Per il 29 maggio alle ore 20 ci troveremo al Castello dove "incontreremo" il Prof.Santo Lombino, amico storico di Marineo, per discutere del suo ultimo libro in special modo per la parte riguardante il territorio di Marineo. Con il permesso dell'autore vi diamo un saggio estratto dal predetto libro che è uno spaccato del tempo, al tempo che "scorreva" buon sangue fra la comunità di Bolognetta e quella marinese. Per fortuna oggi le cose vanno un pò meglio perchè le due comunità oggi si scambiano ben altro : si scambiano l'amore ! Innumerevoli i matrimoni , le amicizie...
ps. iniziamo a pubblicare una serie di interventi sul tema invitando chi volesse a partecipare
Le relazioni di
amicizia, di parentela, i matrimoni, i rapporti di lavoro e di scambio
commerciale tra gli abitanti di Ogliastro e quelli del confinante comune di
Marineo sono stati assai intensi sin da quando sono nate le due comunità. I
rapporti di buon vicinato hanno convissuto, come è accaduto in altri casi, con manifestazioni più o meno
eclatanti di campanilismo, a volte scherzoso, a volte meno.
Gli abitanti di
Marineo, ad esempio, venivano apostrofati col dispregiativo di tabbariati, ovverossia “linguacciuti”.[1]
Per tutta risposta, i marinesi marchiavano gli ogliastresi con l’appellativo di
panzuti. La pancia di molti di loro,
infatti, cresceva a causa dell’ingrandirsi del fegato dovuto alla malaria,
malattia causata della presenza di zone paludose a valle dell’abitato. “Il fegato man mano s’ingrossava e vedevi
tutta questa gente qua... con la pancia grossa grossa. Panzarotti li chiamavano…” così scrive Antonio Pennacchi a
proposito di quanto avveniva in Lazio, nelle paludi pontine dei primi anni del
XX secolo.[2]Capitava anche
che si passasse dalle parole (e dai pregiudizi) ai fatti, arrivando perfino a
scontri fisici di massa. A metà ottocento una furibonda lite portò gli abitanti
della futura Bolognetta e quelli di Marineo a scontrarsi in modo tale da
indurre le autorità borboniche, tra cui il famigerato direttore di Polizia
Salvatore Maniscalco ad intervenire severamente.
Tutto ebbe
inizio a S. Maria di Ogliastro il lunedì di Pasqua, il giorno 12 di aprile,
quando, probabilmente in occasione della festa straordinaria per il patrono
Sant’Antonio da Padova, si tenne la
tradizionale corsa dei cavalli, a cui solitamente assistevano diverse centinaia
di persone convenute da diversi comuni. In quella occasione “accadeva briga tra
Vincenzo Romano da Ogliastro e un marinese”[3]
non meglio identificato. Ciascuno dei due sosteneva infatti che era stato il
fantino della propria scuderia a conquistare la palma della vittoria nella
importante contesa sportiva. Gli animi si esacerbarono al punto che solo
l’intervento di Antonino Castellini, giudice regio di prima classe di
Misilmeri, al cui mandamento apparteneva Ogliastro, poté evitare che si
arrivasse ad aperta violenza tra gruppi di abitanti dei due comuni. Sembrava
tutto superato, ma a tarda sera un gruppo di abitanti di Marineo fu cacciato
via a sassate e i festeggiamenti furono prematuramente interrotti.[4]Il fuoco covò
sotto la cenere da aprile ad agosto, fino ai festeggiamenti in onore di San
Ciro, patrono di Marineo, che si svolgono annualmente nella seconda metà di
quel mese. Fu allora che il contendente marinese, unitosi ad altri compaesani,
tese col favore del buio un agguato “a circa un miglio “dal centro abitato di
Marineo, e “malmenò forte a pietre” il l’ogliastrese Romano con i suoi amici:
secondo il giudice Castellini, l’imboscata avvenne mentre Romano “fea ritorno
in patria circa le ore quattro”. Secondo il giudice Vincenzo Vergallo, invece, i marinesi “attendevano come al varco i loro
contendenti” e li prendevano a sassate, impedendo loro di avvicinarsi al paese.
