Per
chi non c’era e per chi non c’è più
L’appuntamento
è alle 15,00 da qualche parte . Mentre sono alle prese con i semafori rossi e con
i guidatori della domenica, come li chiama papà, anche se oggi è sabato e poi
quelli alla fin fine sono in giro tutta le settimana, mi suona il telefono. -Guarda
che parte dall’inizio. Ingrano la quarta e straccio secchi un paio di rossi. È
Dani che mi informa che Rena parte titolare nella prima partita ufficiale della
sua vita. Trasferta insidiosa , poi per una squadra che ha concluso il girone
d’andata con zero vittorie e zero pareggi, anche le sfide casalinghe diventano
insidiose… Sembra che per parcheggiare devi sapere quando i tuoi compaesani
usano la macchina per poi appostarti, quando escono, nelle vicinanze delle loro
auto. Dopo un quarto d’ora buono, trovo un buco che raggiungo con una bella
inversione a “U” e mi fiondo dentro l’oratorio. La partita è già iniziata e
raggiungo Dani che è a bordo campo. Sulle gradinate si sono radunati un
gruppetto di genitori che seguono la partita sereni e rilassati. Nei pressi
della recinzione ci sono quelli che urlano suggerimenti e incitano i propri
figli. Mentre arrivo, Dani sta ragguagliando il piccolo Bianchi sulla posizione
da tenere aggrappato alla rete che separa il campo dalla gradinate :-Segui
sempre l’uomo! Gioco a questo sport da vent’anni e ancora questo concetto non
mi è di facilissima applicazione. A 6 anni i nostri si limitano a correre intorno alla
palla, colpirla quando riescono e scivolare per terra quando mancano il
contatto. A noi, tanto basta per chiamarlo calcio. Quando Rena si volta e mi
vede di fianco a Dani, mi sorride e forse pensa a come farmi qualche marachella
da dentro il campo. Gli vorrei dire di concentrarsi sulla partita, ma sono
troppo contento della sua accoglienza per farlo. Indossa la maglia numero 15,
come il suo giorno di nascita. L’avversario è una squadra tosta e i suoi
ragazzi sono più alti e robusti dei nostri. Di fianco a noi c’è un padre
marocchino che incita il figlio. Ci scambiamo un’occhiata e mi dice:-Ormai non
mi agito più per il calcio vero, questo è molto meglio! L’avversario attacca. Il
numero 11, che gioca bene come uno della mia età, scocca bel tiro dal limite
dell’aria: fuori di poco. Io e Dani tiriamo un sospirone e ci guardiamo per
condividere con uno sguardo la paura scampata. E poi leggo nei suoi occhi lo
stesso mio pensiero: ma quando mai abbiamo tifato così per la stessa squadra!? Rena
lotta a centrocampo e imposta anche qualche azione. -Segui l’uomo, non la
palla! Credo che questa frase se la sognerà stanotte. Riceve complimenti dalla
panchina ogni volta che torna a marcare un avversario. Corre senza soluzione di
continuità. Torna! Calcia! Segue l’uomo! Le indicazioni degli adulti fuori dal
campo, lo divertono: quando mai hanno preso tanto sul serio un gioco di noi
bambini!? E chissà perché lo fanno? La partita è equilibrata. Occasioni da una
parte e dall’altra, ma lo zero a zero regge. E sarebbe oro colato. Il figlio
del marocchino però ha intenzioni diverse e prende la palla fuori dalla nostra
aria e la spedisce, seppur molto lentamente, in porta. Uno a Zero. Io sferro un
calcio alla recinzione e guardo Dani. I nostri sguardi sono colmi di delusione
e lui mi ricorda: -Questo è il calcio. Si chiude il primo dei tre tempi di
gioco. Nel secondo, Rena si accomoda in panchina e la Juvenilia (così si chiama
la sua squadra…) crolla letteralmente. Prendiamo quattro gol e se potessi
parlare con l’allenatore gli chiederei se secondo lui, questo non possa essere
dovuto all’uscita del Renato e al suo prezioso lavoro a centrocampo, piuttosto
che alle papere del nostro portierino. Ma sono ancora piccoli per tutto questo
e quindi mastico amaro perché la partita è stata buttata letteralmente via. Nel
terzo tempo Renato rientra, ma forse la sosta, l’esordio o la stanchezza lo
fanno rendere molto meno. Risponde più lentamente alle indicazioni, segue molto
di più la palla e si distrae un po’ troppo. Ma il Bianchi ha gamba e
temperamento e sotto pressione non scompare, ma cerca risorse dentro di sé per
fronteggiare la battaglia. Lo prendiamo da parte durante una pausa di gioco. -Attaccati
all’uomo e non perderlo mai! Mai!!! E quando attacchiamo buttati dentro
all’aria.
Mentre
penso di aver esagerato, che in fondo è l’esordio e siamo ad una partita dei
2006, Renato si butta in aria di rigore. Forse gli sto già urlando di tornare a
difendere, quando raccoglie una palla vagante in aria e calcia. Il tiro è lento,
il portiere lo devia facendo perdere al pallone anche l’ultimo barlume di
velocità. Vorrei correre in campo e soffiare su quella palla. Sento alle mie
spalle il soffio di Dani che non sta più nella pelle. Poi avverto anche l’alito
di nonno Onofrio che dalla Sicilia tenta di far oltrepassare la linea a quella
palla e più indietro quello dello zio Andrea che dai quaranta gradi
dell’Australia sta andando in iperventilazione pur di mandare quella palla in
porta. E forse sento anche il soffio decisivo, quello di un altro Renato che da
lassù spinge il nipote verso il suo primo gol. La palla continua a rotolare,
lambisce il palo ed entra in porta. Gol. Il tripudio. Abbraccio Dani peggio di
quanto fatto al gol di Grosso ai mondiali 2006 (il 2006 appunto…).
Mi
aggrappo alla recinzione e la sto per buttare giù. L’allenatore è entrato in
campo e ha preso in braccio Rena, portandolo in trionfo tra i compagni
increduli per un esordio tanto folgorante… Perdiamo cinque a uno, ma è che come
se avessimo vinto il campionato. Non vedo l’ora che arrivi la prossima partita
e guardando verso il cielo, mi chiedo se in qualche schermo lassù trasmettano questo
strano campionato di calcio, dove vincere non è importante, dove il
coinvolgimento è più alto che mai e dove il calcio è ancora solo un pallone che
rotola su un prato. Da oggi per me questo
è il campionato più bello del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento