domenica 31 maggio 2015

IL PASSATO CHE NON RITORNA !


Chi volesse visitare la mostra allestita nel salone del nostro castello deve obbligatoriamente procurarsi una copia del libro del nostro compianto Aldo Calderone. Chi ancora non la avesse può ancora trovarne qualche copia al Bar D’Amore grazie ai figli. Ma soprattutto deve averlo letto il libro perché è in uso da noi “accaparrarsi” sempre una copia senza dopo leggerla. Quindi bisogna “fare” la fatica di documentarsi prima di visitare la mostra. L’altro ieri siamo rimasti stupiti che in un momento le copie del libro del Prof. Lombino sono andate esauriti perché il libro non è stato “presentato” ma discusso e quindi bisognava averlo letto prima altrimenti …
La mostra che Ciro Spataro ha voluto portare a Marineo più che una mostra è una collezione di bandi  e grida di uno specifico periodo che un collezionista ha raccolto assieme ad altra documentazione del periodo cosidetto borbonico, frutto di simpatie e nostalgie di un periodo particolare della nostra storia e del nostro territorio. Questo tema dettagliatamente trattato dal nostro Aldo Calderone (discendente del nostro omonimo storico principale) che già nella prefazione “chiude” ogni speranza a futili nostalgie borboniche e che documenta ampiamente quel “1800 ,secolo maledetto per Marineo” che oggi si tenta di riproporre come “paradiso delle due sicilie” descrivendo il nostro risorgimento e casa Savoia come avventurieri e corruttori . 
 Originale che certifica che 150 anni fa abbiamo chiuso i conti coi borboni
Questo filone che ogni tanto ritorna grazie a “ordini”  nostalgici che vanno dalla patetica “documentazione” della Angela Pellizzari in difesa dello Stato Pontificio che pensa che i Mille fossero chierichetti mancati , se non delinquenti comuni ad altri che tendono a descrivere quasi un secolo di moti e  rivoluzioni  a livello di bande armate se non gesta di briganti nel secolo d’oro del brigantaggio. Se si leva La Conquista del Sud di Carlo Alianello del 1972 (per non parlare del Buttà Cappellano di Re Ferdinando che lo segui da Gaeta in poi nell’ esilio lasciandoci pagine di una bellissima umanità) ogni altro tentativo supera la storia per divenire folklore. Basti pensare alla “terza marina militare del tempo” che si fa fare beffe da due sgangherati mercantili degli armatori Rubattino con a bordo mille “straccioni” illusi di poter fare l’Italia “una e indivisibile”.
Per non parlare delle “grandi opere”  lasciate ai posteri il cui esempio più splendido sarebbe quell’anonimo parallelepipedo della ficuzza che alcuni vorrebbero paragonare ai castelli di caccia di Federico II di Svevia che prima di essere casine di caccia furono “opere d’arte” in tutti i sensi. Quindi certi “nostalgici” orgogliosi di ettari di “parchi” per una sola favorita dovrebbero rileggersi lo stato della popolazione e dei diritti dei “sudditi” in quel periodo che viene elogiato proprio dopo che il popolo in Francia fu costretto a decapitare nobili e preti in una rivoluzione che da noi arrivò tardi . La mostra è ben allestita , ben ordinata ma manca come sempre un gesto di comparazione cioè la realtà sociale del tempo bisogna dedurla perché non è chiaramente documentata. Ed ecco perché senza andare alla ricerca di certa bibliografia difficile o di parte basta il lib ro del Calderone che in questo caso zittisce alcuni saccenti beatificatori di sogni borbonici. Sarebbe bastato che il nostro Ciro Spataro (tra l’altro promotore e presentatore del libro del Calerone, con aiuti dello Scarpulla e del Benanti) nonché autore del ritrovato diario di un garibaldino locale) senza venir meno al gesto ospitale , ricordasse che questo comune votò all’unanimità per l’unità d’Italia e che il documento esposto nella mostra che parla dei 24 condannati di cui 8 a morte per l’omicidio dell’Arciprete Valente era già stato pubblicato descritto e commentato dal nostro Aldo Calderone che in questo caso entra a pieno diritto come storico nella nostra storia locale.  
Senza nulla togliere al gesto documentario del collezionista, se non si trattasse di panegirico di un tempo che non possiamo accettare come “paradiso delle due Sicilie”.

