di Salvatore Pulizzotto
La realizzazione di una sezione
etnoantropologica a Marineo, al castello Beccadelli, proprio qui dove fin da
bambino entravo in questo luogo magico con mio padre.Erano questi i granai di
Pernice e noi venivamo a comprare il grano per la semina o vi portavamo quello
da vendere poi al vicino mulino. Tetti altissimi, muri in pietra viva,
pavimenti irregolari, quasi dei viottoli tra la roccia viva, enormi cumuli di
grano che si vedevano solo qua o per il giorno della Cunnutta di San Ciro, ed
io li paragonavo ai cumuli di oro e monete di paperone nei fumetti di Walt
Disney. Quello per noi era il nostro oro, il grano, attorno al quale girava
tutta l’economia della civiltà contadina sino agli anni 70’ più ancora
dell’olio e del vino. Attorno ad essa fioriva un meraviglioso indotto fatto di
fabbri, falegnami, calzolai, siddunara, mulini, panifici e tutto il paese era
un brulicare di rumori, suoni, incudini, scalpitii di zoccoli di muli. Attorno
a questo castello, così come agli inizi del 500’ vi erano un insieme di
negozietti, mulini, fabbri, che da piazza Sant’Anna al lavatoio Gorghillo,
rendevano questo quartiere attivissimo e pieno di vita. Al castello c’era la
nostra scuola media, la nostra radio Marineo, la nostra sala da ballo, il
nostro granaio, la nostra liuteria. Il piazzale antistante a curva e con una
pendenza del 60% era il nostro unico campo di calcio, essa era la piazza più
importante per la rappresentazione della Dimustranza, era lo spazio più grande
e soleggiato ove stendere ed essiccare il sommacco. Quando, una quindicina di
anni fa, questi luoghi vennero restaurati, mi sembrò naturale e spontaneo
chiedere alla sovraintendente di allora se un giorno si sarebbe potuto
realizzare un centro di raccolta ed esposizione di reperti etnoantropologici,
che io già raccoglievo dal 1985 . Mi rispose che l’architetto che aveva curato
il restauro lo aveva fatto pensando proprio ad una sede museale di questo tipo,
ma che per il momento non esisteva nulla da potere esporre. La invitai al mio
ristorante, che fu il mio primo centro di esposizione e lei quando vide la mia collezione
mi disse: << fra una settimana le mando dei funzionari della
sovraintendenza per catalogare questi beni affinché non vengano
dispersi>>. Iniziò così una lunga
collaborazione che oggi ha portato all’istituzione di questa sezione che al
momento riguarda il ciclo del grano, della vite, dell’olio e della pastorizia.
I pezzi vincolati sono circa mille e spero che in un futuro prossimo si possano
ampliare gli spazi ed il numero di mestieri, Vorrei ringraziare la
Sovraintendenza nella persona della dottoressa Volpes, la dottoressa Giuliano e tutti i suoi collaboratori, che
con grande sensibilità hanno fatto in modo che tutto ciò si potesse realizzare.
Ringrazio altresì l’amministrazione comunale ed in particolare l’assessore
Spataro che con la sua proverbiale disponibilità ha collaborato anche
manualmente. Ho apprezzato molto la capacità e la sensibilità dell’architetto
Parrinelli, che pur non conoscendo l’uso o la funzione di alcuni oggetti, è
riuscito a realizzare un allestimento sobrio e gradevole alla vista, facilmente
fruibile,mettendo spesso in risalto le qualità estetiche di alcuni oggetti che,
al di là della loro funzione, sono in sé delle pure espressioni artistiche che
egli ha saputo cogliere e trasmettere. Un ruolo molto importante ha avuto il
responsabile del restauro, Giuseppe Inguì, che figlio di una delle memorie
storiche di Marineo Totò Tirrimutuni, e avendo vissuto in prima persona i
periodi in cui tutto ciò era vivo e utilizzato, ha saputo ridare il colore, il calore, il vissuto il sudore la
fatica che essi emanano, lasciandone intatto il fascino originale. Egli ha
tolto da questi reperti la polvere, la sporcizia, la calce accumulata negli
anni di abbandono nei fienili e nelle stalle, ha tolto i segni della
dimenticanza riportandoceli vivi anche se logorati, lucidi e consumati dalle
mani ruvide dei contadini o dalla terra che aravano o dal legno che tagliavano.
Non esistono due pezzi uguali tutti sono personalizzati adattati al proprio
modo di lavorare, al proprio corpo, al proprio mulo, alla propria campagna alla
propria terra. Ci sono oggetti riparati col fil di ferro, con le latte di
pelati o di sarde salate, con lamiere di secchi rotti o con pezzi di zabara.
Ogni oggetto ha una vita, una storia da raccontare. Alcuni anni fa ho collaborato
con il regista Tornatore per la realizzazione del film Baaria, gli ho procurato
mobili, attrezzi, telefoni, animali e quant’altro. Dovevamo realizzare un scena
di una fiera del bestiame ambientata negli anni ’40. Nelle fiere ovviamente si
vendevano selle, scale, aratri, zappe, falci, tridenti ecc. Lui mi chiese un
pezzo per ogni tipo, la cosa mi stranizzò perché alla fiera si vendono decine
di ogni pezzo per cui gli dissi che ne avrei reperito tanti altri, mi
disse:<<fermati questi oggetti
sono vissuti, sudati, sporchi, macchiati di vita, a me servono per farli
ricostruire nuovi, immacolati, alla fiera non si vendono cose vecchie. Gli
attrezzi sono come dei libri con le pagine bianche, tutte uguali, tutti dello stesso colore con lo stesso grado di
consumazione, anonimi, sterili, poi ogni contadino giorno per giorno scriverà
su di essi la propria storia, la propria sofferenza come su un diario che noi
adesso potremo leggere>>. Ognuno di noi può leggere il vissuto dei propri
padri, rivedrà quei muli stanchi che macchiavano di sudore il basto, quelle
mani sporche di fango che zappavano la terra e lasciavano su ogni arnese il
proprio DNA culturale e storico. In questo sito io vedo la possibilità di un
nuovo sviluppo per Marineo, uno stimolo per creare nuove forme di economia e di
turismo. Marineo è un paese per molti aspetti morto\non ci sono più terre
coltivate neanche vicino al paese, tutto è abbandonato, nessuno più semina il
grano nessuno prepara un orto, nessuno più vive di agricoltura e se non si semina
non si raccoglie. Turisticamente Marineo offre pochissimo, si potrebbero creare
dei percorsi turistici agro pastorali che comprendano Ficuzza, il bosco, il
Palazzo Reale, il museo Godranopoli, le terme arabe di Cefalà Diana, Piana e le
sue tradizioni. Nella valle dell’Eleuterio funzionavano fino al 1950 decine di
mulini ad acqua che ancora esistono e si potrebbero riattivare creando così
un’attrattiva unica. In questo modo si incrementerebbe la vendita di prodotti
tipici di pregio e qualità. Valorizzare inoltre eventi unici come la
Dimustranza, il presepe vivente, l’infiorata che potrebbero fungere da volano
per tutta l’economia agonizzante. Io spero che con l’apertura di questa nuova
sezione, in collaborazione con la Proloco, il Comune, la Scuola, le numerose
associazione, si possano promuovere mostre fotografiche a scopo anche
didattico, iniziative culturali, eventi, riproposizioni di antichi mestieri,
rappresentazioni teatrali, mostre di Pupi siciliani che rendano vivo questo
sito e attraente per un turista altrimenti attratto da mete più allettanti.
Salvatore Pulizzotto