Negli ultimi anni ci sono state diverse
“mostre ed eventi” dedicati al Caravaggio o meglio a Michelangelo Merisi “detto
il dipintore” noto come “il Caravaggio”. Conosco diverse persone che da Marineo
sono partite per visitare queste mostre grazie a “tanto nomine” e al risultato che il martellamento dei media
“sveglia” . Recentemente anche una fiction , di cui non so esprimere giudizio
ci ha fatto conoscere chi fosse costui e la sua storia estrapolata da vecchie
biografie.
Recentemente ho avuto la fortuna di
reincontrare un personaggio che stimo tantissimo a tal punto di entrare in
soggezione quando lo incontro. Ci siamo conosciuti con il Boiardo e mi venne
spontaneo approfittare chiedendogli “…e il Caravaggio ?”. Stessa domanda gli
fece il Vescovo Massimo di Reggio Emilia e mentre con Mons. Massimo Camisasca si
diedero appuntamento a Scandiano io chiesi a Silvano Vicenti se mi autorizzava
a raccontare ai lettori del Guglielmo l’affascinante romanzo che per molti
versi sembra la descrizione che fece Ceram dello Schlimann scopritore di Troia nel suo straordinario Civiltà Sepolte.
Incalzante e coinvolgente , come del resto
sono gli autori.
Non dispiacerà agli amici e stimatori del
Caravaggio come a chi ama conoscere il “curriculum” di questa figura
straordinaria resa ancora più straordinaria dalla ricerca effettuata da Silvano Vinceti e Giorgio Gruppioni .
Il casuale inizio della avventura
scientifica
di Silvano Vinceti
Quella mattina
di fine marzo l’aria romana era frizzante e profumata.
Dalla mia
finestrella dello studio, collocato in viale Trastevere, sbirciavo la fetta di
cielo che svettava fra gli angusti spazi occupati da massicci e sgraziati
palazzi. La primavera è una stagione
ambigua, sfuggente. S’avverte il suo nascere fra gli anfratti dell’inverno
analogamente ad una bella ed esplosiva adolescente che nella sua genesi si cela
nelle fattezze e movenze di una fanciullezza che se ne va.
Osservavo
quello scorcio di cielo che m’appariva con un colore dotato di maggior vivezza,
fremito e inquietudine. Come un animale avvertivo l’impercettibile fiorire
della stagione del risveglio, ne coglievo alcuni deboli segnali come sottili e
celate particelle di profumo di viole o di altre essenze che si mescolavano ai
tipici odori di una città come Roma.
Come altre
mattine mi stavo preparando per andare al Dipartimento del Turismo dove
dispiego la mia mansione di responsabile del settore turismo-natura e
collaboratore del Ministro del Turismo, quando mi giunse una telefonata
dell’editore per il quale ho scritto molto libri. Il sagace toscano, che da
anni dirige una importante casa editrice nazionale, mi invitava a raggiungerlo
nel suo studio perché doveva darmi alcune notizie che sarebbero state di mio
sicuro interesse. La mia attuale abitazione si trova di fronte alla casa
editrice dove opera il mio amico-editore e dalla quale ci divide viale
Trastevere. Dopo pochi minuti ero nel suo studio ed Enrico, così si chiama, senza
dire una parola mi passò un articolo uscito sul Corriere della Sera. Nel pezzo
giornalistico, collocato in cronaca nazionale, era riportata l’intervista ad
una archeologa di Porto Ercole, località collocata in provincia di Grosseto nel
comune di Monte Argentario. Nell’articolo venivano riportate le dichiarazioni
di una certa Giovanna Anastasia, la quale asseriva di sapere dove era sepolto
il Caravaggio. Nell’articolo, l’abitante di Porto Ercole ricordava un
particolare evento della sua fanciullezza durante il quale aveva assistito al disseppellimento
di alcuni resti ossei di un vecchio cimitero denominato “ S. Sebastiano”. L’archeologa
sosteneva che durante i lavori di scavo erano stati rinvenuti dei resti mortali
avvolti in un nero mantello, un drappo che, secondo la donna, apparteneva ai
Cavalieri di Malta. Il mantello si presentava segnato dall’azione corrosiva e
distruttiva del tempo, ma in esso era riconoscibile la figura di una croce
stilizzata, di forma ortodossa, dal colore bianco con bordo d’orato.
