Questo articolo doveva essere pubblicato dopodomani per la ricorrenza ,appunto il 15 febbraio, dei Santi Cirillo e Metodio e dei Santi Francescani. L’annunzio delle dimissioni del Papa ci hanno fortemente turbato perché ci sentiamo nuovamente soli sino al prossimo “abemus Papam !” .
Abbiamo già ricordato che quest’anno c’è la
ricorrenza di 1700 anni dall’Editto di Milano del 313 e ora ci occuperemo di un
altro anniversario: 1150 anni dall’arrivo dei santi Cirillo e Metodio nei Paesi
slavi.
Nell’epoca dei due grandi Imperi, quello
d’Oriente e quello d’Occidente sorgeva un ‘terzo polo’ un agglomerato dei
principati slavi che si chiamava Grande Moravia. Per orientarsi: comprendeva il
territorio dove oggi troviamo ad esempio le città di Brno, Praga, Bratislava,
Nitra, Krakovia ed altre. Lì sono stati chiamati nel 863 i due fratelli che
dalla colta Grecia portarono la fede cristiana fra i popoli incolti che non
avevano la loro scrittura. Attento interprete delle esigenze del tempo, Cirillo
col suo nuovo alfabeto permise a tutti gli slavi di seguire il Vangelo e le
liturgie in modo consapevole. La storia in seguito ha diviso i popoli slavi in
quei occidentali che usano le lettere latine e quegli orientali che scrivono
con l’alfabeto che ha preso il nome del suo inventore , il cirillico. Dopo lo
scisma d’Oriente del 1054 questi popoli si sono divisi in cattolici romani e
ortodossi. La festa dei santi Cirillo
e Metodio si festeggia in Italia 14 febbraio e quest’anno è particolarmente
solenne, essendo stato proclamato l’anno cirillometodiano (che nell’ambito
dell’anno della fede ha un suo posto dignitoso – i due santi vengono definiti
Apostoli degli slavi).
15 febbraio 1611 sono stati martirizzati 14
martiri francescani di Praga e quando sono stati beatificati nell’ottobre del
2012 quel giorno si è stabilito come la
loro festa. Un’altra epoca, un’altra problematica religiosa. L’Europa era tormentata dalla Riforma
Protestante che aveva innescato il sorgere di molte correnti religiose e Praga
ne era divenuta il crocevia. I francescani del convento presso la centrale
chiesa di Santa Maria della Neve a Praga provenivano da diverse parti d’Europa
(fra i martiri ci furono anche 4 italiani) predicavano il Vangelo fedeli alla
Chiesa romana e intendevano riportare alla fede cattolica con riflessioni e
dispute teologiche coloro che avevano abbandonato la Chiesa. L’imperatore
Rodolfo II aveva da un lato firmato un documento sulla libertà religiosa in
Boemia ma dall’altro lato ha chiamato nel Paese le truppe (cattoliche) del suo
nipote, l’arciduca Leopoldo, Vescovo di Passau e di Strasburgo che espugnò una
parte di Praga. Si sparse la voce che i
monaci francescani nascondevano questi soldati nella parte della città che era
nelle mani dei protestanti e il popolo stremato e perseguitato irruppe nel
convento e massacrò con uno ‘zelo cieco’ i 14 monaci che tentarono di
proteggere il Santissimo, la chiesa e il convento. Non hanno posto resistenza
furono uccisi , esposti per tre giorni nella piazza della Chiesa privi
di vestiti e seppelliti di nascosto presso l’ingresso del Convento. La vicinanza delle due date delle
ricorrenze lontane nel tempo ha permesso di organizzare un incontro di
preghiera dal titolo “Testimoni di fede del passato, segno di speranza per il
futuro” che si è svolto a Milano nella
centrale chiesa di s. Francesca romana e santa Rosalia il 07.02.2013. E’ intervenuto Mons. Franco
Buzzi, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano che con la sua
meditazione ha toccato i punti dolorosi della predicazione dei santi Cirillo e
Metodio (ad esempio furono perseguitati dai sacerdoti bavaresi e i loro alunni
furono cacciati dalla Grande Moravia) e dell’eroica testimonianza di fede dei
frati francescani di Praga. Ancora oggi
solo Dio può purificare i cuori degli uomini e guidarci nel cammino verso
l’unità dei cristiani. Il secondo
