EDB, Bologna,
2015 , Pag.114 , Euro 10
Ho letto il
libro di Rosario Giuè: Peccato di mafia
(Potere criminale e questioni pastorali) con molto interesse ma anche con molta
trepidazione come mi succede di fronte ad ogni male. Erano i giorni in cui papa
Francesco a Napoli il 21.03.2015 riprendeva le famose parole pronunciate dal papa
Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993: “Nel nome di Cristo, crocifisso e
risorto, di Cristo che è via, verità e vita, mi rivolgo ai responsabili:
convertitevi, un giorno arriverà il giudizio di Dio!” e le cambiò in
“Convertitevi all’amore di Dio e alla giustizia.” Questo accento sulla
giustizia mi sembrò importante nel sud d’Italia dove può succedere che si
faccia confusione fra il peccato e il reato – come dice l’autore del libro.
Nello stesso
giorno si è svolta la ventesima giornata
della lotta contro la mafia a Bologna guidata da don Ciotti con l’Associazione ‘Libera’. A
quella dell’anno scorso papa Francesco ha mandato le parole rivolte ai mafiosi
(21 marzo 2014): “Per favore, cambiate vita, convertitevi, fermatevi, smettete
di fare il male!” Non c’è bisogno di sottolineare più che, dal Pontefice della
Chiesa cattolica vengono i messaggi chiari.
Nella prefazione
del libro troviamo invece l’affermazione: “La Chiesa italiana spesso appare
come un’istituzione autoreferenziale, chiusa nelle proprie logiche di
sopravvivenza, che lascia soli i martiri in terre di mafia.” Il giudizio mi
sembra molto severo ma non conosco a sufficienza la situazione siciliana per
poter esprimermi. In seguito l’autore mi
porta su un terreno ancora più incomprensibile alla mente umana – l’olocausto -
quando dice: “come non è più possibile
fare teologia e pregare e passare sotto silenzio ciò che è accaduto ad
Auschwitz, allo stesso modo oggi non è possibile essere Chiesa senza farsi
carico del peso del dolore umano dei poveri e delle vittime”. Non voglio fare
teologia ma voglio pregare anche se non capisco ciò che è successo ad Auschwitz
e mi aiuta la risposta di un rabbino ebreo data alla domanda: “Dove era Dio ad
Auschwitz” che diceva “Era con noi nelle camere a gas”. Similmente mi porta un
po’ fuori strada l’autore quando interpreta diversamente da come lo capisco io
il sacrificio di Gesù :“La logica sacrificale è stata utile anche a
stabilizzare il dominio dei prepotenti, a giustificare o a non contrastare
anche il potere mafioso”… nell’
“accentuata spiritualità del
sacrificio e della sopportazione in tanti riti e processioni sulla passione di
Gesù.” Lo nota l’autore ma io ho partecipato a molti riti pasquali in Sicilia e mi hanno aiutato a vivere
profondamente questo momento cruciale del cristianesimo. Li ho apprezzato
maggiormente perché quando ho vissuto nella Cecoslovacchia comunista eravamo
privati di molte espressioni religiose che in Italia sono naturali. Sono delle
vere ricchezze che sappiamo apprezzare solo quando ci vengono tolte?
Per quanto
riguarda l’impegno politico della Chiesa l’autore deplora scarso interesse per
i poveri, per la promozione umana e per le vittime della mafia. “Per decenni si
è ritenuto di non doversi occupare delle questioni politiche, a meno che non
fosse per la condanna del comunismo e della difesa della libertà religiosa e
dell’istituzione ecclesiale.” I problemi del mondo sono sicuramente numerosi
ed è vero che si devono condannare tutti i soprusi ma il comunismo
minava l’esistenza stessa della Chiesa e la
condanna era doverosa e non sminuiva il male procurato dalla mafia. Mi
succede spesso di incontrare in Italia la gente che ammira i principi del
comunismo come molto simili al Vangelo dimenticando che un cristiano non può
accettare la violenza come rimedio alla disuguaglianza sociale e soprattutto
non può accettare l’ateismo militante dello Stato derivante dalla famosa frase
di Karl Marx: ’ Religione è l’oppio del popolo’. Per chi si vorrebbe fare un idea più precisa
del periodo del comunismo posso raccomandare un libro appena uscito in italiano
su un martire di comunismo Padre Josef Toufar “Come se dovessimo morire oggi”
di Miloš Doležal, ed. La Casa di Matriona .
“Per Gesù di Nazaret, la dignità e la libertà
di ogni persona è importante.” “Da lui
si può imparare a resistere, con fiducia, al male. Resistere al male prodotto
dalle mafie è prendere le distanze dal sistema circostante che lo causa e lo
sostiene. Il potere politico-mafioso deve sapere con chi stanno i vertici della
Chiesa, con chi sono i cristiani “impegnati” nella vita diocesana o
parrocchiale.” La prudenza che all’autore spesso sembra eccessiva ci vuole in
molti casi per non fare i danni maggiori. Inoltre penso che il cristiano sta
sempre dalla parte del bene e che c’è un limite del compromesso che non può
superare. Quando i comunisti
interrogavano i cattolici quasi si disperavano perché non riuscivano a
far cambiare loro l’opinione, a farli collaborale o abbandonare la loro fede.
Credo che così è anche nei confronti della mafia. Oltre un certo limite il
cristiano non può accettare il compromesso.
L’autore esprime
il suo dolore per la situazione in Sicilia con questa espressione: “Questo ‘Sud
crocifisso’ è il segno dei tempi, l’appello di Dio al ministero ecclesiale e
pastorale. ‘Deporlo dalla croce’ è il ministero fondamentale.” Lo capisco,
anche il papa Francesco ha denunciato la corruzione e la disoccupazione
soprattutto dei giovani come la privazione della dignità. Ma se vogliamo usare
un’immagine così forte come il paragone con Gesù Cristo crocifisso dobbiamo
anche accettare che Egli non è sceso dalla croce. Se accettiamo pienamente che
Lui guidi la storia e noi siamo i Suoi strumenti , poi le cose cambiano ma non
con i nostri tempi e non sempre con i nostri modi. Se permettete faccio ancora
un paragone con la storia dell’Est europeo. Noi che ci vivevamo avevamo davvero
impressione che quel tipo di male non cesserà mai che durerà “fino
all’eternità” come leggevamo sui striscioni. Dopo 40 anni del deserto è arrivata
la desiderata libertà. Potremmo aprire un altro capitolo chiedendoci se la
sappiamo usare. Oggi ci troviamo sulla stessa barca con gli stessi problemi, con la corruzione e la mafia, magari con le
origini più recenti ma non meno aggressivi.
24.03.2015
Růžena Růžičková
Ps. Quanto sopra chiamano
due osservazioni non da poco. La prima è del Cardinale di Praga Duka
quando afferma che “gli anni cinquanta al lettore italiano ricordano Peppone e
Don Camillo. Ma nel blocco sovietico la lotta tra il comunismo e la chiesa non
fu altrettanto divertente”.
E anche altrettanto doloroso constatare che a Marineo il
libro di Rosario Giuè non si trova nelle
librerie.