ps il disegno mostra Garibaldi a Ficuzza prima di passare da Marineo 

sabato 30 maggio 2015

SI CHIUDE BECCADELLI ARTE ED SI APRE AL COLLEZIONISMO



Sarà inaugurata sabato, alle ore 19.00, presso il Castello Beccadelli di Marineo una mostra di documenti storici e monete risalenti alla dinastia dei Borbone , casa reale del Regno delle due Sicilie che ha governato la nostra isola dal 1734 al 1861.
La mostra che l’Ordine Costantiniano di San Giorgio, grazie al patrocinio del Comune di Marineo e della Regione Siciliana Assessorato per i Beni Ambientali e dell’Identità Siciliana, presenta documenti e monete e per la prima volta anche elementi cartografici che evidenziano l’importanza del catasto borbonico.
La mostra permette di ammirare Ducati, Grana, Tornesi, e Cavalli e la studiosa Roberta La Bua ci permette di comprendere in modo semplice una prima visione delle monete.
Prima delle riforme di Carlo III, l'unitàmonetaria dell'isola era l'oncia, divisa in trenta tarì. Ogni tarì era formato da venti grani che a loro volta erano formati da sei "piccoli" o "denari". Carlo III, con dispaccio del 17 agosto1735 e con una legge del 29 dicembre 1745, ordinò che vi fosse un ragguaglio tra il sistema monetario della Sicilia e quello del "Carlino" napoletano. Con statuto del 20 aprile 1818, infine, si stabilì che sia per il Regno di Sicilia che per Napoli, l'unità monetaria fosse il ducato diviso in centesimi, detti "grani napoletani" o "bajocchi siciliani", a loro volta divisiin dieci parti detti "cavalli" o "calli". Ma quale fu la veste scultorea di tali monete? Daquando Carlo III arrivò a Palermo nel 1735, la zecca di codesta città cominciò a coniaremonete che solevano riportare nel dritto la testa del Re incoronata di allori, con attorno lascritta "Carulus. D.G. Sic. Et Hier. Rex”; mentre nel rovescio della moneta venne riportatal'aquila siciliana ad ali spiegate e con la testa incoronata ed attorno ad essa la scritta "Fausto Coronationis Anno". Per le successive coniature la scritta del rovescio fu "HispaniarumInfants". Solamente le monete da sei e tre tarì riportavano nel rovescio, come raffigurazione, una Croce greca con tre corone ed a queste, nel tempo, si aggiunsero altre coniature.
Il 6 ottobre 1753 il Reame passò a Ferdinando III e, nonostante le monete venissero coniate in proporzioni simili alle precedenti, vi fu un cambio nel modellato e nelle scritte. Permane l'aquila nel rovescio della moneta, ma la scritta divenne: "HispanInfans", oppure"HispaniarumInfans". Il dritto della moneta venne cambiato con la testa del nuovo Re.