Nell’intervista le dichiarazioni più significative riguardavano la presenza di
una irregolare pietra, vicina al manto e ai resti ossei, nella quale erano
scolpite le parole “ Michelangelo Merisi detto il dipintore”. Enrico conosceva
bene la mia passione verso i misteri che avvolgono i grandi del passato. Lo
ringraziai per la preziosa informazione datami e mi portai via l’articolo
apparso sul Corriere della Sera, tornai in ufficio e lo deposi sulla mia
scrivania, infine me ne andai al Dipartimento del Turismo. Qualche giorno dopo,
lessi attentamente le dichiarazioni che riguardavano il presunto ritrovamento del
Caravaggio rilasciate dall’archeologa porto ercolese; chiamai Stefania, mia
stretta collaboratrice, e le dissi di iniziare una ricerca inerente la morte
del grande pittore lombardo. Mi riservai di leggere tutto il materiale che
Stefania mi avesse messo a disposizione, chiamai il coordinatore della equipe
scientifica del Comitato, il prof, Giorgio Gruppioni, lo informai di questa
interessante testimonianza della signora Anastasia e concordammo di risentirci
appena io avessi avuto maggiori informazioni a disposizione. Decisi di
recuperare il numero dell’archeologa di Porto Ercole: bastò una telefonata al
comune di Monte Argentario, di cui Porto Ercole è una frazione. Il giorno dopo
chiamai la signora e fissammo un appuntamento in un baretto collocato in una
piazzetta dall’altisonante nome della città eterna: Roma. Il sabato seguente
incontrai la spumeggiante e ciarliera signora; una donna di circa sessant’anni,
di media statura, con l’occhio vispo e saettante. Fu abbastanza facile
acquisire tutte le informazioni che mi servivano.
L’archeologa
del piccolo borgo marino manifestò subitaneamente un forte legame al suo
paesino. Conosceva bene la storia della sua località, dei principali
accadimenti che avevano attraversato la comunità a cui apparteneva e in
particolare mostrò una buona conoscenza sulla morte del Michelangelo Merisi e sui
variegati eventi legati al pittore. Espose, con dovizia di particolari, la sua
fanciullesca esperienza connessa al disseppellimento di resti mortali presenti
nel vecchio cimitero di San Sebastiano. Varie volte si soffermò sulla vista di
quel manto nero con la croce bianca orlata d’oro che avvolgeva dei resti ossei
e una pietra in cui era riportata la scritta “ Michel Angelo Merisi detto il
dipintore”. Con sguardo fermo, tono perentorio e una espressione mimica seriosa
e composta, mi raccontò della presenza del parroco d’allora Don Mariano, di una
piccola cassetta che fece fare seduta stante al falegname del paese, della
deposizione in essa dei presunti resti ossei del grande pittore lombardo. Mi
raccontò, scandendo e marcando le parole, che Don Mariano portò il prezioso
contenuto nella chiesa di S. Erasmo. Dopo aver sorseggiato un caffè, riprese il
suo racconto e mi disse che dopo quel giorno nulla più si seppe sul contenuto
di quei resti ossei; in quel periodo lei era una bambina di circa 10 anni, e
quella eccitante esperienza degli scavi nel vecchio cimitero venne presto
dimenticata. Alla richiesta di una plausibile spiegazione di come mai dopo
circa 50 anni si era decisa a raccontare questa storia, la risposta della
Anastasia fu poco credibile, almeno a me apparve tale. Tornato a Roma, dopo
qualche giorno Stefania mi presentò una discreta mole di carte inerenti alla
morte di Caravaggio, le lessi avidamente e rimasi sbalordito dalle innumerevoli
ipotesi sulla morte del pittore sostenute da vari biografi del periodo del
Merisi e dei secoli successivi. Per un mio sfizio decisi di contarle, erano più
di dieci. Chiesi a Stefania di proseguire la ricerca allargandola alle presunte
cause di morte del pittore formulate dai diversi storici. Senza accorgermene,
stava iniziando una coinvolgente avventura umana e storico-documentale che
aveva come soggetto esclusivo il Caravaggio. Di questo originale e affascinante
personaggio conoscevo ben poco; se ben ricordo, casualmente avevo ammirato
alcuni sui dipinti presenti a San Luigi dei Francesi. Fu un’esperienza estetica
che non dimenticai, ma come spesso succede, gli impegni e la routine della vita
quotidiana gettarono un manto di dimenticanza su quel pittore.
Ora, forse
non casualmente, stavo iniziando a entrare nella sua vita.
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