I chiodi della Croce di Gesù
“Ma Tommaso disse: ‘Se non vedo
nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi…
non crederò.’ ” Gv 20,25
E’ il Vangelo stesso che ci
parla dei chiodi con i quali Gesù è stato trafitto e fissato sulla croce. Ma
quanti erano? Nel 1870 nelle cattedrali e nei tesori delle chiese europee ne
furono contati 33 ma la notizia non è precisa perché alcuni chiodi furono
spostati e nell’elenco risultarono in tutte e due i luoghi e di altri
menzionati non esistono più le tracce. Oltre
ai sacri chiodi di Santa croce (trovati da santa Elena)possono esserci solo
altri due chiodi autentici oltre a sei o sette chiodi che potevano essere
serviti a fissare il patibulumcon il titulus. Come a tutte le reliquie della
passione di Gesù, anche ai chiodi si attribuiva una forza salvifica e per
questo motivo furono incorporati negli oggetti che usavano gli imperatori – le
briglie dell’imperatore Costantino oppure la sua corona. Secondo la tradizione legata a
sant’Ambrogio di Milano uno dei chiodi creerebbe un anello di ferro nella
corona ferrea di Monza. Si tratterebbe
del diadema di Costantino il Grande e l’imperatore Teodosio lo avrebbe portato
in occasione dei suoi soggiorni a Milano. Le sorti di questa corona sono legate
ai personaggi chiave della storia europea di quell’epoca: papa Gregorio Magno,
la principessa Clotilde, il re Pipino il Breve, Carlo Magno. Quest’ultimo, incoronato re dei franchi e dei
lombardi nel 774 avrebbe, secondo la leggenda, indossato la corona che il papa Gregorio Magno
aveva regalato alla regina Teodolinda. I metodi scientifici della nostra epoca
hanno appurato che l’anello metallico all’interno della corona, per secoli
considerato uno dei chiodi di ferro della croce di Gesù, è invece di argento
puro; teneva insieme le sei piastre d’oro della corona adorne con lo smalto e
le pietre preziose. E’ molto probabile che fosse davvero la corona di
Teodolinda, quella regina che ha portato il suo popolo al cristianesimo. Poco
importa che non aveva a disposizione una vera reliquia della passione di
Cristo. Bastava che lei e il popolo longobardo credette al Suo gesto salvifico
e alla Sua resurrezione. Le sacre
briglie, quelle dell’imperatore Costantino e il morso dei cavalli (in cui
Elena, secondo il racconto di sant’Ambrogio, avrebbe fatto incorporare i
frammenti di uno dei sacri chiodi) si suppone che esistano ancora, conservati
nel Duomo di Milano. In alto al di sopra del coro si può notare una luce
rossastra nel mezzo di una croce ornata dai raggi dorati. La tradizione parla
del tesoro più prezioso della cattedrale milanese, il sacro chiodo che vi è
conservato. Non è un chiodo ma un pezzo di ferro attorcigliato, della lunghezza
di 30 cm e del peso di 700 gr e della forma di una briglia. Sarebbe il vescovo
Ambrogio a portare la reliquia a Milano che in quell’epoca fu una delle più
importanti città dell’impero romano. Le insegne del potere fra cui forse anche
le briglie, che il vescovo Ambrogio aveva descritto in modo molto dettagliato,
rimasero a Milano. Un altro grande arcivescovo di Milano, san
Carlo Borromeo, fece mettere la reliquia in uno scrigno collocato in un
particolare meccanismo, unico in tutto il mondo cristiano per scopo e per
funzionamento. Si tratta di nivola, la
“nuvoletta”, che è una specie di montacarichi di legno molto decorato, sopra il quale vi è un baldacchino rosso; in questa sorta di ascensore veniva
sollevato tramite un sistema di funi e
carrucole l’arcivescovo per 42 m di altezza e con il sacro chiodo visibile da
tutti elargiva ai fedeli la sua benedizione. Questo
capolavoro dell’ingegneria ha convinto i milanesi al punto che, fino a oggi,
credono che sarebbe stato il grande Leonardo da Vinci stesso a costruire la nivola. Nel 1983, l’anno del 1950° anniversario della
crocifissione di Gesù Cristo si compivano i “pellegrinaggi della croce” e il
culto della reliquia milanese riacquistò d’importanza; in seguito il cardinal Carlo Maria
Martini stabilì la celebrazione della
festa dell’elevazione della croce il 14 settembre. Abbiamo seguito la storia di un’altra
reliquia della passione di Gesù che ci appassionae ci incuriosisce. Anche oggi rimane però valida la frase del
Vangelo che chiama “beati” coloro che hanno creduto senza aver visto. Lasciamo
i san Tommaso dei modi di dire e del immaginario collettivo “toccare con dito”.
A noi non è concesso ma ringraziamo il Signore che ci aiuta a credere nella Sua
passione e Resurrezione con altri mezzi.
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