Interessante è la moneta da dodici tarì, che portava nel retto il profilo di Ferdinando III conla scritta "Ferdinandus III. D.G.REX. TARI 12" e nel verso l'aquila con la ghirlanda di allorie con la scritta " UTR. SIC. HIER. INFANS. HISP. 1810". Durante tale periodo risultò sullafaccia del contorno esterno di alcune monete il motto "Nulla Dolo Via Sub. Bono Principe",ovvero "Nessun mezzo alla frode sotto un buon Principe", che ricordava "La legge punisce i produttori e gli spacciatori di moneta falsa" della lira italiana. Vi fu il bisogno di ricordarel'illegalità del falsificare la moneta, non solamente perché il "Buon Principe" non lo avrebbepermesso, ma soprattutto perché tale frode fu praticata da molti soggetti, al punto che nel1814 il Governo dovette improntare nuove coniature per evitare disordini. In tal modo siebbe la nuova serie, in rame, di dieci, cinque, due ed un grano, con nel dritto della moneta la testa del Monarca e la scritta "Ferd. III. P.F.A. SICIL. Et. HIER. REX." e nel verso undecoro a cornucopie intrecciate che si rifaceva all'iconografia delle monete siculo-greche,con il motto "FelicitasPublica", oppure veniva riportato una donna seduta e la scritta
"SecuritasPublica" oppure il Pegaso alato ed a seguire il grappolo d'uva. Interessante fuanche la moneta d'oro da due once, che per la prima volta riportò l'effige della Trinacria.
La monetazione sotto Ferdinando IV di Napoli non evolve di molto la storia della coniazione del periodo Risorgimentale, mentre di importanza notevole suscitano i fatti successi a seguito del 1789 e delle profonde trasformazioni dovute alla Rivoluzione Francese ed a Napoleone Bonaparte. Quando il 23 gennaio 1799 i francesi arrivarono a Napoli, imposero la Repubblica partenopea e la relativa moneta, scacciando le Aquile, "volate" via assieme ai Borbone che, nel frattempo, si rifugiarono a Palermo. Da quel momento nelle moneta di Napoli risultarono i ritratti di "Giuseppe Napoleone per la grazia di Dio, Re dell'una e dell'altra Sicilia" e successivamente "Gioacchino Napoleone Re delle due Sicilie", ovvero Murat. Gli altri simboli furono Partenope ed i simboli della Repubblica, ovvero la picca con il pileo, la ghirlanda di querce, oltre la trinacria. Il periodo della monetazione repubblicana finì l'8 dicembre del 1816 con il ritorno, a Napoli, di Ferdinando III di Sicilia, che divenne Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie e sul conio tornarono i simboli del Regno Borbonico. L'ultimo atto della storia borbonica fu di Francesco II, che divenne Re nel 1859, ma cadde dal trono solamente l'anno successivo, ritirandosi in esilio dapprima a Gaeta e successivamente a Roma. Durante tale breve periodo di regno sotto Francesco II, la monetazione non ebbe una grande storia, tranne che per qualche moneta, come i 120 grani ed alcune monete d'argento. La storia della monetazione borbonica ebbe la sua svolta finale con il Decreto del 17 agosto 1860, che unificò il sistema monetario di Napoli a quello d'Italia, del quale si può trovare ampio riferimento nel Giornale Officiale di Sicilia del 21 agosto del 1860, con successiva modifica del Regio Decreto del 28 luglio, che si trova nella raccolta off. delle Leggi e Decreti, Anno 1861, Vol. I, pag 372.
http://wpage.unina.it/dellaval/Borbone%20di%20Napoli/1732%20Carlo%2030tari.jpghttp://wpage.unina.it/dellaval/Borbone%20di%20Napoli/1750%20Carlo%20120g.jpg

