettere, che il conte di Lemos inviò la lettera all' uditore dei Presidi quando
ancora non era stato informato che i dipinti, dopo il sequestro del priore di
Capua, si trovavano presso ministri regi. Tanto meno aveva ricevuto le
rivendicazioni di Scipione Borghese, come giustamente aveva suggerito il
Gentile (ma ignoriamo se il Borghese abbia mai scritto questa lettera!).
Naturalmente su tutta la vicenda si dovette fare chiarezza quando, alla
richiesta del Lemos, l'uditore dovette spiegare gli equivoci e riferire che a
Porto Ercole lo sfortunato Merisi aveva lasciato solo la sua vita! Resta da
riferire dell'altro protagonista della lettera del Lemos, e cioè del priore di
Capua fra' Vincenzo Carafa (Priore dell’Ordine di Malta nella sede a Capua).
Costui, a rigor di logica, non aveva diritto a niente, ma la determinazione con
la quale si inserì nella vicenda ereditaria potrebbe avergli fruttato un
premio superiore alle sue stesse aspettative, se è vero che riuscì ad entrare
in possesso della Maddalena.
La ricerca documentaria realizzata
dal Pacelli era di estrema importanza per due ragioni: la prima concerneva la
data della prima lettera riguardante la morte del Caravaggio che Scipione
Borghese ricevette da un certo Lanfranco e che porta la data del 24 luglio.
Data la lentezza con cui circolavano le informazioni, in assenza di una data
certa della morte del pittore lombardo è verosimile supporre che il Lanfranco
fosse venuto a conoscenza della morte del Merisi (pur trascurando l’errato
luogo del decesso) il 24 di luglio o probabilmente qualche giorno prima di scrivere la missiva
al potente cardinale romano. L’informazione avuta da Lanfranco sulla morte di
Michelangelo era esatta ed è presumibile che la fonte originaria dovette
partire dalla località dove effettivamente morì: Porto Ercole. Fra Porto Ercole
e Napoli corre una distanza di più di 350 kilometri e a quei tempi, sia che la
missiva fosse giunta via mare, sia che fosse arrivata via terra, passavano
almeno 4 o 5 giorni; a tale computo andava inoltre aggiunto il tempo incorrente
fra la notizia ricevuta e la sua comunicazione al destinatario finale. Se la
notizia fosse arrivata via mare tramite la felluca, che settimanalmente copriva
quella distanza, non essendo a conoscenza dei giorni di partenza della imbarcazione
medesima e affidandoci solo ad un calcolo temporale empirico, possiamo asserire
che la felluca compiva tutto il tragitto in circa quattro giorni. Sulla base di
queste considerazioni si può supporre che la morte del pittore vada collocata
in una data antecedente a quella del 18
luglio, data che, dopo il ritrovamento nel 2001 di un foglietto riportante in
tale giorno la morte del pittore, è stata da quasi tutti accettata come veritiera.
La seconda ragione, per dare il giusto valore alla ricerca del Pacelli, è inerente
al luogo di morte del pittore, Porto Ercole, e ci permette di comprendere le differenze
intercorrenti fra la lettere del nunzio apostolico a Napoli, Deodato Gentile e
il viceré di Napoli, conte di Lemos. Vi sono poi altri interessanti spunti
riguardanti l’accesa polemica per il possesso dei quadri del pittore intercorsa
fra la protettrice del Caravaggio, la Marchesa Costanza Sforza Colonna, il
priore dei cavalieri di Malta di stanza a Capua, il prelato fiduciario del
Scipione e lo stesso viceré di Napoli. Così come risulta degno di nota quel
passo della prima lettera inviata dal Gentile al Borghese in cui esprime
scetticismo e forti dubbi che i quadri che il Caravaggio portava con sé fossero
solo tre. Quanti erano veramente questi quadri? Sarà difficile poter dare a
questo quesito una risposta definitiva. E se i quadri fossero stati di più dei
tre riportati dagli storici, gli altri che fine avranno fatto e quali pareti di
privati e riservati collezionisti abbelliscono sfoderando la loro fulgente
bellezza? Dubbi ed enigmi che avvolgono la vita del pittore e la infiammano di
ulteriore fascino e attrazione. Man mano che procedevamo nella nostra avventura
storico-documentale per dare luce e chiarezza agli ultimi giorni di vita del
Merisi, ci trovavamo sempre di più immersi in un ginepraio di ombre e penombre
che non ci permettevano di ricostruire con fedeltà e fondatezza oggettiva lo
scorcio finale della presenza su questa terra del nostro Michelangelo.
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