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per capire meglio la seguente riflessione.
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Il vraccocu traditore |
Parafrasando Pier
Capponi a li vraccochi di Brannu ti vien voglia di rispondere con le mie
nespole di Ravenna. Questo pianto antico dell’emigrante, questo amore ormai non
corrisposto mi è venuto a noia. E’ simile a quell’amore lontano , travagliato ,
ostacolato che quando si libera delle trame alla fine ti ritrovi una creatura
decrepita avvizzita e soprattutto senza quel fascino che ti eri
immaginato. Ho portato a Ravenna una
pianticella di nespolo che vivacchiava nel mio terrazzo di Milano da tanti
anni. Convinto che l’aria di Milano nocesse
alla salute di entrambi. Ora a distanza di altri 20 anni mi ritrovo un
nespolo che fatte le debite proporzioni sembra una di quelle querce che vedi
solo nelle riviste specializzate. Era carico di nespole oltremodo, centinaia e
centinaia, mai viste cosi tante opportunamente distribuite , del suo colore tra
il rosa l’arancio e il giallo
immischiati assieme. Mi sono seduto a distanza ravvicinata dopo averne colte
una manciata . Mentre li mangiavo osservavo l’albero: intimorito con
soggezione. Erano frutti grandi, gustosissimi sembravano un dipinto con le nespole
opportunamente collocate a distanza giusta come le palline di un immenso albero
di natale. Mi venne l’istinto di fotografare albero e frutti temendo che la scena
fosse irripetibile. Per un paio di giorni non trovai la macchina fotografica e
continuai a godermi nespolo e nespole aggiungendo un gioco a me caro: quello di
li baiuliddi ! Iniziai con lanciarli come proiettili spingendoli con ll
pollice e l’indice , poi con una fionda improvvisata tentando di scacciare una cinquantina di
uccelli che beccavano le nespole nella parte alta dell’albero ed infine
coprendoli con un mucchietto di terra con
lo scopo che quelli che venivano alla luce appartenessero a chi aveva
effettuato il lancio dell’oggetto contro il mucchietto di terra . Essendo
l’unico giocatore mi trovai facilmente proprietario di una grossa quantità di
inutili baiuliddi che ribattezzai fiches . Non fotografai il nespolo ed ebbi
ragione perché quello spettacolo era solo mio, unico proprietario dell’albero e
che ero felice di non condividere con nessun altro, salvo che con gli uccelli
che probabilmente mi scambiarono per san Francesco o ,più facilmente ,per il lupo. Pensare che un povero nespolo portato da
Marineo a Milano (in forma di baiuliddi ) e irrobustitosi (in piena
adolescenza) nella nebbia di Milano , o meglio sopravvissuto , e portato a
forza a Ravenna ( dove la nebbia non dura solo i giorni della merla, vero Prof.
Inguì , esperto di nebbie e di mosaici ravennati) e là maturato sino a produrre
centinaia di frutti , vale quanto un
vraccocu di Brannu ! Si perché basta avere un fratello che , novello Jago o
Gano, ti fotografa un vraccocu ignorato da tutti per decine di anni per scatenare
la metastasi dell’emigrante che peggio della malattia si estende a macchia
d’olio riaprendo la ferita ritenuta a torto sanata e facendoti versare lacrime
secche ed aride di un mondo perduto e
rendendoti quello nuovo inadeguato. Oggi che persino gli ebrei , dopo millenni
di peregrinazioni , hanno trovato nuove terre promesse , nuove spose e
finalmente hanno capito che la vera terra promessa non è quella “latte e miele”
da sempre inseguita , ma dove il latte e miele sei tu che lo porti dovunque
vai. Là si chiama vraccocu qui si chiama nespolo .
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