http://wpage.unina.it/dellaval/Borbone%20di%20Napoli/1760%20FerdIV%2060g.jpghttp://wpage.unina.it/dellaval/Borbone%20di%20Napoli/1784%20FerdIV%201d.jpg

http://wpage.unina.it/dellaval/Borbone%20di%20Napoli/1818%20FerdI%2030d.jpghttp://wpage.unina.it/dellaval/Borbone%20di%20Napoli/1825%20FrancI%2030d.jpg

Il materiale esposto è stato gentilmente reso disponibile per l’evento da due collezionistidell’Ordine Costantiniano di san Giorgio, il Delegato Vicariodott. Antonio di Janni e il  Dr. Salvatore Romano.

NASCE LA SOCIETà DI MUTUO SOCCORSO CULTURALE

SOCIETà DI MUTUO SOCCORSO CULTURALE
Ci attende un venerdì sera davvero "importante". Al Castello Beccadelli di Marineo alle ore 20.30 discuteremo dell'ultimo libro di Santo Lombino che racchiude in se i quattro secoli di storia di Bolognetta. Grazie a Nino Scarpulla allargheremo gli orizzonti al nostro comprensorio con approfondimenti su 500 e 600. Nino Triolo ci intratterrà sulla conflittualità politica dopo l'unità d'Italia con particolare attenzione alle lotte tra le famiglie di civili e cappeddi per la conquista dei governi cittadini. Infine Franco Virga analizzerà la nascita dei movimenti contadini e sindacali e la loro sfida al potere mafioso. Avremo modo di ascoltare anche Santo Lombino autore del libro dando spazio alle domande del pubblico. L'intrattenimento musicale sarà curato da Massimiliano Lo Pinto con brani scelti proprio per l'occasione.
Infine faremo il punto sul futuro della ricerca storica nel nostro paese e perciò invitiamo anche i giovani che fossero incuriositi di scoprire le loro radici a mettersi in gioco. Dimenticavo, io cercherò di legare i vari interventi, fiducioso della vostra benevolenza. A domani Nino Di Sclafani
HYDE PARK
Infoline 3291864953
Venerdi 29 Maggio 2015 ORE 20.30
Castello Beccadelli Bologna
“CHI FUR LI MAGGIORI TUA”
Ciclo di incontri e di conferenze nell’ambito di Hyde Park.
Nell’occasione si discuterà del volume del Prof. Santo Lombino edito recentemente a Bolognetta
che tratta specificatamente del nostro territorio.
Interventi di :
Santo Lombino, Antonino Di Sclafani
Antonino Scarpulla, Nino Triolo,Franco Virga
.Con il Patrocinio del:
Comune di Marineo
Sopraintendenza ai Beni Culturali
Si ringrazia Massimiliano Lo Pinto
L’idea nasce dalla vecchia tradizione londinese di Hyde Park dove chiunque poteva salire su uno sgabello e parlare liberamente. Era uno spazio pubblico dentro un grande parco
dove la libertà era la sola Signora. E cosi dai senzatetto al professore universitario potevano esprimersi liberamente. dove non ci sono né conduttori né “addetti alla cultura”
In collaborazione con Il Guglielmo, Foto Antonino Vitrano e il ristorante
Al castello, dove si concluderà la serata
LA ROCCA BIANCA Coop.a r.l.
Il libro sarà disponibile in sala

mercoledì 27 maggio 2015

sabato 23 maggio 2015

QUANDO QUELLI DEL NORD VENIVANO AL SUD



                                                       Quando quelli del Nord venivano al Sud

Luci ed ombre del casato dei Beccadelli di Bologna, signori di Marineo: spregiudicati uomini politici ma anche  capitani d’arma coraggiosi, pretori, arcivescovi, deputati del Regno e dediti al conforto religioso dei condannati a morte  nella Compagnia dei bianchi