Di conseguenza uno degli abitanti di Ogliastro, riferì Vergallo al Direttore di
Polizia Maniscalco, “dovette precipitarsi per il pendio di una contrada che denominasi
la guerra onde evitare che male ne
venisse”.[5]Sembrava ormai
impossibile fermare la spirale di odio che si era innescata tra gli abitanti
dei due comuni limitrofi. “Crucciati gli ogliastresi di una vendetta
inopportuna, vandalicamente pensarono la dimani vendicare l’offesa sopra due
marinesi che per azzardo trovavansi nel territorio di Ogliastro e che nessuna
parte aveano avuto nei precedenti accorsi e li percossero gravemente sol perché
erano naturali di quel comune”.[6]
Uno di loro “ebbe rotto il braccio e la scapola”. [7]Una banale
diatriba tra sostenitori di fantini si era trasformata quindi in un serio
problema di ordine pubblico. Come riferisce al Prefetto il giudice regio
Antonino Castellini, seriamente preoccupato che la “gara municipale tra i due
comuni oramai divenuti rivali” producesse “tristi conseguenze”, la lite stava
degenerando in faida, rendendo impossibile
agli abitanti dei due paesi la libera circolazione nel comune limitrofo
per motivi di lavoro o per commercio.
Per riportare la
calma, i due magistrati concertarono di passare alle maniere forti facendo
intervenire le forze dell’ordine. Il giudice di Misilmeri dispose l’arresto
degli ogliastresi Vincenzo e Placido Romano, Antonino Bertola, Gaspare Oddo e
Giovanni Fusillo, sospettati di avere percosso i due marinesi, mentre il
giudice regio di Marineo fece ammanettare nel comune di sua competenza
Giuseppe, Carmelo, Salvatore e Raffaele Delisi, Domenico Sciarabba,
Giambattista Lo Proto, sospettati dell’agguato a Romano.
Ai primi di settembre
1852, i due gruppi vengono reclusi nelle carceri circondariali e poi condotti
ad Ogliastro, dove erano sorti i primi alterchi, e lì pubblicamente costretti a
riappacificarsi “con promessa di stimarsi come a fratelli”. I contendenti
furono solennemente avvertiti che ogni
minima disputa che fosse ripresa, avrebbe messo in moto ancora l’apparato
repressivo della “forza pubblica”, facendo mettere o ritornare in ceppi
chiunque avesse continuato a farsi la guerra. Immaginiamo che la pubblica
conciliazione in funzione di severo ammonimento sia avvenuta in piazza, con
tanti gendarmi e grandi ali di folla. “I suddetti arrestati”, comunicò
trionfalmente Vergallo alle superiori autorità, “sonosi dati un amplesso di
pace e gli uni e gli altri hanno fatto solenne e pubblica promissione di
guardarsi per lo avvenire come ad amici e fratelli in veneranza delle leggi e
della tranquillità che il Real governo ha prescritto”.[8]Purtroppo, gli
scontri, se pure limitati a gruppi di giovani dei due comuni, continuarono per tutto
il secolo successivo.
IL GRANO L’ULIVO E L’OGLIASTRO, pagg.88-90
[1] Cfr. A. TRAINA, Vocabolario siciliano-italiano, cit.
[2] A. PENNACCHI, Canale Mussolini, Mondadori, Milano
2010, pag. 207.
[3]ASP, RS, Polizia, doc.
5247, f. 788, 2 settembre 1852. Lettera del giudice regio di prima classe
Antonino Castellini.
[4] Fu forse in questa
occasione che fu coniato il detto “Finì com’a festa d’Aggliastru”, E’
finita come la festa di Ogliastro, usato ancora oggi per indicare il
fallimento di un festeggiamento o qualsivoglia iniziativa collettiva preparata
con grande cura.
[5] ASP, RS, Polizia, doc.
5247, f. 788, 2 settembre 1852. Lettera del giudice Vergallo al Direttore di
polizia presso il Ministero e Real segreteria di Stato.
[6] Ivi, Lettera del
giudice regio di prima classe Antonino Castellini.
[7] Ivi, Lettera del
giudice Vergallo al Direttore di polizia presso il Ministero e Real segreteria
di Stato.
[8] Ivi.
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