sabato 16 maggio 2015

HYDE PARK : CHI FUR LI MAGGIORI TUA !


Per il 29 maggio alle ore 20 ci troveremo al Castello dove "incontreremo" il Prof.Santo Lombino, amico storico di Marineo, per discutere del suo ultimo libro in special modo per la parte riguardante il territorio di Marineo. Con il permesso dell'autore vi diamo un saggio estratto dal predetto libro   che è uno spaccato del tempo, al tempo che "scorreva" buon sangue fra la comunità di Bolognetta e quella marinese. Per fortuna oggi le cose vanno un pò meglio perchè le due comunità oggi si scambiano ben altro : si scambiano l'amore ! Innumerevoli i matrimoni , le amicizie...
ps. iniziamo a pubblicare una serie di interventi sul tema invitando chi volesse a partecipare




1.                 La festa e il campanile
Le relazioni di amicizia, di parentela, i matrimoni, i rapporti di lavoro e di scambio commerciale tra gli abitanti di Ogliastro e quelli del confinante comune di Marineo sono stati assai intensi sin da quando sono nate le due comunità. I rapporti di buon vicinato hanno convissuto, come è accaduto  in altri casi, con manifestazioni più o meno eclatanti di campanilismo, a volte scherzoso, a volte meno.
Gli abitanti di Marineo, ad esempio, venivano apostrofati col dispregiativo di tabbariati, ovverossia “linguacciuti”.[1] Per tutta risposta, i marinesi marchiavano gli ogliastresi con l’appellativo di panzuti. La pancia di molti di loro, infatti, cresceva a causa dell’ingrandirsi del fegato dovuto alla malaria, malattia causata della presenza di zone paludose a valle dell’abitato.  “Il fegato man mano s’ingrossava e vedevi tutta questa gente qua... con la pancia grossa grossa. Panzarotti li chiamavano…” così scrive Antonio Pennacchi a proposito di quanto avveniva in Lazio, nelle paludi pontine dei primi anni del XX secolo.[2]Capitava anche che si passasse dalle parole (e dai pregiudizi) ai fatti, arrivando perfino a scontri fisici di massa. A metà ottocento una furibonda lite portò gli abitanti della futura Bolognetta e quelli di Marineo a scontrarsi in modo tale da indurre le autorità borboniche, tra cui il famigerato direttore di Polizia Salvatore Maniscalco ad intervenire severamente.
Tutto ebbe inizio a S. Maria di Ogliastro il lunedì di Pasqua, il giorno 12 di aprile, quando, probabilmente in occasione della festa straordinaria per il patrono Sant’Antonio da Padova,  si tenne la tradizionale corsa dei cavalli, a cui solitamente assistevano diverse centinaia di persone convenute da diversi comuni. In quella occasione “accadeva briga tra Vincenzo Romano da Ogliastro e un marinese”[3] non meglio identificato. Ciascuno dei due sosteneva infatti che era stato il fantino della propria scuderia a conquistare la palma della vittoria nella importante contesa sportiva. Gli animi si esacerbarono al punto che solo l’intervento di Antonino Castellini, giudice regio di prima classe di Misilmeri, al cui mandamento apparteneva Ogliastro, poté evitare che si arrivasse ad aperta violenza tra gruppi di abitanti dei due comuni. Sembrava tutto superato, ma a tarda sera un gruppo di abitanti di Marineo fu cacciato via a sassate e i festeggiamenti furono prematuramente interrotti.[4]Il fuoco covò sotto la cenere da aprile ad agosto, fino ai festeggiamenti in onore di San Ciro, patrono di Marineo, che si svolgono annualmente nella seconda metà di quel mese. Fu allora che il contendente marinese, unitosi ad altri compaesani, tese col favore del buio un agguato “a circa un miglio “dal centro abitato di Marineo, e “malmenò forte a pietre” il l’ogliastrese Romano con i suoi amici: secondo il giudice Castellini, l’imboscata avvenne mentre Romano “fea ritorno in patria circa le ore quattro”. Secondo il giudice Vincenzo Vergallo, invece,  i marinesi “attendevano come al varco i loro contendenti” e li prendevano a sassate, impedendo loro di avvicinarsi al paese. Di conseguenza uno degli abitanti di Ogliastro, riferì Vergallo al Direttore di Polizia Maniscalco, “dovette precipitarsi per il pendio di una contrada che denominasi la guerra onde evitare che male ne venisse”.