Qualche anno fa una querelle apparsa su uno dei blog nostrani, a margine della festa del Marchesato di Marineo, era se la famiglia  Beccadelli–Bologna meritasse la celebrazione essendo stata la loro una storia di vessazioni, di mancanza di diritti e di sfruttamento, addirittura un marchesato “sanguinario’’. E’ storicamente confermato che i membri della famiglia Beccadelli–Bologna sono stati abili e spregiudicati uomini politici determinati a raggiungere le vette del potere. E come non approfittare, del resto, delle numerose opportunità di promozione sociale che Palermo quale capitale del Regno e sede di Viceré, oltre che di importanti tribunali, offriva a coloro che disponevano di mezzi finanziari e di rete di relazioni adeguate? I feudatari all’epoca potevano esercitare giurisdizione penale e civile sui vassalli e sul territorio di pertinenza. Avevano inoltre funzioni amministrative e fiscali con un dominio signorile pieno sul territorio e i suoi abitanti. E’ possibile che taluni avessero abusato di tanto potere.  
Ripercorriamo brevemente alcuni momenti della storia di questo casato. Nel 1303 il nobile Vannino Beccadelli arrivò a Palermo con la sua famiglia perché costretto a mettersi in salvo lontano da Bologna, dove imperversavano le lotte tra guelfi e ghibellini, inserendosi abilmente nell’aristocrazia panormita e assumendo importanti funzioni diplomatiche e politiche. Nel 1549 Francesco Beccadelli acquistò dalla Regia Corte il territorio di Marineo con facoltà di popolarlo; costruì case e castello attraendo nuovi contadini, affittuari e piccoli impresari agricoli. Si deve ad un saggio dello storico Antonino Scarpulla la ricostruzione minuziosa della fondazione di  Marineo.
Il marchese Vincenzo Beccadelli di Bologna, uno dei maggiori esponenti, era nato in data non nota nella prima metà del Cinquecento. Era succeduto nel marchesato di Marineo al padre Gilberto nel 1577. Come era consuetudine di quei tempi Vincenzo Beccadelli incaricò un illustre membro della famiglia, Baldassare di Bernardino di Bologna, di ricostruire la storia del casato a partire dalle origini, intendendo così affermare il ruolo di primo piano svolto nel governo della città di Palermo. Il marchese viene descritto in questa agiografia come “signore assai savio e prudente ne i governi, e per le sue rare qualità e virtù fu molto universalmente amato”.           
Oggi è possibile consultare il manoscritto “Descrizione della casa e famiglia di Bologna”, che comprende anche la ricostruzione dell’albero genealogico, alla Biblioteca comunale di Palermo.             
Il marchese Vincenzo Beccatelli combattè nel 1571 nella battaglia di Lepanto tra le golette musulmane dell’Impero Ottomano e quella cristiana della Lega Santa che riuniva tra le forze navali anche otto galee spagnole e siciliane. L’anno successivo fu generale nella battaglia di Navarrino contro i Turchi. Fu nominato colonnello di quattro compagnie,  composte da elementi delle più illustri famiglie siciliane, da avventurieri di ogni genere e da volontari del popolo siciliano.
Aveva svolto diversi importanti incarichi: ambasciatore presso Filippo II nel 1584 e 1588, nel Consiglio di Guerra del Re, per due volte pretore di Palermo, quattro volte deputato e vicario del Regno contro i banditi nel 1604.
Fu per ben tre volte governatore nella Compagnia dei Bianchi, fondata dal viceré Ferdinando Gonzaga, nata con lo scopo di dare conforto religioso ai condannati per una morte dignitosa, ruolo coperto anche da altri suoi antenati e si dice abbia salvato dalla forca un giovane marinese.  Fu strategoto di Messina, una sorta di governatore, ma per  le irregolarità commesse fu condannato a una grossa pena pecuniaria e alla ”inabilitazione” perpetua dagli uffici per le irregolarità commesse.
Fu coinvolto nelle indagini svolte dal visitatore spagnolo Ochoa de Luyando - la strategia messa a punto dalla monarchia per il controllo politico, giudiziario e amministrativo dei vari territori. I 600 processi contro ufficiali e funzionari della Corona si conclusero con la condanna di  154 persone tra cui il nonno Francesco.
Al marchese toccò di affrontare il declino economico del casato e alla sua morte, nel 1615, gli successe il primogenito Francesco che morì nel 1634 senza eredi, come il fratello Giovanni.  Il  feudo e il titolo di marchese di Marineo passarono a Vincenzo Pilo Calvello che aveva sposato Giulia una delle quattro figlie femmine di Vincenzo Bologna. Così si estinse definitivamente la linea maschile dei Beccadelli di Bologna di  Marineo.

Mariolina Sardo




giovedì 21 maggio 2015

PER SAPERNE DI PIù



Il libro, avvalendosi di una documentazione archivistica in gran parte inedita, della memoria dei testimoni, di un’ampia ricerca bibliografica, ripercorre con rigore scientifico e gradevolezza narrativa la plurisecolare vicenda di una delle centinaia di “città nuove” sorte in Sicilia durante la colonizzazione interna  che cambiò il volto dell’isola tra il XIV e il XIX secolo.
All’inizio del Seicento, in una zona situata tra l’”asprezza dannata” del feudo e la “mollezza lasciva” della Conca d’oro, nasceva attorno ad un fondaco, per volontà della potente famiglia Bologna e del mercante Mancino, il villaggio rurale di Santa Maria dell’Ogliastro, dal 1883 ribattezzato Bolognetta, che conta oggi più di quattromila abitanti, in provincia di Palermo.
La comunità si sviluppa sotto il “mero e misto imperio” dei marchesi Mancino e grazie al lavoro di braccianti, mezzadri, contadini piccoli e medi, balie ed imprenditrici, artigiani e ceto medio in un territorio dalle risorse limitate, posto all’incrocio di importanti vie di comunicazione. L’Ottocento, dominato dallo scontro tra i proprietari terrieri ed il ceto dei “civili”, sarà un secolo di rivolte popolari e disordine amministrativo, mentre il Novecento si aprirà con la recrudescenza del fenomeno mafioso e con il grande esodo migratorio che fa nascere oltreoceano una “Bolognetta fuori di sé”, una comunità derivata in relazione continua con quella originaria.


IL VOLUNE SARà DISPONIBILE IN SALA DURANTE  L'INCONTRO CHE SI TERRà IL 29 MAGGIO ALLE ORE 20.30.