intervento aveva come titolo “Ciò che unisce cattolici e ortodossi oggi” e su
questo tema ha parlato l’Arciprete Traian Valdman della Chiesa Ortodossa Romena
di Milano. Ha ricordato tutte le tappe importanti dell’ecumenismo sottolineando
che c’è già una coscienza per arrivare all’unione visibile della Chiesa. In
questo senso una tappa importante fu il Concilio Vaticano II che ha introdotto
una concezione nuova: “Ciò che ci unisce
è più importante di quello che ci divide”. L’unità dei cristiani è un disegno
di Dio e solo uniti a Lui ci si può arrivare. L’ultimo relatore, il pastore Ulrich Eckert della Chiesa Evangelica Luterana
di Milano ha cominciato la sua meditazione con una battuta: “Permettetemi di
dire che parto svantaggiato – sono bavarese e protestante a casa dei
cattolici”. Ma poi ha riconosciuto anche lui i notevoli passi avanti nel
cammino ecumenico che dai tempi in cui i cristiani si uccidevano in nome di
Cristo ad oggi in cui ci si viene incontro e pur essendo ‘diversamente
cristiani’ abbiamo tutti un unico Spirito Santo e cerchiamo di essere testimoni
autentici per il bene del prossimo. I cristiani hanno un compito: il dialogo.
Il dialogo dell’amore, del servizio, il dialogo sui temi etici ecc.
L’ecumenismo non è un movimento fine se a stesso, ci rende tutti sorelle e
fratelli con doni diversi ma con l’unico Signore. Come eco alla meditazione del pastore
protestante i partecipanti hanno recitato questa preghiera: “Papa Wojtyla nella
Città Vecchia di Presov, davanti al monumento dei ventiquattro martiri
protestanti uccisi dai cattolici, pregò in silenzio per quei poveri cristiani
che morirono in nome della fede per mano di altri cristiani. Fa’ o Signore, che
anche noi, oggi, contribuiamo a realizzare la preghiera di Gesù per l’unità,
che è grande responsabilità di tutti noi battezzati”. Tutti insieme hanno poi
recitato la preghiera del Padre nostro. Ci auguriamo che questa testimonianza di
fede del passato sia davvero un segno di speranza per il futuro perché la
dolorosa divisione dei cristiani, i tanti riti portino ad un unico culto
richiesto da Dio come si è letto nelle letture: “Il Signore ha insegnato agli
uomini quel che è bene, quel che esige da noi: praticare la giustizia,
ricercare la bontà e vivere con umiltà davanti al nostro Dio”. Anche noi oggi
abbiamo bisogno che questo ci viene ricordato.
Růžena Růžičková
PS
Nei
primi anni ’70 quando visitavamo i cimiteri per rendere omaggio ai parenti
locali era obbligo , del resto usanza comune a tutti, portare un saluto a
parenti locali o personalità varie. Una di queste tappe era la tomba di Jan Palach ( poi la
tomba carognescamente fu spostata non si sa dove , qualche famoso musicista boemo)
e passando davanti la loro tomba si rendeva omaggio alla famiglia “Di
Francesco” ( Rodina Frantiscek). Chiesi
subito se fossero nostri parenti e mi si rispose di si. Erano gli ultimi anni
dei persecutori della chiesa del silenzio, gli anni in cui Mons. Casaroli
cercava di convincerci , con la real-politik della Chiesa che era meglio
“accettare il comunismo pur di avere libertà di culto”. E cosi avvenne buttando
a mare l’ingenuo Lech Walensa e i recenti martiri della chiesa del silenzio. E
cosi la chiesa ci impose di “venerare” privatamente i nostri martiri , di
accettare i “preti della pace” convalidati dal regime, ottenendo la libertà di
culto. Io in quegli anni facevo il postino portavo le lettere non solo della
mia morosa ma anche di Mons. Antonin Mandl alla Segreteria di Stato Vaticana .Con
la rivoluzione di velluto , alle nostre domande , finalmente , ottenemmo oltre
alla scheda personale che il regime compilava su ogni cittadino , anche le
“nuove risposte” alle vecchie domande. E fu così che venni a sapere che non
esisteva nessuna famiglia Di Francesco ma era un compromesso ,stipulato con gli
antichi comunisti di allora per ottenere una tomba per i “francescani”.
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