Sarà inaugurata sabato, alle ore
19.00, presso il Castello Beccadelli di Marineo una mostra di documenti storici
e monete risalenti alla dinastia dei Borbone , casa reale del Regno delle due
Sicilie che ha governato la nostra isola dal 1734 al 1861.
La mostra che l’Ordine
Costantiniano di San Giorgio, grazie al patrocinio del Comune di Marineo e
della Regione Siciliana Assessorato per i Beni Ambientali e dell’Identità
Siciliana, presenta documenti e monete e per la prima volta anche elementi
cartografici che evidenziano l’importanza del catasto borbonico.
La
mostra permette di ammirare Ducati, Grana, Tornesi, e Cavalli e la studiosa Roberta La Bua ci permette di comprendere
in modo semplice una prima visione delle monete.
Prima delle riforme di Carlo III,
l'unitàmonetaria dell'isola era l'oncia, divisa in trenta tarì. Ogni tarì era
formato da venti grani che a loro volta erano formati da sei
"piccoli" o "denari". Carlo III, con dispaccio del 17
agosto1735 e con una legge del 29 dicembre 1745, ordinò che vi fosse un
ragguaglio tra il sistema monetario della Sicilia e quello del
"Carlino" napoletano. Con statuto del 20 aprile 1818, infine, si
stabilì che sia per il Regno di Sicilia che per Napoli, l'unità monetaria fosse
il ducato diviso in centesimi, detti "grani napoletani" o
"bajocchi siciliani", a loro volta divisiin dieci parti detti
"cavalli" o "calli". Ma quale fu la veste scultorea di tali
monete? Daquando Carlo III arrivò a Palermo nel 1735, la zecca di codesta città
cominciò a coniaremonete che solevano riportare nel dritto la testa del Re
incoronata di allori, con attorno lascritta "Carulus. D.G. Sic. Et Hier.
Rex”; mentre nel rovescio della moneta venne riportatal'aquila siciliana ad ali
spiegate e con la testa incoronata ed attorno ad essa la scritta "Fausto
Coronationis Anno". Per le successive coniature la scritta del rovescio fu
"HispaniarumInfants". Solamente le monete da sei e tre tarì
riportavano nel rovescio, come raffigurazione, una Croce greca con tre corone
ed a queste, nel tempo, si aggiunsero altre coniature.
Il 6 ottobre 1753 il Reame passò
a Ferdinando III e, nonostante le monete venissero coniate in proporzioni
simili alle precedenti, vi fu un cambio nel modellato e nelle scritte. Permane
l'aquila nel rovescio della moneta, ma la scritta divenne:
"HispanInfans", oppure"HispaniarumInfans". Il dritto della
moneta venne cambiato con la testa del nuovo Re.
Interessante è la moneta da
dodici tarì, che portava nel retto il profilo di Ferdinando III conla scritta
"Ferdinandus III. D.G.REX. TARI 12" e nel verso l'aquila con la
ghirlanda di allorie con la scritta " UTR. SIC. HIER. INFANS. HISP.
1810". Durante tale periodo risultò sullafaccia del contorno esterno di
alcune monete il motto "Nulla Dolo Via Sub. Bono Principe",ovvero
"Nessun mezzo alla frode sotto un buon Principe", che ricordava
"La legge punisce i produttori e gli spacciatori di moneta falsa"
della lira italiana. Vi fu il bisogno di ricordarel'illegalità del falsificare
la moneta, non solamente perché il "Buon Principe" non lo avrebbepermesso,
ma soprattutto perché tale frode fu praticata da molti soggetti, al punto che
nel1814 il Governo dovette improntare nuove coniature per evitare disordini. In
tal modo siebbe la nuova serie, in rame, di dieci, cinque, due ed un grano, con
nel dritto della moneta la testa del Monarca e la scritta "Ferd. III.
P.F.A. SICIL. Et. HIER. REX." e nel verso undecoro a cornucopie
intrecciate che si rifaceva all'iconografia delle monete siculo-greche,con il
motto "FelicitasPublica", oppure veniva riportato una donna seduta e
la scritta
"SecuritasPublica"
oppure il Pegaso alato ed a seguire il grappolo d'uva. Interessante fuanche la
moneta d'oro da due once, che per la prima volta riportò l'effige della
Trinacria.
La monetazione sotto Ferdinando
IV di Napoli non evolve di molto la storia della coniazione del periodo
Risorgimentale, mentre di importanza notevole suscitano i fatti successi a
seguito del 1789 e delle profonde trasformazioni dovute alla Rivoluzione
Francese ed a Napoleone Bonaparte. Quando il 23 gennaio 1799 i francesi
arrivarono a Napoli, imposero la Repubblica partenopea e la relativa moneta,
scacciando le Aquile, "volate" via assieme ai Borbone che, nel
frattempo, si rifugiarono a Palermo. Da quel momento nelle moneta di Napoli risultarono
i ritratti di "Giuseppe Napoleone per la grazia di Dio, Re dell'una e
dell'altra Sicilia" e successivamente "Gioacchino Napoleone Re delle
due Sicilie", ovvero Murat. Gli altri simboli furono Partenope ed i
simboli della Repubblica, ovvero la picca con il pileo, la ghirlanda di querce,
oltre la trinacria. Il periodo della monetazione repubblicana finì l'8 dicembre
del 1816 con il ritorno, a Napoli, di Ferdinando III di Sicilia, che divenne
Ferdinando I Re del Regno delle due Sicilie e sul conio tornarono i simboli del
Regno Borbonico. L'ultimo atto della storia borbonica fu di Francesco II, che
divenne Re nel 1859, ma cadde dal trono solamente l'anno successivo,
ritirandosi in esilio dapprima a Gaeta e successivamente a Roma. Durante tale
breve periodo di regno sotto Francesco II, la monetazione non ebbe una grande
storia, tranne che per qualche moneta, come i 120 grani ed alcune monete
d'argento. La storia della monetazione borbonica ebbe la sua svolta finale con
il Decreto del 17 agosto 1860, che unificò il sistema monetario di Napoli a
quello d'Italia, del quale si può trovare ampio riferimento nel Giornale
Officiale di Sicilia del 21 agosto del 1860, con successiva modifica del Regio
Decreto del 28 luglio, che si trova nella raccolta off. delle Leggi e Decreti,
Anno 1861, Vol. I, pag 372.
Il materiale esposto è stato
gentilmente reso disponibile per l’evento da due collezionistidell’Ordine
Costantiniano di san Giorgio, il Delegato Vicariodott. Antonio di Janni e il Dr. Salvatore Romano.
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