[5]Sembrava ormai impossibile fermare la spirale di odio che si era innescata tra gli abitanti dei due comuni limitrofi. “Crucciati gli ogliastresi di una vendetta inopportuna, vandalicamente pensarono la dimani vendicare l’offesa sopra due marinesi che per azzardo trovavansi nel territorio di Ogliastro e che nessuna parte aveano avuto nei precedenti accorsi e li percossero gravemente sol perché erano naturali di quel comune”.[6] Uno di loro “ebbe rotto il braccio e la scapola”. [7]Una banale diatriba tra sostenitori di fantini si era trasformata quindi in un serio problema di ordine pubblico. Come riferisce al Prefetto il giudice regio Antonino Castellini, seriamente preoccupato che la “gara municipale tra i due comuni oramai divenuti rivali” producesse “tristi conseguenze”, la lite stava degenerando in faida, rendendo impossibile  agli abitanti dei due paesi la libera circolazione nel comune limitrofo per motivi di lavoro o per commercio.
Per riportare la calma, i due magistrati concertarono di passare alle maniere forti facendo intervenire le forze dell’ordine. Il giudice di Misilmeri dispose l’arresto degli ogliastresi Vincenzo e Placido Romano, Antonino Bertola, Gaspare Oddo e Giovanni Fusillo, sospettati di avere percosso i due marinesi, mentre il giudice regio di Marineo fece ammanettare nel comune di sua competenza Giuseppe, Carmelo, Salvatore e Raffaele Delisi, Domenico Sciarabba, Giambattista Lo Proto, sospettati dell’agguato a Romano.
Ai primi di settembre 1852, i due gruppi vengono reclusi nelle carceri circondariali e poi condotti ad Ogliastro, dove erano sorti i primi alterchi, e lì pubblicamente costretti a riappacificarsi “con promessa di stimarsi come a fratelli”. I contendenti furono solennemente  avvertiti che ogni minima disputa che fosse ripresa, avrebbe messo in moto ancora l’apparato repressivo della “forza pubblica”, facendo mettere o ritornare in ceppi chiunque avesse continuato a farsi la guerra. Immaginiamo che la pubblica conciliazione in funzione di severo ammonimento sia avvenuta in piazza, con tanti gendarmi e grandi ali di folla. “I suddetti arrestati”, comunicò trionfalmente Vergallo alle superiori autorità, “sonosi dati un amplesso di pace e gli uni e gli altri hanno fatto solenne e pubblica promissione di guardarsi per lo avvenire come ad amici e fratelli in veneranza delle leggi e della tranquillità che il Real governo ha prescritto”.[8]Purtroppo, gli scontri, se pure limitati a gruppi di giovani dei due comuni, continuarono per tutto il secolo successivo.
IL GRANO L’ULIVO E L’OGLIASTRO, pagg.88-90


[1] Cfr. A. TRAINA, Vocabolario siciliano-italiano, cit.
[2] A. PENNACCHI, Canale Mussolini, Mondadori, Milano 2010, pag. 207.
[3]ASP, RS, Polizia, doc. 5247, f. 788, 2 settembre 1852. Lettera del giudice regio di prima classe Antonino Castellini.
[4] Fu forse in questa occasione che fu coniato il detto “Finì com’a festa d’Aggliastru”, E finita come la festa di Ogliastro, usato ancora oggi per indicare il fallimento di un festeggiamento o qualsivoglia iniziativa collettiva preparata con grande cura.
[5] ASP, RS, Polizia, doc. 5247, f. 788, 2 settembre 1852. Lettera del giudice Vergallo al Direttore di polizia presso il Ministero e Real segreteria di Stato.
[6] Ivi, Lettera del giudice regio di prima classe Antonino Castellini.
[7] Ivi, Lettera del giudice Vergallo al Direttore di polizia presso il Ministero e Real segreteria di Stato.
[8] Ivi.

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