Lo trovo
seduto al ristorante al piano in un angolo con un mezzo litro davanti le mani
che tengono la testa diritta poggiate sulle orecchie. “Bè se ti vedono in paese
ridotto così…”. Mi siedo accanto a lui e subito mi viene portato un bicchiere e
subito riempito dello stesso vino. E’ una buona occasione per me. Uscendo dal
locale assieme a lui nessuno oserà dire che “siamo due ubriaconi”…avranno
almeno rispetto per lui, mi dico. Mi dice che gli fanno male i piedi perché da
almeno due ore visita capanne e pagghialori sotto la Rocca. “ E allora ?”. Mi fa
una fotografia dettagliata non del presepe ma della gente che lui da circa quattrocento anni segue e cura in modo
“grazioso”. Mi dice che la sua gente è cambiata, anche il suo lavoro è cambiato.
Niente code , niente disperazione, a tutto c’è rimedio. Ormai è una generazione
di giovani. I vecchi si sono estinti perché inutili e superati. Una volta
qualche vecchio veniva a trovarmi memore di favori ricevuti , persino durante
le messe non viene più ricordato il mio nome…Oggi la malattia è un affare. Il
mercato del dolore è gestito da politici vergognosi che lo usano come scambio
di voti. Per un bel pò lo lascio parlare, quasi uno
sfogo a cui segue un mio debole tentativo di rivalutazione dicendo che lui ha
in cassaforte tante di quelle pratiche che il detto “promessa mantenuta”
diventa un espressione ridicola da mentecatti ! “Veramente ero io che avevo da
dirti qualcosa…” dico durante una di quelle pause tipiche del suo carattere da
“santo d’onore”. Già per ben tre volte erano arrivati mezzilitri destinati a
“vuoto a rendere”. Contavo proprio sul vino per innalzare l’umore, ma a
dispetto degli astemi il vino fece la sua parte e passammo al setaccio tutti i
suoi clienti e convenimmo che la malattia che più li affligge è l’ ipocrisia.
Stavo per rincarare la cosa e lui mi zittisce con il più classico degli
epiteti: da che pulpito viene la predica ! Poi tira fuori la vecchia storia
della pietra e su chi deve lanciarla, aggiunge storie di altre guance da
porgere, e mancava ancora un po’ e mi avrebbe chiamato Caino anzicchè Abele !
Chiedemmo il conto che ci venne portato assieme all’ultimo mezzo litro offerto dal
ristoratore che a vederlo quasi obeso si intuiva subito chi fosse il suo
medico. Usciti ci avviammo verso il corso. Notai la gente che ci guardava e che
osservava me che gesticolavo non comprendendo cosa destava tante curiosità,
sino a quando ascoltai il commento :
guarda è sempre solo, barcolla come un ubriacone e… allora mi ricordai di
quella preghiera dove osservando le orme sulla sabbia si accorse che era Dio
che lo portava in braccio. Figuriamoci se Dio si scomoda per uno come me
inzuppato più di Vecchio Testamento che di interpretazioni di comodo. Arrivati
al Passetto :scendi giù mi disse incominci a pesare. Lo guardai allontanarsi e
aprire la porta: Buona notte Abu Kir, il medico “grazioso”.
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